da: Il Fatto Quotidiano
Ci risiamo. Appena un politico si
sente male, i soliti sciacalli che infestano il web si abbandonano a scene di
esultanza, messaggi mortiferi, auspici jettatori. E ogni volta giornali e tv rilanciano
i loro deliri, con articoloni di cronaca ed esegesi parola per parola,
deplorando degrado, denunciando mandanti, impugnando estintori e predicando bon
ton. Era accaduto con Bossi e Berlusconi, ora la scena si ripete con Bersani.
Domanda: ma perché l’informazione rilancia e amplifica questa robaccia? Dov’è
la notizia nel fatto che 60 milioni di italiani nascondono migliaia di teste di
cazzo che augurano la morte a questo o a quel politico o a tutti? Quando non
c’era il web, c’erano le pareti dei cessi pubblici, ma nessun cronista li
visitava giornalmente per annotare le scritte e riportarle in un articolo.
Quando Radio Radicale apriva i microfoni senza filtro, era come spalancare una
fossa biologica. Un altro sfogatoio di flatulenze verbali sono da sempre le
curve degli stadi e le manifestazioni di piazza, dove il branco garantisce
l’anonimato oggi assicurato dal nickname.
Ma che c’entra il
diritto e il dovere di cronaca con il tizio frustrato o incazzato che vuole
morto Bossi o Berlusconi o Bersani o tutti? Delle due l’una: o chi amplifica
questo fenomeno non si accorge di fare il gioco di questa gentaglia a
caccia di
visibilità, e allora è uno stupido; o se ne accorge benissimo, ma lo fa apposta
per criminalizzare tutta l’area del dissenso, e allora è un mascalzone. Il sospetto è proprio
questo: che tutta questa attenzione agli insulti in Rete serva a tutelare il
potere costituito screditando le aree di critica e di opposizione più
intransigenti. È ovvio che chi vuol morti i politici va a cercare audience
e adepti sui social network più frequentati. E, siccome la tv e la grande
stampa sono viste (perché lo sono) come i guardaspalle del potere, è giocoforza
che ogni malcontento si sfoghi in Rete. Non a caso prima i girotondi, poi i
movimenti “contro”, compreso il 5Stelle, trovando otturati tutti i canali
d’accesso, siano nati e cresciuti nel web. E qui il sillogismo è facile quanto
truffaldino: siccome chi non ci sta frequenta certi blog e certe pagine
facebook, allora i mandanti delle frasi assassine sono i titolari di quei
social network, solo perché non hanno il tempo o i mezzi per moderarli e
depurarli all’istante.
Grillo augura la morte
politica ai partiti e al caravanserraglio di parassiti che ci ingrassano, poi
si permette di non fare subito una dichiarazione d’amore a Bersani ricoverato? Eccolo
lì il violento, il cattivo maestro, l’istigatore di chi vuol morto Bersani.
Tant’è che Grillo, l’indomani, è costretto ad augurare precipitosamente pronta
guarigione a un malato mai visto né conosciuto in vita sua, con cui molti
parlamentari a 5Stelle, che invece lo conoscono, avevano già solidarizzato. Il tutto per non passare per il mandante dell’aneurisma.
Ma davvero l’unico
modo per dimostrare umanità e compassione è sfilare in passerella nei corridoi di
un ospedale a favore di telecamera rilasciando dichiarazioni insulse con la
faccia triste? Questa storia dei politici da amare è una
follia ricattatoria introdotta dal berlusconismo (il Partito dell’Amore, che
semina odio da 20 anni) e dilagata in tutta la politica, che deve finire. Ogni
cittadino dev’essere libero di amare, odiare o ignorare i politici, senza che
nessuno si senta autorizzato a chiedergliene conto. Invece questi signori, non
contenti di ammorbarci con la loro pestilenziale presenza a reti ed edicole
unificate da mane a sera, pretendono pure che li trattiamo come persone di
famiglia, soffriamo quando stanno male e piangiamo ai loro funerali. Fermo
restando l’elementare sentimento di umanità, che però vale per tutti, dovremmo
tutti quanti rivendicare il sacrosanto diritto, se non all’odio, almeno
all’indifferenza. Come l’anonimo cittadino che da tre giorni viene linciato dai
commentatori dei giornaloni col ditino alzato per avere twittato una frase di
genuino buon senso: “Anche mio nonno è stato in ospedale, ma non se n’è fregato
nessuno”.
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