da: Il Fatto Quotidiano
Larghi
malintesi su 43 euro di tasse in meno all’anno
di Giorgio
Meletti
La chiave per capire la polemica sulla
legge di stabilità, rovente anche durante il ponte di Ognissanti, è la
piccolezza dei numeri. Sabato ci si è accapigliati sui dati della Cgia di
Mestre, secondo cui la manovra finanziaria per il 2014 prevede tagli di tasse
per 5,1 miliardi di euro e maggiori entrate per 6,2, con un saldo a carico del
contribuente di 1,1 miliardi. Ieri è sceso in campo il ministero dell’Economia
con un’insolita omelia domenicale secondo la quale l’anno prossimo, proprio
grazie alla legge di stabilità, “le famiglie dovrebbero beneficiare di una
riduzione della pressione fiscale di circa un miliardo di euro”.
Inutile armarsi di tabelle e
calcolatrice per vedere chi ha ragione. Si fa molto prima a prendere il
miliardo di risparmi promesso dal ministro Fabrizio Saccomanni e dividerlo per
il numero delle famiglie italiane, che sono 23 milioni: stiamo parlando di un
alleggerimento fiscale di 43 euro a famiglia, pari a un vantaggio di tre euro e
mezzo al mese. Ipotizzando che il vantaggio si concentri sui 15 milioni di
famiglie meno ricche (senza dimenticare che diversi milioni di veri poveri non
pagano tasse e quindi non beneficiano delle elemosine
di Saccomanni), il
risparmio medio diventa 66 euro annui, pari a 5,5 euro al mese. Nel caso avesse
invece ragione la Cgia di Mestre (circa un miliardo di maggiori tasse)
basterebbe mettere il segno più al posto del meno. Stiamo comunque parlando di
cifre trascurabili.
Non è un caso, del resto, che la nota
domenicale di Saccomanni rivendichi alla legge di stabilità in via di
approvazione il merito di preparare per il 2014 una riduzione della pressione
fiscale che rappresenta una “inversione di tendenza” dopo anni di aumento,
anche se le proporzioni sono ridicole: la parte di prodotto interno lordo, cioè
di produzione di ricchezza, che sarà risucchiata dal fisco scenderà, secondo il
ministero dell’Economia dal 44,3 per cento al 44,2 per cento. Ma solo due anni
fa, nel 2011, era al 42,6 per cento. La cura da cavallo del governo Monti ha
dunque comportato un incremento della pressione fiscale di circa 25 miliardi,
ma adesso si litiga su un miliardo in più o in meno. Perché? Ragioni politiche,
ovviamente. È stato il viceministro dell’Economia Stefano Fassina (Pd) a
sollevare ieri il problema, dopo che il capogruppo Pdl alla Camera, Renato
Brunetta, aveva sparato a zero sulla legge di stabilità per le tasse sulla
casa. Brunetta ha detto: “Prima di Monti si pagavano circa 20 miliardi di euro,
con Monti il gettito è stato di 24. Quest’anno si arriverà a 20-21 ma il
rischio, con questa legge di stabilità, è che se ne paghino 25 o 26, forse 30.
Quindi o cambia la tassazione sulla casa o il governo Letta non ci sarà più”.
Come si vede torna il tema vero: la
sopravvivenza del governo. E infatti replica Fassina: “L’impianto della
Tari-Tasi introdotto dal disegno di legge stabilità è stato definito, insieme
alla cancellazione dell’Imu, dal Cdm di fine agosto, con l’accordo di tutti i
capigruppo della maggioranza a sostegno del governo Letta, Pdl incluso e
soddisfatto. Perché una parte del Pdl ora critica? Ha cambiato idea? O è un
attacco strumentale per coprire scelte dovute alla vicenda giudiziaria di
Berlusconi?”. In realtà le critiche arrivano anche dal Movimento 5 Stelle.
Grillo sul blog riporta il Corriere: “Fallisce il bonus assunzioni per i
giovani”. E interviene il premier su facebook: “Grillo fa disinformazione.
Grazie al bonus a ottobre 14 mila giovani hanno trovato lavoro”. Ma i
disoccupati crescono di giorno in giorno. E questo sarebbe un vero argomento di
dibattito. Perché, mentre gli alleati del governo di larghe intese litigano su
50-100 euro di tasse in più o in meno, ogni famiglia a contatto con la realtà
calcola che un figlio disoccupato in più o in meno equivale almeno a 10-15 mila
euro in più o in meno. Ieri è stato diffuso un documento del ministero del
Lavoro secondo il quale dal 2007 al 2012, cioè nei primi 5 anni di crisi, il
numero dei disoccupati è cresciuto da 1,5 milioni a 2,744 milioni.
Se si considera il dato Istat più
recente, che ha portato nel 2013 il numero dei disoccupati a oltre tre milioni,
la crisi ha esattamente raddoppiato i disoccupati italiani. Che sono quelli
iscritti al collocamento. Poi ci sono i cosiddetti “scoraggiati”, che neppure
lo cercano più il lavoro, e sono altri tre milioni. L’aspetto più drammatico
riguarda il Sud. Infatti dei 3 milioni 75 mila disoccupati “ufficiali” quelli
residenti nel Mezzogiorno sono meno della metà, a dimostrazione che per
iscriversi al collocamento occorre una certa qual fiducia nel contesto
economico in cui si vive. Mentre i disoccupati meridionali sono 1,9 milioni su
3 milioni di scoraggiati. Ma di tutto questo non si occupa il dibattito interno
alla maggioranza, monopolizzato dai pochi euro di sgravio fiscale a chi un
lavoro ce l’ha.
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