da: Il Fatto Quotidiano - 2 gennaio 2013
Renzi (ri)chiama Grillo:
“Caro Beppe, insieme faremmo grandi cose”
Il
segretario del Pd propone al Movimento 5 Stelle un patto per un obiettivo
concreto: trasformare subito il Senato in una Camera degli enti locali per
risparmiare un miliardo. Poi attacca: "Nel suo discorso di fine anno Beppe
si è preso meriti non suoi: anche le migliori battaglie M5s ottengono risultati
solo se c'è la sponda dei democratici". E a Letta dice: "Possiamo
sfondare il vincolo Ue del 3 per cento del deficit"
di Stefano Feltri
Matteo Renzi ci
prova sul serio: un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle, non per il
governo, ma per singoli provvedimenti, cominciando da una drastica riforma del
Senato, “si può risparmiare un miliardo di euro, se i senatori Cinque Stelle
sono d’accordo lo facciamo domani”. Notte di Capodanno in piazza Stazione a
Firenze, sul palco con Max Pezzali, ex 883, poi giornata in famiglia, qualche
partita alla Play Station e un po’ di corsa. Il 2014 politico di Renzi comincia
con una proposta a Grillo e una rottura con il governo di Enrico Letta,
pensando alle elezioni europee di fine maggio: “Se all’Europa proponi riforme
istituzionali e un Jobs Act che attiri investimenti stranieri, è evidente che
il vincolo del deficit al 3 per cento del Pil si può sfondare”.
Segretario
Renzi, nel suo messaggio di fine anno Napolitano ha detto che rimarrà “fino a
quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo faranno ritenere
necessario”. Pensa che sia il suo ultimo discorso?
Non credo. Ma
deciderà lui, non altri.
Il
capo dello Stato ha accennato alle polemiche sul suo ruolo e l’eccessivo potere
dimostrato.
Difendo il
presidente. Quello di San Silvestro è stato un messaggio che invita al coraggio
delle riforme e a occuparsi di lavoro e lo condivido: la classe politica
dovrebbe pensare a queste cose invece che perdersi in troppe chiacchiere.
Nel
suo contro-discorso Beppe Grillo ha detto che è merito dei Cinque Stelle se
Berlusconi non è più senatore, grazie al voto palese, se non è passata la
riforma dell’articolo 138 della Costituzione e se sono scesi i costi della
politica. E’ così?
Mi piacerebbe dirle
che è vero, ma non è così. Il Movimento Cinque Stelle da solo non fa nulla. Il
voto palese è stata decisione del Pd e determinante è risultato il voto della
senatrice Linda Lanzillotta che non mi pare grillina. La riforma del 138 è
saltata quando ha cambiato idea Berlusconi, dopo che è uscito dal governo, lo
sanno tutti. E sui costi della politica, Grillo ha rinunciato alla propria
quota di finanziamento, per circa 40 milioni di euro, ma sul voto che,
bloccando le Province, porta a un risparmio come minimo dieci volte più grande,
non solo i Cinque Stelle sono stati contrari ma addirittura hanno fatto
ostruzionismo agli ordini del compagno Brunetta. Com’è possibile che i ragazzi
del Cinque stelle escano dall’Aula quando si vota l’abolizione delle Province?
Se Grillo elencando i propri meriti deve dire queste falsità, significa che
dentro il Movimento c’è un problema e che ci stiamo perdendo anche lui…
Quindi
i Cinque Stelle si prendono meriti non loro?
Grillo da solo non
può far niente, perché mancano i numeri. Non è colpa sua, è la politica. Alcune
battaglie – anche sacrosante – del M5S possono essere portate a termine solo se
i cittadini pentastellati fanno accordi. Limitati, circoscritti, in streaming,
dal notaio, in piazza, al bar, come vogliono: ma accordi. Da soli si fa
testimonianza, ma non si cambia l’Italia.
Senza accordi non solo non combina nulla, ma per giustificare i tre milioni di
euro al mese che costano i suoi parlamentari, Grillo è costretto a inseguire le
scelte di Brunetta o della Lanzillotta. Per i parlamentari Cinque Stelle il
2014 sarà l’anno chiave, quello in cui devono decidere se cambiare forma
mentis: ci sono quelli che credono alle scie chimiche e ai microchip nel
cervello, e questi fanno ridere, ma sta anche nascendo un gruppo dirigente
molto interessante. Se però si limitano
a protestare, il massimo che possono fare è rinunciare al finanziamento pubblico
per 42 milioni. Un atto di grande efficacia mediatica, ma per l’appunto
soltanto 42 milioni…
Il
Pd è pronto a lavorare con il Movimento Cinque Stelle in modo aperto?
Si sono visti due
modi di concepire i Cinque Stelle finora. La vecchia guarda dei nostri li ha
trattati come dei parvenu della politica, quasi incapaci di intendere e di
volere. Io non la penso così e condivido ciò che ha scritto Marco Travaglio:
molti di loro stanno imparando il mestiere. Su alcuni temi hanno fatto cose giuste, sul Milleproroghe, sugli
affitti d’oro della Camera. Ma le loro posizioni sono passate solo perché qualcuno
del Pd ha deciso che bisognava
andare in quella direzione, in altri casi l’iniziativa è stata nostra, come
per bloccare l’emendamento sulle slot machine. Vede che degli accordi seri,
trasparenti, alla luce del sole, non si può fare a meno?
Perché,
per dare un segnale a Grillo, non rinuncia spontaneamente ai 45 milioni di euro
di finanziamento pubblico che spettano al Pd? Senza proporre uno scambio.
Grillo dice che
questi rimborsi sono illegali. Io dico che sono politicamente un errore. Non
escludo che lo faremo. Ma come si fa a definire ricatto quella che è una
proposta precisa per ridurre i costi della politica?
E
cosa sta aspettando?
Dal punto di vista
tecnico la due diligence dei conti del partito. Dal punto di vista politico che
sia chiaro l’iter della proposta del governo. E posso anticiparle che non ci
fermeremo qui. Vogliamo occuparci anche dei contributi ai gruppi parlamentari.
Province
a parte, su cosa potete lavorare insieme, Pd e M5S?
La madre di tutte le
battaglie è la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie locali.
Basterebbe un sì dei senatori Cinque Stelle e cambieremmo la storia italiana.
Ma loro nicchiano, chissà perché…
Il
Senato riformato avrebbe membri eletti, e quindi cambierebbe poco rispetto a
oggi, o solo rappresentanti degli enti locali come membri di diritto?
Una parte del Pd e
tutto Ncd dicono: non possiamo abolire il Senato, facciamo una elezione di
secondo grado. Io la penso diversamente: se sei presidente di una Regione o
sindaco, sei automaticamente senatore, senza indennità aggiuntive. E in Senato
puoi esprimere il tuo parere solo sulle materie, quelle che riguardano gli enti
locali. Finisce il bicameralismo perfetto e macchina burocratica drasticamente
semplificata. Non capisco come Grillo possa dire di no: chiedere l’abolizione
tout court del Senato è il modo migliore per non ottenere nulla.
Il
problema è solo che manca il via libera del capo? I parlamentari M5S sono
propensi a collaborare?
Nessuno gliel’aveva
chiesto con questa chiarezza, finora. Vedremo. Anche io ho resistenze interne e
incontrerò i nostri senatori il 14 gennaio. Ho però un punto di forza: le
primarie non le ho fatte sulle mie cravatte, sul ciuffo di Civati o sullo
sguardo di Cuperlo, ma sulla base di linee politiche, e io ho espresso con
grande chiarezza questa posizione. Quindi la posizione delle primarie è la posizione
di tutto il Pd. Però il Pd da solo, paradossalmente, non ce la fa. Noi facciamo
lo stesso appello a tutte le forze politiche, ma quello che mi colpisce di
Grillo è che questa palla lui ce l’ha pronta. Come fa a rinunciare?
E
se Grillo rifiuta?
Dovrei pensare che
non riesce a convincere i suoi senatori a firmare una legge che serve a
cancellare le loro 60 poltrone.
Nel
suo video-messaggio Grillo ha evocato un referendum e la possibile uscita
dell’Italia dall’Euro. Ci sono margini di dialogo anche su questo?
No, in modo
categorico. Uscire oggi dall’euro avrebbe ripercussioni decisamente negative
sulla vita degli italiani, schizzerebbero i tassi di interesse, sarebbe più
difficile lavorare per le imprese, si indebolirebbe ancora la capacità
d’acquisto delle famiglie. Sono pronto a una discussione, ma nel merito sono in
disaccordo. L’eccesso di tecnocrazia nella gestione dell’euro si risolve non
eliminando l’euro, ma riportando la politica a fare il suo mestiere.
Il
governo Letta continua a difendere il rigore e il rispetto del vincolo del 3
per cento al rapporto tra deficit e Pil. Lei ha criticato più volte quel
parametro. In attesa di riformare i trattati, lei sarebbe disposto a violarlo?
Se all’Europa
proponi un deciso cambio delle regole del gioco, a partire dalle riforme
Costituzionali, con un risparmio sui costi della politica da un miliardo di
euro che non è solo simbolico, un Jobs Act capace di creare interesse negli
investitori internazionali, fai vedere che riparti da scuola, cultura e
sociale, allora in Europa ti applaudono anche se sfori il 3 per cento. L’Europa
ha bisogno di un’Italia viva.
Quindi
possiamo sforare?
E’ evidente che si
può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa. Non
è l’Europa che ci ha cacciato in questa crisi, ma la mancanza di visione. Lo ha
detto bene il Censis: l’emergenza continua è diventata la polizza assicurativa
di una classe politica che solo grazie alla crisi, vera o presunta, giustifica
il proprio potere. Se c’è una leadership con una visione, non vedo problemi a
superare il tetto del deficit, anche se poi va fatta una battaglia per cambiare
le regole. Non solo sui conti pubblici.
Pensa
alla web tax, per far pagare più imposte alle grandi società che vendono
servizi su Internet?
Anche. Tutti devono
pagare le tasse, ma le modalità con cui questa battaglia è stata impostata da
qualche nostro parlamentare sono un errore. Per come era scritta, la legge non
apriva un dibattito, ma una procedura di infrazione europea. E chi lo paga poi
il conto?
Hanno
detto che lei ha preso questa linea sotto l’influenza di Google e delle lobby
americane.
Spero che chi lo ha
fatto, dopo aver parlato, abbia posato il fiasco.
A
proposito di grandi aziende, lei ha denunciato spesso la privatizzazione di
Telecom degli anni Novanta, ma non si è mai espresso sull’attuale passaggio di
controllo dai soci italiani agli spagnoli di Telefònica.
Su Telecom e Monte
dei Paschi il segretario del Pd sconta il peso di una eredità: in passato su
queste vicende chi aveva responsabilità nella sinistra non si è comportato in
modo politicamente inappuntabile, per usare un eufemismo. Su Monte Paschi, se
fossi stato sindaco di Siena, e quindi di fatto azionista della banca, avrei
detto la mia. Il mio silenzio da segretario del Pd non è di chi non ha niente
da dire, ma di chi anzi ne avrebbe troppo. Ma tace, per rispetto delle
istituzioni preposte a risolvere il problema.
Il
governo cosa può o deve fare su Telecom e Monte Paschi?
Prescindendo dai
tecnicismi, un governo ha un potere enorme di moral suasion, che non è banale,
indipendentemente dagli appigli legislativi. Nella vicenda Telecom il governo
dovrebbe usarlo per chiarire che lo scorporo della rete è una priorità, o che
comunque bisogna avere l’assoluta garanzia di investimenti sull’infrastruttura,
attraverso i meccanismi più vari. Su questo settore abbiamo perso troppo tempo.
E su Mps il governo dovrebbe usare la moral suasion per evitare che i soldi
prestati dai contribuenti italiani vengano messi a rischio.
Lei
è più d’accordo con il senatore Pd Mucchetti che voleva cambiare la legge
sull’Opa per costringere gli spagnoli a pagare qualche miliardo per Telecom o
sta con Letta che quella norma l’ha affossata?
Che la legge
sull’Opa vada cambiata è un dato di fatto. Che cambiarla adesso dia
l’mpressione di un intervento a gamba tesa, prendendo le posizioni di un
giocatore contro un altro è altrettanto vero. Non si cambiano le regole in
corsa. Ma il governo su Telecom può giocare un ruolo molto più deciso, nel
rispetto delle regole, del mercato, degli azionisti. Presenti e futuri.
Nel
duro scontro tra il presidente di Mps Profumo e quello della Fondazione, Mansi,
lei con chi sta?
E secondo lei mi
schiero in un derby tra banchieri? A me interessa che il denaro dei cittadini
italiani sia speso bene e il quadro delle regole, ma non entro nelle vicende
gestionali. Posso chiedere di cambiare la legge sulle fondazioni bancarie, ma
non sostituirmi a chi ha responsabilità gestionali.
Nel
2014 si apre una stagione di importanti nomine pubbliche in società controllate
dal Tesoro, su tutte l’Eni. Se ne occuperà?
Il Pd non è
interessato alla discussione sui nomi. Ma alle strategie aziendali sì. E su
questo abbiamo molto da dire, vedrà.
Su
cosa si fonda la sua intesa con Maurizio Landini, la Fiom sembra più renziana
della Cgil…
Non è renziano
neanche il Pd, figuriamoci la Fiom. Certo, su alcune cose potrebbe esserci
condivisione: dalla legge sulla rappresentanza alla presenza di persone elette
dai lavoratori nei consigli d’amministrazione. E poi condividiamo un concetto
semplice: chi ci ha portati fino a qui, con polemiche ideologiche e scarsi
risultati, non è adatto a portarci fuori da qui.
Lei
non parla più di pensioni. Si possono chiedere sacrifici a chi beneficia del
sistema retributivo?
Si possono chiedere
contributi – non parlerei di sacrifici – a chi usufruisce di una pensione d’oro
senza aver versato tutto il corrispettivo. Non perché ciò cambierà il bilancio
italiano, ma perché è giusto. Si può, si deve. É un principio di equità
sociale, non una punizione divina: se prendi 10mila euro al mese di pensione e
sei andato in pensione a 55 anni con il retributivo, puoi darci una mano così
che il tuo contributo lo mettiamo a disposizione di chi non ce la fa più? Ma
solo per le pensioni d’oro, non per tutte le pensioni retributive.
Tra
pochi giorni presenterà il Jobs Act. Ci sarà il contratto unico di inserimento?
Ci saranno molte
cose. Il Jobs Act non è un trattato giuslavoristico, come pensa chi lo ha
criticato senza aspettare di leggerlo, ma un documento con alcune cose concrete
da fare subito e altre più di prospettiva. Nei prossimi giorni iniziativa sulle
riforme, poi presentiamo il Jobs Act. Non c’è molto da aspettare.
Twitter
@stefanofeltri
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