da: La Stampa
Benedetto
XVI, ora più che mai è il successore di Pietro
di Enzo Bianchi
Per quasi tutti
è stata una sorpresa, per chi lo conosceva anche solo un poco, come me, no.
Perché Benedetto XVI è innanzitutto un uomo coerente tra il suo dire e
l’operare. Aveva detto più volte, e lasciato pubblicare nel libro-intervista
con Peter Seewald «Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi», che avrebbe potuto
dimettersi.
Qualora fosse giunto
«alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente
e spiritualmente di svolgere l’incarico» di successore di Pietro. E così
ha fatto, quando davanti a Dio ha esaminato la propria coscienza. Un gesto
compiuto anche nella consapevolezza che nel mondo di oggi, soggetto a rapidi
mutamenti, occorre il vigore di chi è più giovane, «sia nel corpo sia
nell’animo». Così si è dimesso, ma preparando con cura questo giorno. Aveva
celebrato un concistoro in novembre, per dare un volto maggiormente universale
al collegio cardinalizio, aveva terminato la sua fatica di fede e di
testimonianza nello stendere una lettura di Gesù morto e risorto, vissuto
realmente negli anni della nostra storia, approfondendone i vangeli
dell’infanzia. E speriamo che prima del 28 febbraio consegni - quasi come suo
testamento - l’enciclica sulla fede, dopo le due luminose sull’amore e sulla
speranza. Noi attendiamo ancora questo dono da lui.
Non è questo il
momento di tracciare un bilancio, ammesso che si possa fare, sui
quasi otto
anni del suo ministero petrino: un pontificato che ha attraversato la nostra
storia non facile, non semplice e a volte anche enigmatica, una storia piena di
mutamenti globali nel mondo occidentale (l’aggravarsi di una crisi culturale e
una crisi economica mai conosciuta nei tempi recenti) e di rivoluzioni nel
mondo arabo che giudichiamo «primavere» ma che vediamo attraversate da gelate
repentine; un tempo di incertezze e di mutamenti nell’etica, soprattutto nelle
culture un tempo cristiane. Sono stati anni in cui Benedetto XVI ha continuato
ad ammonire la Chiesa, accettandone la condizione minoritaria, chiedendole di
essere minoranza significativa, capace di esprimere la differenza cristiana in
un mondo indifferente e nel contempo segnato dalla presenza simultanea di molte
religioni nello stesso luogo.
Lo si è definito più
volte un papa conservatore, ma questo gesto lo mostra come innovatore: rompe,
infatti, una tradizione di duemila anni in cui tutti i vescovi di Roma sono
morti di morte violenta o di malattia o di vecchiaia (papa Celestino V dimissionò,
ma costretto da chi sarebbe diventato il suo successore). Così il cattolico è
invitato a guardare più al ministero petrino che non alla persona del Papa:
questo è certamente un fatto rivoluzionario e, ritengo, anche più evangelico.
Chi esercita l’episcopato o un servizio di presidenza nella Chiesa, lo fa in
comunione con Cristo Signore in misura del grado in cui è stato posto, ma una
volta cessato l’esercizio del ministero, un altro può continuarlo e la persona
che lo ha esercitato in precedenza scompare, diminuisce, si ritira.
La domanda che già
sentiamo risuonare - come sarà con due papi viventi? - in realtà non sussiste,
perché uno solo sarà il Papa. Benedetto XVI tornerà a essere il cardinal
Ratzinger e non possederà più quella grazia e quell’autorevolezza dello Spirito
santo che saranno possedute da chi sarà eletto nuovo Papa dal legittimo
collegio cardinalizio. Su questo la dottrina cattolica è chiara e non permette
che una persona sia più determinante del ministero che gli è stato affidato. In
ogni caso, conoscendo l’umiltà di Benedetto XVI, siamo certi che egli - come
promette nel messaggio rivolto ieri ai cardinali - si dedicherà alla preghiera
e anche lui pregherà con la Chiesa intera per Pietro, per il nuovo Papa, ben
sapendo di non esserlo più: avverrà per il vescovo di Roma, come per i vescovi
emeriti delle altre diocesi.
Papa Benedetto ha
compiuto un grande gesto, evangelico innanzitutto, e poi umano. In uno stupendo
commento ai salmi, sant’Agostino - un padre della chiesa tra i più amati da
Benedetto XVI - leggiamo: «Si dice che quando i cervi migrano in gruppo o si
dirigono verso nuove terre, appoggiano il peso delle loro teste scambievolmente
gli uni sugli altri, in modo che uno va avanti e quello che segue appoggia su
di esso la sua testa... quello che sta in testa sopporta da solo il peso di un
altro, quando poi è stanco passa in coda, giacché al suo posto va un altro a
portare il peso che prima portava lui e così si riposa dalla sua stanchezza,
poggiando la sua testa come la poggiano gli altri” (Commento al Salmo
41).
Così la presenza di
Ratzinger nella Chiesa non si conclude. Sarà un presenza altra e non meno
significativa: una presenza di intercessione. Si metterà cioè tra Dio e gli
uomini, non per compaginarli nella comunione cattolica - questo non sarà più il
suo compito - ma per chiedere che Dio continui a inviare le energie dello
Spirito santo sulla Chiesa e i suoi doni sull’umanità. Molti oggi vorrebbero
dire a papa Benedetto XVI: «Grazie, santo Padre!» per il suo disinteresse, per
la sua sollecitudine affinché anche il Papa sia decentrato rispetto a colui che
dà il nome di cristiani a molti uomini e donne che hanno fede solo in lui: Gesù
Cristo! Si diceva che questo Papa ha grandi parole ed è incapace di gesti: il
più bel gesto ce lo lascia ora, come Pietro che ormai anziano - dice in Nuovo
Testamento - «se ne andò verso un altro luogo» continuando però a seguire il
Signore. Benedetto XVI appare successore di Pietro più che mai, anche nel suo
esodo.
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