La riunione segreta dei banchieri
Non
molto tempo dopo, il 13 ottobre 2008, a Washington fu convocato un vertice
politico-bancario di emergenza. L’obiettivo non era cambiato: evitare il
collasso dell’economia americana. Lo scenario rimaneva da stato di
belligeranza: Borsa in caduta libera, disoccupazione in rapida crescita,
quattro milioni di persone senza lavoro in due mesi, il Pil globale in crollo
per la prima volta dai tempi della Seconda guerra mondiale, dopo decenni di sviluppo.
Fu in tale clima che un piccolo drappello di bankster, i capi delle maggiori
banche degli Stati Uniti (tutti azionisti ≪di
peso≫ della banca centrale, la
Federal Reserve), furono ≪comandati≫ dal segretario al Tesoro
Henry ≪Hank≫ Paulson (ex Ceo di
Goldman Sachs) per un vertice top secret fuori dai radar dei media.
Appuntamento alle nove del mattino, al 1500 di Pennsylvania Avenue, sede del
dipartimento del Tesoro, a poche decine di metri dalla Casa bianca.
Visi tirati per le notti insonni, abiti blu o
grigioscuri d’ordinanza, nove tra i bankster piu influenti del capitalismo
occidentale, i loro istituti di credito sull’orlo del fallimento, entrarono
alla spicciolata nel palazzo dove si sarebbero decisi i destini dell’economia
mondiale. L’architettura neoclassica dell’edificio, la grande statua di
Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro Usa nel 1789, conferivano
solennità al momento.
I boss di Bank of America, Bank of New York
Mellon, Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Merrill Lynch, Morgan
Stanley, State Street e Wells Fargo furono accolti dall’ex collega banchiere
Paulson, ora ministro nell’amministrazione di George W. Bush, dal chairman
della Federal Reserve, Ben Bernanke, e dal potente capo della Federal Reserve
di New York, Tim Geithner (che qualche mese dopo, con la vittoria di Barack
Obama alle presidenziali del 4 novembre 2008, avrebbe preso il posto di Paulson
al vertice del dipartimento al Tesoro).
La
tensione era palpabile, le notizie dai mercati finanziari in continuo peggioramento.
Una giornata capitale, tanto quanto il 17 settembre 2001, quando Wall Street
riaprì i battenti dopo molti giorni di chiusura in seguito all’attacco alle due
Torri.
Anche il bank run e la crisi dei mercati
erano una ≪questione
di sicurezza nazionale≫.
Cosi la considerava il presidente Bush. In netta contraddizione con i principi
del libero mercato a cui, da repubblicano, si era sempre, in modo rozzo,
appellato. La Casa bianca, con quel regista ex banchiere al Tesoro, stava per
dare il via a un intervento storico dello Stato per salvare dalla morte il
sistema bancario.
L’America in ginocchio, come sotto un
tremendo e inatteso attacco militare da parte di un nemico feroce, preparava la
propria difesa tramite un maxipiano di salvataggio delle banche. Con i soldi
dei contribuenti. Avrebbe potuto farlo un qualsiasi governo statalista o
socialista.
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