mercoledì 8 gennaio 2014

Marco Travaglio: “Ma l’amore no”

da: Il Fatto Quotidiano

Ci risiamo. Appena un politico si sente male, i soliti sciacalli che infestano il web si abbandonano a scene di esultanza, messaggi mortiferi, auspici jettatori. E ogni volta giornali e tv rilanciano i loro deliri, con articoloni di cronaca ed esegesi parola per parola, deplorando degrado, denunciando mandanti, impugnando estintori e predicando bon ton. Era accaduto con Bossi e Berlusconi, ora la scena si ripete con Bersani. Domanda: ma perché l’informazione rilancia e amplifica questa robaccia? Dov’è la notizia nel fatto che 60 milioni di italiani nascondono migliaia di teste di cazzo che augurano la morte a questo o a quel politico o a tutti? Quando non c’era il web, c’erano le pareti dei cessi pubblici, ma nessun cronista li visitava giornalmente per annotare le scritte e riportarle in un articolo. Quando Radio Radicale apriva i microfoni senza filtro, era come spalancare una fossa biologica. Un altro sfogatoio di flatulenze verbali sono da sempre le curve degli stadi e le manifestazioni di piazza, dove il branco garantisce l’anonimato oggi assicurato dal nickname.
Ma che c’entra il diritto e il dovere di cronaca con il tizio frustrato o incazzato che vuole morto Bossi o Berlusconi o Bersani o tutti? Delle due l’una: o chi amplifica questo fenomeno non si accorge di fare il gioco di questa gentaglia a
caccia di visibilità, e allora è uno stupido; o se ne accorge benissimo, ma lo fa apposta per criminalizzare tutta l’area del dissenso, e allora è un mascalzone. Il sospetto è proprio questo: che tutta questa attenzione agli insulti in Rete serva a tutelare il potere costituito screditando le aree di critica e di opposizione più intransigenti. È ovvio che chi vuol morti i politici va a cercare audience e adepti sui social network più frequentati. E, siccome la tv e la grande stampa sono viste (perché lo sono) come i guardaspalle del potere, è giocoforza che ogni malcontento si sfoghi in Rete. Non a caso prima i girotondi, poi i movimenti “contro”, compreso il 5Stelle, trovando otturati tutti i canali d’accesso, siano nati e cresciuti nel web. E qui il sillogismo è facile quanto truffaldino: siccome chi non ci sta frequenta certi blog e certe pagine facebook, allora i mandanti delle frasi assassine sono i titolari di quei social network, solo perché non hanno il tempo o i mezzi per moderarli e depurarli all’istante.

Grillo augura la morte politica ai partiti e al caravanserraglio di parassiti che ci ingrassano, poi si permette di non fare subito una dichiarazione d’amore a Bersani ricoverato? Eccolo lì il violento, il cattivo maestro, l’istigatore di chi vuol morto Bersani. Tant’è che Grillo, l’indomani, è costretto ad augurare precipitosamente pronta guarigione a un malato mai visto né conosciuto in vita sua, con cui molti parlamentari a 5Stelle, che invece lo conoscono, avevano già solidarizzato. Il tutto per non passare per il mandante dell’aneurisma.

Ma davvero l’unico modo per dimostrare umanità e compassione è sfilare in passerella nei corridoi di un ospedale a favore di telecamera rilasciando dichiarazioni insulse con la faccia triste? Questa storia dei politici da amare è una follia ricattatoria introdotta dal berlusconismo (il Partito dell’Amore, che semina odio da 20 anni) e dilagata in tutta la politica, che deve finire. Ogni cittadino dev’essere libero di amare, odiare o ignorare i politici, senza che nessuno si senta autorizzato a chiedergliene conto. Invece questi signori, non contenti di ammorbarci con la loro pestilenziale presenza a reti ed edicole unificate da mane a sera, pretendono pure che li trattiamo come persone di famiglia, soffriamo quando stanno male e piangiamo ai loro funerali. Fermo restando l’elementare sentimento di umanità, che però vale per tutti, dovremmo tutti quanti rivendicare il sacrosanto diritto, se non all’odio, almeno all’indifferenza. Come l’anonimo cittadino che da tre giorni viene linciato dai commentatori dei giornaloni col ditino alzato per avere twittato una frase di genuino buon senso: “Anche mio nonno è stato in ospedale, ma non se n’è fregato nessuno”.

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