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Lettera 43
Ecomafia,
Terra dei fuochi: 10 punti per capire la strage
Trentatré
inchieste. Ventidue pentiti. Centinaia di vittime e 2 mila siti inquinati. I
protagonisti, dai pm a don Patriciello. Viaggio nel Casertano avvelenato. Che
preoccupa Napolitano. Bloccate le proteste.
di Enzo Ciaccio
Il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano il 3 gennaio ha scritto una lettera a don
Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano che guida la lotta contro i rifiuti
tossici delle popolazioni che abitano tra Napoli e Caserta (la cosiddetta Terra
dei fuochi). Il capo dello Stato ha promesso attenzione e impegno per la
bonifica delle aree avvelenate.
Anche il cardinale
di Napoli, Cresenzio Sepe, ha affrontato in una lettera - controfirmata dai
vescovi delle diocesi interessate - la tragedia dei territori devastati dai
roghi killer e dagli sversamenti fuorilegge.
SEPE: «UN DRAMMA
UMANITARIO». Sepe ha parlato di «dramma umanitario». Di fronte a tali eventi,
ha aggiunto, «non è possibile restare immobili». Le autorevoli prese di
posizione si aggiungono al coro di adesioni che da più parti
si leva a favore
della battaglia che le popolazioni che vivono tra Napoli e Caserta stanno
conducendo contro i rifiuti tossici sepolti a pagamento dalla camorra (su
richiesta di una parte dell’imprenditoria del Nord).
UN AVVELENAMENTO
DURATO 25 ANNI. Ma, al di là delle adesioni (e del rischio-unanimismo che qua e
là affiora) che cosa è davvero la Terra dei fuochi? Come è iniziato, 25 anni
fa, l’avvelenamento dei territori? Chi sono i protagonisti? Quante sono state
le vittime? E soprattutto: che cosa bisogna fare, per uscirne davvero?
1.
Nel 1991 la prima indagine
Era la notte del 4
febbraio 1991 quando un camionista italo-argentino, Mario Tamburrino, si
presentò ai medici dell’ospedale di Pozzuoli. «Aiutatemi», sussurrò trafelato,
«qualcosa mi è entrato negli occhi: non vedo quasi più».
I «PRIMI» 571 FUSTI.
Negli occhi, erano penetrate alcune gocce della sostanza corrosiva fuoriuscita
dai fusti (571, pieni di rifiuti tossici, caricati sul camion a Cuneo e diretti
a sant’Anastasia, a nord di Napoli) che Tamburrino avrebbe dovuto abbandonare
sul terreno affinché fossero sepolti in loco dai guaglioni locali.
COSÌ ARRIVÒ
L'ECOMAFIA. In seguito all’indagine giudiziaria che ne scaturì, i magistrati e
l’opinione pubblica vennero per la prima volta a conoscenza del vocabolo
Ecomafia e del colossale business che già dalla metà degli Anni 80 era in atto
tra la camorra, l’imprenditoria del Nord e la classe politica napoletana e
campana. Del camionista Tamburrino si è persa ogni traccia.
2.
Casertano, terra di roghi
Il primo a definire
Terra dei fuochi l’area interessata al fenomeno dei rifiuti tossici sepolti
illegalmente fu Giuseppe Ruggiero, dirigente campano di Legambiente, che nel
2003 usò tale etichetta in riferimento ai roghi di pneumatici e di materiali
tossici che ogni pomeriggio (tra le ore 18 e le 23) ignoti appiccavano (e
ancora appiccano: tra il 2012 e l’agosto 2013 i vigili del fuoco ne hanno
contati 6.034) lungo l’Asse mediano, che collega Napoli ai paesi del Casertano.
In realtà, la Terra
dei fuochi per antonomasia, in Campania, è sempre stata la zona flegrea, ricca
di vulcani e di crateri ribollenti di magma e lapilli.
3.
La mappa dei veleni: 2 mila siti inquinati
I territori colpiti
dai veleni di camorra sono quelli tra le province di Napoli e Caserta. L’area è
compresa tra i comuni di Qualiano, Giugliano in Campania, Orta di Atella,
Caivano, Acerra, Nola, Marcianise, Succivo, Frattaminore, Frattamaggiore,
Aversa, Mondragone, Castevolturno, Villa Literno, Pozzuoli, Bacoli, Marano,
Cicciano, Palma Campania, Melito di Napoli. A Napoli, il quartiere Pianura.
A firmare il Patto
per la Terra dei fuochi, l’11 luglio 2013, sono stati ben 57 comuni tra Napoli
e Caserta. Ma la verità è che nessuno sa quanti e dove siano i rifiuti tossici
sepolti nel corso degli anni nell’area. L’Arpac, l’agenzia campana per
l’ambiente, ha contato più di 2 mila siti inquinati.
4.
Gli industriali: «Inutili allarmismi». L'uscita di Lorenzin
Risalgono al 2013 le
dichiarazioni del presidente degli industriali di Napoli, Paolo Graziano, che
ha definito «inutili allarmismi» le denunce targate Terra dei Fuochi. A
identica data risalgono le esternazioni del ministro per la Sanità, Beatrice
Lorenzin, che ha sostenuto che la causa dei tumori andrebbe cercata «negli
stili di vita sbagliati, nel fumo delle sigarette, nella poca frutta e verdura
consumata a tavola» dalle famiglie meridionali.
Alla sortita del
ministro, in tanti hanno fatto eco definendo per mesi «allarmisti» e «fanatici»
i comitati degli abitanti delle aree colpite dall’inquinamento. O, addirittura,
ipotizzando che dietro le loro proteste si nascondessero «oscure forze criminali
o affaristiche».
5.
Il business dei rifiuti degli Anni 80
Per capire come e
perché la camorra si buttò fin dagli Anni 80 a capofitto sul traffico dei
rifiuti, bisogna sapere che smaltire in maniera lecita rifiuti urbani costava,
in quegli anni, 300 lire al chilo. Se si trattava di fanghi di conceria (o
peggio), il prezzo saliva fino a 1.200 lire. Le ditte dei clan si facevano
pagare tre le 120 e le 130 lire al chilo. Anche se si trattava di fanghi (o
peggio).
6.
Le 33 inchieste e i pentiti. Le dichiarazioni di Schiavone
Dal 2000 a oggi, le
inchieste giudiziarie sui rifiuti tossici sono state 33 a Napoli ad opera di 4
procure (Napoli, Nola, Torre Annunziata, santa Maria Capua Vetere) e 73 in
Campania. Adelphi, Cassiopea, Madre terra, Carosello, Nerone, Cernobyl: nomi
suggestivi, per etichettare le orrende trame del malaffare. Ben 311 sono le
ordinanze di custodia cautelare; 448 le persone denunciate; 116 le aziende
coinvolte.
PERRELLA, IL PRIMO A
PARLARE. Il primo boss di Ecomafia pentito risale al 1988. Si chiamava Nunzio
Perrella, all’attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti raccontò:
«Altro che droga, per noi il vero affare è l’immondizia: dotto’, ‘a munnezza è
oro». Specie se fatta di rifiuti speciali, il cui smaltimento costa 600 euro a
tonnellata.
Finora sono stati 22
i pentiti di Ecomafia. Da Dario De Simone («Se in una discarica ogni giorno
arrivano 100 camion carichi di rifiuti, l’ultimo è pieno di soldi», ha
spiegato) a Domenico Bidognetti (che raccontò il ruolo dei colletti bianchi Gaetano
Vassallo, a sua volta pentito, e Cipriano Chianese, avvocato e manager), da
Oreste Spagnuolo (ex killer del gruppo di fuoco del Casalese Giuseppe Setola) a
Tammaro Diana, Pasquale Di Fiore, fino a Carmine Schiavone, oggi il pentito più
famoso per le rivelazioni del 2013 in tivù che peraltro aveva già reso nel
lontano 1996 (ministro dell’interno era prorpio Giorgio Napolitano).
7.
Il giallo dei 30 siti di stoccaggio
È l’altra faccia del
disastro, quello determinato addirittura dalle istituzioni che ora non sanno
più come smaltirle. Si tratta di 30 siti di stoccaggio, che avrebbero dovuto
temporaneamente ospitare balle di rifiuti trattati e resi innocui in attesa di
essere distrutti. Il risultato? Sei milioni di tonnellate, cioè 4 milioni e
274.616 pacchi di maleodorante immondizia mai trattata giacciono ammassati
nelle campagne del Giuglianese, una volta fertili e ora ridotte a paesaggio
lunare aggredito da stormi di gabbiani impazziti.
È stato calcolato
che per bruciare le balle (ma dove? E come?) ci vorrebbero almeno 50 anni.
8.
La strage: il 35% dei morti di cancro viene dalla Terra dei fuochi
Su 500 pazienti
operati per neoplasia al polmone nel 2013 all’istituto per i tumori Pascale di
Napoli, il 35% proviene dalla Terra dei fuochi. Don Patriciello, il parroco di
Caivano, sconvolto dai troppi funerali, ha affisso intorno all’altare maggiore
i pomodori avvelenati e le fotografie delle decine di bambini deceduti per
leucemia.
LO SCANDALO DEL
REGISTRO TUMORI. L’incremento dei casi di cancro in Campania negli ultimi 10
anni è del 13%, eppure resta inattuato il Registro regionale dei tumori.
Inesistente resta
anche un credibile piano di smaltimento rifiuti. Antonio Giordano, direttore
dello Sbarro Institute for Cancer Resarch in Usa e figlio di Giovan Giacomo
(che nel 1977 fu il primo scienziato a scrivere che «la Campania è travolta da
un’epidemia silente e causata dall’uomo»), ha detto: «Il 60% dei residenti in
Terra dei fuochi svilupperà tumori o altre gravi patologie. Urgono bonifiche e
prevenzione sanitaria».
9.
La battaglia di don Patriciello e dei pm
Don Maurizio
Patriciello parroco di san Paolo Apostolo a Caivano, fino al 18 ottobre 2012
era un anonimo sacerdote alle prese con una terra difficile che gli chiedeva
aiuto. Poi, partecipò a una riunione in prefettura sul tema rifiuti e definì il
prefetto di Caserta «signora» invece che «eccellenza», scatenando le ire del
prefetto di Napoli che lo rimproverò davanti a tutti.
La boutade
anti-parroco suscitò scandalo in tutta Italia. Ma si trattò di una gaffe provvidenziale,
perché da quel giorno don Patriciello diventò famoso e del dramma Terra dei
fuochi si iniziò miracolosamente a discutere.
LE BARE BIANCHE. I
protagonisti veri, però, sono forse altri: si chiamavano Dalia, 12 anni, Luca,
19 anni, Luciano, 16 anni, Tina, 28, Marta, 4. Martiri per forza, bare bianche
in processione. Ha detto don Patriciello: «A novembre ho celebrato i funerali
di Agostino, 28 anni. A gennaio, il battesimo di suo figlio nato un mese dopo».
Tra i protagonisti,
vanno citati almeno due magistrati: Maria Cristina Ribera, della direzione
antimafia di Napoli, la prima a coniare il termine di «imprenditore
camorrista», riferito a coloro che fino ad allora erano ritenuti camorristi e
imprenditori. E Donato Ceglie, della procura di santa Maria Capua Vetere, che
ha dedicato la propria vita a combattere Ecomafia in tribunale.
10.
Bonifiche, unica soluzione rimasta sulla carta
L’unica, vera
soluzione per normalizzare nel tempo la vita di chi abita in Terra dei fuochi è
la bonifica del territorio. Se ne parla da decenni, ma finora sono stati
sperperati milioni di euro con risultati pari a zero. L’impresa, sprechi e
imbrogli a parte, appare utopistica.
MANCANZA DI FONDI.
Già nel 2001, cioè prima della grande crisi, la Commissione parlamentare di inchiesta
sui rifiuti ammise sconsolata di essere a conoscenza degli sversamenti illegali
in Campania ma di non poter intervenire perché «la montagna di soldi necessaria
per le costosissime bonifiche non ci sono e non ci saranno mai». In alcune
aree, del resto, è già troppo tardi. Per esempio, secondo il commissariato di
governo, nei 20 chilometri quadrati (pari a 2.600 campi di calcio) dell’area
intorno alla ex discarica Resit nel Giuglianese: «Quella terra è morta,
risanarla sarebbe un’impresa proibitiva».
IL FALLIMENTO DI
STIR. Inoltre poco o nulla si sta facendo per individuare e punire il traffico
illecito dei camion che ogni giorno scaricano i veleni fra Napoli e Caserta.
Anzi, il cosiddetto progetto Stir, che avrebbe dovuto consentire il
monitoraggio satellitare dei camion, è svanito nel nulla dopo il mezzo scandalo
dei fondi volatilizzati. Dalle indagini dei magistrati, intanto, traspare che
sul business bonifiche, sui monitoraggi e il resto i più attenti, aggiornati (e
dotati dei capitali necessari) appaiono ancora una volta i boss di camorra.
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