Faccio mie queste parole di Vito Mancuso su Carlo Maria Martini: “Prima ancora
delle cose che diceva, ciò che catturava la mia giovane attenzione era il modo
con cui le diceva, del tutto privo di
retorica ecclesiastica ma al contempo così
diverso rispetto al linguaggio quotidiano, un modo di parlare che sapeva
far percepire un altro mondo senza essere "dell'altro mondo". Le sue parole erano semplici ma severe, comprensibili
ma profonde, elementari ma arcane,
e soprattutto riferite sempre alle cose
e alle situazioni, mai dette per se stesse, per far colpo sull'uditorio.
da: la Repubblica
Un
uomo di Dio
di Vito Mancuso
Chi è stato Carlo Maria Martini? Si può rispondere
dicendo un cardinale per lungo tempo papabile, l'arcivescovo per oltre
vent'anni di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente per un decennio
del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.
Un biblista all'origine dell'edizione critica più
accreditata a livello internazionale del Nuovo Testamento (The Greek New
Testament), il rettore di due tra le più prestigiose istituzioni accademiche
del mondo cattolico (Università Gregoriana e Istituto Biblico), un esperto
predicatore di esercizi spirituali a ogni categoria di persone, un gesuita di
quella gloriosa e discussa Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola, un
autore con una bibliografia sterminata in diverse lingue, e altre cose ancora.
Ma la risposta che coglie la peculiarità della sua persona si ottiene dicendo
che fu un uomo di Dio.
Il tratto essenziale
della sua persona e del suo messaggio è tutto contenuto nel titolo del primo documento
programmatico che egli indirizzò alla diocesi di Milano all'inizio del suo
episcopato nel 1980: La dimensione
contemplativa della vita. A questo obiettivo egli ha educato con i suoi insegnamenti,
e ancor più con tutta la sua persona, con la voce, lo sguardo, il portamento.
Accostare Martini significava infatti intravedere quanto di più alto può
dimorare nel petto di un uomo, ovvero l'intelligenza che serve
incondizionatamente il bene e la giustizia e che non cessa mai, neppure di fronte
alle assurdità e alle tragedie del vivere, di nutrire una singolare speranza
nel senso e nella direzione della vita. Se l'espressione "nobiltà dello
spirito", tanto cara a Meister Eckhart e a Thomas Mann, significa
qualcosa, questo è il tentativo di descrivere l'esperienza suscitata
dall'incontro con persone come Martini, profondamente uomini ma anche così
diversi da ciò che è semplicemente umano, del tutto trasparenti ma non privi di
silente mistero.
Martini è stato tra gli esponenti più significativi di
ciò che viene solitamente definito cattolicesimo progressista, quell'ideale
cioè di essere cristiani non contro, ma sempre e solo a favore della vita del mondo.
In questo egli ha rappresentato uno dei frutti più belli del Concilio Vaticano
II e di quella stagione che credeva nel rinnovamento della Chiesa in autentica
fedeltà al Vangelo di Cristo, senza più nessun compromesso con il potere. Ora
che egli è morto, quella stagione si allontana sempre di più e si fanno sempre
più rare, nel mondo cattolico italiano, le voci profetiche. Ma proprio a proposito
di profezia, è necessario sottolineare la sua libera autodeterminazione di
affrontate la morte in modo del tutto naturale, senza sondini nasogastrici o
altri apparecchi del genere messi a disposizione dalla tecnica, nella piena
fiducia di chi sa che sta per entrare in quella dimensione eterna che la fede
chiama "casa del Padre".
Mi sia concesso infine un ricordo personale di colui
che è stato il mio padre spirituale. Se io infatti iniziai a vivere seriamente
la fede cristiana, fu prevalentemente a causa sua: in quanto vescovo della mia
diocesi, egli faceva risplendere nella mia giovane mente di liceale l'ideale
cristiano. Ciò che mi conquistò, fin dai suoi primi discorsi che leggevo o
ascoltavo, fu il linguaggio. Prima ancora delle cose che diceva, ciò che
catturava la mia giovane attenzione era il modo con cui le diceva, del tutto privo
di retorica ecclesiastica ma al contempo così diverso rispetto al linguaggio
quotidiano, un modo di parlare che sapeva far percepire un altro mondo senza
essere "dell'altro mondo". Le sue parole erano semplici ma severe,
comprensibili ma profonde, elementari ma arcane, e soprattutto riferite sempre
alle cose e alle situazioni, mai dette per se stesse, per far colpo sull'uditorio. Io ero poco più di un
ragazzo e certamente allora non avrei saputo dire nulla delle caratteristiche
del suo linguaggio, ma ne percepivo dentro di me l'autenticità esistenziale, avvertivo uno stile
diverso, per nulla ecclesiastico ma non per questo privo di sacralità, anzi
tale da farmi sentire che c'era veramente qualcosa di sacro nell'esistenza
concreta degli uomini che andava servita con rettitudine, intelligenza e amore.
E questo Carlo Maria Martini ha fatto, in fedeltà a Dio e agli uomini, per
tutta la sua lunga vita.
Nessun commento:
Posta un commento