da: Il Fatto Quotidiano
Dunque, per il Tribunale di Roma, Claudio Scajola è innocente a
sua insaputa (s’era dimesso, ma l’hanno assolto). E
all’insaputa di Berlusconi (aveva preteso le sue dimissioni da ministro e,
proprio dopo quello scandalo, aveva violentato se stesso annunciando una legge
anticorruzione). E perfino all’insaputa dei complici (l’architetto Angelo Zampolini,
che ha patteggiato la pena, e il costruttore della Cricca Diego Anemone,
che se l’è cavata solo per prescrizione).
Ma l’aspetto più paradossale di questa sentenza
paradossale che chiude (almeno in primo grado) una vicenda
paradossale, è che potrebbe essere molto meno scandalosa di quanto appaia.
Anzi, potrebbe essere addirittura in linea con la legge italiana
sull’illecito finanziamento ai partiti. In attesa delle motivazioni della
sentenza, che comunque si annunciano avvincenti, si può solo
tirare a indovinare come abbia potuto il giudice stabilire che, per un deputato
e ministro dell’Interno, beneficiare di 1 milione e passa versati in nero da
imprenditori che lavorano per il suo ministero, “non costituisce reato”.
Quel che è certo è che la legge del 1974
sul finanziamento ai partiti, essendo stata scritta dai partiti, è piena di
buchi e scappatoie, almeno per i partiti. Tutto ruota intorno al “dolo”:
l’intenzione di violare la legge. Che, naturalmente,
va
dimostrato. Il politico foraggiato può sostenere – e infatti di solito sostiene
– di non sapere che il finanziamento provenisse dai fondi neri di una società
di capitali senza deliberazione dell’organo societario competente e senza
l’iscrizione a bilancio: pensava che l’imprenditore avesse preso i soldi dal
suo patrimonio personale. In teoria, se non ci sono prove che lo smentiscano e
se il giudice è particolarmente generoso o credulone, viene assolto. Potrebbe
essere il caso di Scajola.
Un caso comunque eccezionale, perché di
solito la condanna scatta lo stesso per “dolo eventuale”: se il politico non ha
verificato la provenienza del finanziamento, ha accettato il rischio che
uscisse dalla società del finanziatore. Il quale fra l’altro, per pagarlo
fuoribusta, ha dovuto accumulare fondi neri e farli uscire dalle casse
dell’azienda (aggiungendo al finanziamento illecito i reati di falso in
bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita). Scajola è stato più
fortunato: non verificò, comprò una casa con vista Colosseo pagandola un terzo
del suo valore, e al resto provvidero i costruttori, ma il giudice lo esime dal
dolo.
Un’altra possibile spiegazione è che sia
riuscito a convincere il Tribunale della sua versione che tanto buonumore
suscitò a suo tempo in Italia e nel mondo: al compromesso con le proprietarie
dell’immobile, non era presente nell’ufficio del notaio quando Zampolini arrivò
con gli assegni circolari; dunque non si accorse che l’appartamento costava il
triplo della somma versata da lui e che il resto l’avevano pagato altri, dunque
anche in questo caso il suo “dolo” non c’è. Se il giudice si fosse bevuto una
storia così comica bisognerebbe complimentarsi con lui per il suo spiccato sense
of humour. Ma questo lo sapremo solo al deposito della motivazione.
Per ora sappiamo solo che “il fatto”, anche
se per il primo giudice “non costituisce reato”, è assolutamente certo: Scajola acquistò un
mega-appartamento in una delle zone più chic di Roma pagandone un terzo,
mentre il resto lo versarono due costruttori che avevano appena beneficiato di
due contratti senza gara dal suo ministero. Il che basterebbe e avanzerebbe, in
un paese serio, per farlo scomparire dalla circolazione per sempre. E per
mettere subito mano alla legge sul finanziamento illecito per renderla più
severa, tappando la falla che ha consentito a Scajola di farla franca. Invece
siamo in Italia, dunque Scajola – anziché accendere un cero alla Madonna – fa
pure il martire, piagnucola per i “quattro anni di sofferenza”, esulta perché
“giustizia è fatta” e chiede che “mi venga restituita la mia credibilità
politica”. Restituire quel milioncino no, eh?
Scajola.???
RispondiEliminaAnche Lui sapeva, di Non sapere.!!!