da: Lettera 43
Privacy
e spionaggio dati, le regole per difendersi
Apple,
Google, posta elettronica e persino Whatsapp. Ogni cosa su Internet è una
potenziale minaccia per la propria riservatezza. Ecco come proteggere computer
e smartphone.
di Giovanna
Faggionato
Il programma di spionaggio della National
security agency (Nsa) è destinato a essere ridimensionato. Una parziale
vittoria per Edward Snowden, la talpa dello scandalo Datagate.
Ma basta una stretta sui servizi segreti
Usa per dire che la privacy è protetta? Certo, il passo avanti è importante:
forse addirittura una pietra miliare per le battaglie del futuro. Ma non sono
solo le istituzioni a spiare.
LE ARMI DEI COLOSSI DI INTERNET. Possono
essere anche le multinazionali del web (che con quelle istituzioni hanno
stretto accordi), a cui noi stessi regaliamo le nostre informazioni personali,
a conoscere tutto della nostra vita e delle nostre abitudini. E quindi, come
difendersi?
Con l'aiuto di Pier Francesco Piccolomini,
esperto informatico di Softonic, uno dei principali portali a livello globale
di download e consulenza software, Lettera43.it ha identificato sette problemi
per la tutela della riservatezza, e altrettante regole per proteggerla.
1.
Motori di ricerca: scegliere quelli che consentono navigazione anonima
I motori di ricerca tradizionali tracciano
il comportamento degli utenti, raccogliendo indirizzi Ip e usando i cosiddetti
tracking cookies per registrare alcune informazioni, per esempio i link
cliccati o le parole cercate.
Nel caso di Google, quando si usa si il
motore di ricerca mentre si è 'loggati'al profilo di uno dei servizi che offre
(come Google Plus o Gmail), i dati raccolti possono essere utilizzati, per
esempio, per offerte commerciali mirate.
Alcuni browser, tra cui Firefox e Chrome, offrono
l’opzione Do Not Track, che comunica ai siti web visitati il desiderio
dell’utente di non venire tracciato. Ma si tratta, come ha fatto notare
Piccolomini, di un semplice invito, che i siti non sono obbligati a rispettare.
L'ALTERNATIVA: STARTPAGE O DUCKDUCKGO. Per
cercare informazioni nel web, quindi, le soluzioni migliori sono alcuni motori
di ricerca alternativi ai classici Google, Yahoo! o Bing. Tra di esse
Piccolomini consiglia Startpage, che offre i risultati di Google ma non usa
cookies, non trasmette informazioni personali di alcun genere e non tiene
traccia delle ricerche effettuate. Un'altra alternativa valida è DuckDuckGo.
CI SONO STRUMENTI CHE NON TRATTENGONO
INFORMAZIONI. Un’altra opzione: usare browser alternativi, ad esempio Tor
Browser, un navigatore basato su Firefox che permette una navigazione
totalmente anonima, o SRWare Iron, che è una versione di Chrome che non invia
dati a Google.
In alternativa, si può optare per il
componente aggiuntivo Google sharing: si installa sul computer e consente di
passare attraverso un server anonimo. Alla fine della navigazione, insomma, il
motore di ricerca non ha registrato informazioni su quello che ci piace o
facciamo.
2.
iPhone: il sistema operativo di Apple raccoglie i nostri dati
I sistemi operativi mobili riservano
sorprese assai poco gradevoli. IOS 7, è promosso dalla Apple come «il cuore di
iPhone, iPad e iPod touch. Con la sua interfaccia viva e intuitiva e le sue
fantastiche novità, rende più piacevole tutto quel che fai».
Sarà. Intanto, spiega Piccolomini, il
gioiellino di Cupertino «ha attive di default due funzioni discutibili dal
punto di vista della protezione della privacy».
UNA LIBERATORIA PER LA MELA. La prima si
chiama Diagnosi e uso. A cosa serve? Ufficialmente a raccogliere informazioni
sui malfunzionamenti del sistema operativo, ma in realtà dice l'esperto, «a noi
sembra più una sorta di liberatoria che firmiamo a Cupertino per raccogliere i
nostri dati e farne ciò che vuole». Il consiglio? Meglio disattivarla. Poi c'è
iAd da posizione, funzione che, spiega l'esperto, «serve a comunicare
costantemente la tua posizione geografica per fare in modo che ti possano
essere inviate pubblicità coerenti con il luogo in cui ti trovi».
LA FREGATURE NEI MENÙ POCO VISIBILI. Il
problema più che altro è che questi strumenti sono difficili da individuare:
«Per disattivarli bisogna navigare in sottomenu dai nomi poco chiari sepolti
nelle preferenze di iOS. Anche in questo caso, l’informazione e la
consapevolezza sono le armi migliori che abbiamo per tenere sotto controllo la
nostra privacy.
3.
Android: Google Now mappa tutti gli spostamenti e il tempo in cui si sta in un
luogo
Tuttavia, neppure Google, produttore del
sistema operativo Android, è esente da critiche.
«Recentemente», fa osservare Piccolomini,
«senza alcuna spiegazione plausibile, ha eliminato da Android 4.4.2 una
funzione importantissima, che consentiva agli utenti di scegliere a quali dati
personali le App potessero accedere. Il servizio era stato inserito in Android
4.3, ed era stato salutato con gioia da tutti gli utilizzatori. Ma è durato
poco».
Il problema è che il sistema operativo per
smartphone di Google è profondamente integrato con i servizi offerti in rete
dalla società, dai social alla mail, e questo rende il controllo del flusso dei
dati che vanno e vengono ancora più complesso.
SOTTO IL CONTROLLO DI BIG G. Particolare
attenzione va poi prestata a Google Now, un assistente personale virtuale
intelligente disponibile sullo smartphone (l'equivalente di Siri su iPhone).
Per attivarla è necessaria autorizzare la geolocalizzazione. Risultato: tutti
gli spostamenti di chi la usa vengono registrati grazie all’app e riassunti su
una mappa, con tanto di grafici che mostrano dove si è passato più tempo
nell’ultimo periodo, a fare cosa e quando.
«Quando abbiamo visto questo resoconto per
la prima volta, un po’ d’apprensione l’abbiamo avuta, perché dimostra
concretamente quanto le aziende che operano nel web possano sapere di noi»,
spiega l'informatico. Consiglio: «Chi ha a cuore la propria privacy e crede di
poter fare a meno di un segretario che gli dica che tempo fa, o quanto manca
per arrivare a casa, farebbe meglio a non attivare Google Now».
4.
Social nework: le regole sulla privacy esistono, ma vanno controllate
I social network, per loro natura,
richiedono una volontaria rinuncia a una parte della privacy da parte di chi
decide di iscriversi. Quello che invece può fare la differenza è la
trasparenza. Per certi aspetti Facebook, negli anni, è migliorato.
Le impostazioni della riservatezza ora sono
raggruppate in un pulsante dedicato, e sono raggruppate con un criterio logico
rigoroso e scritte in un linguaggio chiaro. Google Plus, invece, è un po’ più
criptico e né il linguaggio usato né l’organizzazione delle informazioni sono
chiari come potrebbero.
La privacy di YouTube non è difficile da
tenere sotto controllo. Una volta loggati nel proprio account si può scegliere
di non mostrare i propri like e di tenere privata la lista di canali a cui ci
si iscrive. Per evitare di pubblicare su Facebook o Twitter le prorpie attività
su YouTube, poi, è buona pratica non associare il proprio profilo sul portale
video gli account social.
INSTAGRAM: MEGLIO PRIVATIZZARE. Instagram,
la cui struttura è meno complessa di un social network tradizionale, offre
opzioni di gestione della privacy piuttosto semplici. Una volta stabilito chi
possa vedere le foto che si postano (e il consiglio, qui, è di scegliere
l’opzione Photos are Private, prima di ritrovare qualche tuo scatto “scomodo” in
giro per il web), basta accettare i nuovi follower con attenzione. Per
salvaguardare la privacy, insomma, è necessaria la consapevolezza e
l’attenzione degli utenti.
5.
E mail: Outlook per ora è l'unico strumento che non scansiona la posta degli
utenti
Gmail e Yahoo! non solo scansionano le
nostre mail, ma salvano i messaggi che non si è finito di scrivere. Utile
quando si ha bisogno di cercarli in bozze. Meno utile per la privacy. In
entrambi i casi tuttavia è possibile disattivare l'opzione. Per Gmail inoltre è
possibile utilizzare il componente aggiuntivo Secure Gmail, che codifica la
comunicazione.
Outlook.com, almeno per ora, non scansiona
la posta degli utenti.
6.
Whatsapp e le altre: gli istant messager memorizzano i messaggi che mandiamo
Qualcuno dice che, se qualcosa è gratis,
allora il prodotto diventa l'utente. Significa che il produttore ottiene
qualcosa (i dati personali) dall'utilizzo che ne fa l'utente. È un’affermazione
un po’ forte, ma non è troppo distante dalla verità, in alcuni casi.
Whatsapp per esempio fino a poco tempo fa
non criptava il traffico e, inoltre, il
programma memorizza i messaggi scritti sul cellulare. Anche qui bisogna essere
consapevoli. E usare solo le app di cui si ha realmente bisogno.
7.
Il web: fare sempre logout e tenere separati gli account
Ci sono buone abitudini che possono essere
utili in tutti i casi. La prima è leggere sempre le condizioni di utilizzo di
un programma. Il linguaggio usato è troppo astruso da capire? Per ottenere una
traduzione si può consultare tosdr.org.
Bisogna studiare bene i propri dispositivi,
navigare a fondo nelle impostazioni, perché a volte quelle più importanti per
sono ben nascoste.
L'IGNORANZA MINA LA PRIVACY. Ogni volta che
si utilizza un servizio, è bene fare sempre il logout. E tenere separati gli
account. «Se ad esempio usiamo l’account di Facebook per accedere anche ad
altri servizi (e la maggior parte di quelli che prevedono un login offrono
questa opzione), il semplice accesso al social network fa sì che accediamo
automaticamente anche ad essi con tutto ciò che questo comporta in termini di
“fuga di dati”», ricorda Piccolomini. «È un po’ come lasciare aperta la porta
di casa: non dovrai andare ad aprire ogni volta che arriva un amico, ma nel
viavai delle persone care diventa più difficile identificare il
malintenzionato.
E infine la regola più importante:
«L’ignoranza mina la privacy», conclude l'esperto, «bisogna tenersi
costantemente informati sull’argomento. Altrimenti il peggior nemico della tua
privacy sei tu stesso».
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