da: Il
Fatto Quotidiano
Stefano Fassina dice
che si è “vergognato come dirigente Pd nel vedere l’incontro di Renzi con
Berlusconi”. E nessuno meglio di noi lo può capire.
Del resto, già dopo le
elezioni dell’anno scorso, il 5 marzo 2013, aveva proclamato: “Noi non siamo
disponibili a sostenere un governo col Pdl, lo consideriamo incompatibile sul
terreno della ricostruzione morale che deve avvenire nel Paese. Se
da Grillo non c’è disponibilità a sostenere un governo presieduto da chi è
arrivato primo alle elezioni, è inevitabile un altro passaggio elettorale”.
L’aveva ribadito due giorni dopo: “Non siamo disponibili ad alcun accordo con
il Pdl. Se non ci sono le condizioni per fare un governo di cambiamento con il
M5S, si deve tornare alle elezioni”. E il 20 marzo: “Noi un governo con un
partito che convoca i parlamentari davanti al tribunale e compra i deputati non
lo faremo mai”. E il 10 aprile: “Berlusconi è inaffidabile. Nessun governo è
possibile con il Pdl. I tavoli per il capo dello Stato e per il governo devono
restare diversi”.
Due settimane dopo
nacque il governo Letta e lui niente, tetragono: “Non ne faccio parte perché è
prevalsa la continuità col governo Monti che una figura come la mia non poteva
garantire”. Due giorni dopo entrò: viceministro
dell’Economia. E risolse il lacerante conflitto interiore con la supercazzola:
“Noi scommettiamo sulla nostra cultura politica alternativa al berlusconismo,
ma autonoma dal berlusconismo. Una cultura politica in fieri, segnata da
contraddizioni. Ma autonoma e sufficientemente forte per affrontare la sfida
del governo di compromesso e respingere la reazionaria retorica dell’inciucio
dei Travaglio e della Trilateral Grillo-Casaleggio e Associati” (l’Unità, 17
maggio).
Alternativo al berlusconismo, autonomo
dal berlusconismo, ma alleato di Berlusconi, il Fassina double face si fece
fotografare a fine giugno sulla copertina di Panorama per un’intervista doppia
con Renato Brunetta: “La strana coppia. Brunetta e Fassina: la nostra grande
intesa”. Due gocce d’acqua, due gemelli siamesi. Brunetta: “La pensiamo allo
stesso modo sull’Europa e sul futuro dell’Europa”. Fassina: “Ma non basta:
molto simile è anche la nostra analisi sul passato. È maturata in questi anni
col Pdl una valutazione condivisa. Una straordinaria possibilità di dialogo fra
di noi, una posizione di forza per il governo Letta”. Brunina: “Fassina ha
ragione!”. Fassetta: “Un grande passo avanti culturale, perché oggi destra e
sinistra insieme hanno il merito di aver rimesso in moto la politica”.
Purtroppo c’era ancora chi non
coglieva i balsamici effluvi delle larghe intese. Chi? Per Brunetta “Repubblica
e De Benedetti”. Per Fassina “quel filone che ha vissuto di antiberlusconismo e
che, in parte, è penetrato anche nel nostro mondo… e nel momento dell’accordo
col Pdl ha perso la sua ragion d’essere: Travaglio e il Fatto. Per loro ogni
accordo, compromesso, scelta responsabile sono un inciucio”. Brunetta: “Stefano
dice bene”.
Il duo annunciò un patto d’acciaio
contro l’aumento dell’Iva (che puntualmente aumentò). E si corrispose amorosi
sensi anche sulla giustizia. “A Palermo o altrove – tuonò Brunetta – atti
coperti da segreto, e tanto più se riguardavano Berlusconi, passavano ai
giornali in tempo reale facendosi beffe della legge”. ”Brunetta – flautò
Fassina – afferma cose più che ragionevoli”.
Il 25 luglio, vigilia della sentenza
di Cassazione sul Cavaliere per frode fiscale, il viceministro Pd giustificò
“l’evasione di sopravvivenza” causata dalla “pressione fiscale insostenibile”.
E mancò poco che il capogruppo Pdl lo baciasse: “È quel che dice sempre
Silvio”. Poi Fassina accusò Renzi di “ripetere a pappagallo ricette di destra”
e di essere “come Berlusconi”. Il 4 gennaio lasciò il governo sbattendo la
porta. Ma non contro l’alleato pregiudicato (dal 1 agosto), bensì contro Renzi,
neosegretario del suo partito. Ecco perché Fassina si vergogna tanto: non
perché Renzi ha incontrato Berlusconi, ma perché Berlusconi ha incontrato
Renzi.
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