Matteo Renzi continua a non piacermi. In
senso politico.
Non è questione di antipatia, tutt’altro:
mi è simpatico. Né si tratta di un’avversione a “pelle”. E’ una valutazione
oggettiva. Non c’è niente di ciò che dice
- per come lo dice – che abbia contenuto. Che mi convinca. Per questo lo
ritengo il vero erede di Berlusconi insieme alla figlia Marina.
E se dice qualcosa, per convinzione o per
attirare i voti del centro destra è “montiano”. Nel senso che, Mario Monti ha
fatto alcune scelte impopolari pescando nelle tasche dei soliti e così ha messo
sotto i controllo i conti. E non ha fatto nessuna riforma che si possa
lontanamente considerare di centro-sinistra. Ma a Renzi fa gioco. Ciò che c’era
da spalare l’ha fatto Monti. Perché cambiare rotta? Soprattutto se non si ha un
modello sociale-culturale alternativo.
Se fosse veramente un fautore della
giustizia sociale, come gli ho sentito dire dalla Gruber, dovrebbe spiegarmi
che cazzo c’entra questa con la riforma delle pensioni del duo Fornero-Monti. E
non solo per ciò che attiene al problema creato con gli esodati. In generale.
Pochi contenuti accettabili in una riforma che colpisce alcune fasce di
lavoratori. Giustizia sociale? Se è questa la giustizia sociale di Renzi se la
può impippare dove dico io…
da:
la Repubblica
Prof,
sedicenni e "spie" dei rivali ecco il meeting pot del Renzi show
Molti
i neofiti fra il pubblico: "Cerchiamo una sinistra lontana dalla
Fiom". Dal tecnico del suono ai filmaker, Matteo ha scelto persone più
brave di lui
di Concita
De Gregorio
Cambio di prospettiva. La
campagna elettorale di Matteo Renzi bisognerebbe provare a guardarla dal palco:
spalle al protagonista e occhi negli occhi al pubblico. Proprio come fa il
fotografo - bravissimo - che ad ogni tappa dà il visto si stampi ad un'immagine
sempre uguale e ogni volta diversa: Matteo di spalle, camicia bianca e
pantaloncini affusolati, che parla alla folla inquadrata di prospetto e col
grandangolo, assiepata nei teatri e nelle piazze. Effetto: un uomo solo e la
moltitudine. Nelle foto gli sguardi delle cuoche della festa di Ravenna, i
capelli col gel dei ragazzini di Monza, la messa in piega delle anziane signore
del Politeama di Varese, i giovanotti con la borsa a tracolla e le insegnanti
trentenni dell'Auditorium di Roma. Una foto, lo sa bene Renata Polverini, può
decretare l'inizio e la fine di
ogni cosa. Molto più delle cronache di
giornale, delle analisi, dei mille commenti in chat. Una foto che dice, per
esempio, che nell'autunno in cui alle Feste del Pd si è segnato il minimo
storico di presenze (perché erano tante e tutte insieme, certo, perché faceva
freddo e pioveva, sì, perché alle feste ci vanno solo i militanti mentre nei
teatri e nelle piazze ci vanno tutti, d'accordo) ecco negli stessi giorni,
però, guardate bene in faccia la platea di Renzi. Di qua, ai dibattiti di
partito, militanti di mezza età inoltrata seduti composti sulle sedie. Di là ai
comizi di Matteo, giovani e vecchi seduti ovunque, per terra e sulle scale,
amici nemici e curiosi, addetti stampa degli avversari venuti a prendere
appunti con l'Iphone e ragazzini non ancora in età di voto che "mi
interessa perché domani c'è assemblea, a scuola, e così racconto cosa
dice". Potete non crederci, che ci siano sedicenni che vanno in gruppo ad
ascoltarlo, ma ci sono.
A Ravenna è venuto a sentire il parrucchiere del paese vicino, Alfonsine, che
"le ragazzine sono pazze di lui, vorrei capire perché". A Forlì la
cuoca della Festa dell'Unità "che potrebbe avere l'età di mio nipote mi fa
tanta tenerezza, mi dà speranza". A Monza l'imprenditore ex socialista
"che non so, ci devo pensare ma certo la destra ormai fa schifo e a
sinistra ci sarà pure qualcuno che non parla solo la lingua della Fiom". A
Varese, culla leghista, la vecchina coi capelli blu che vorrebbe farsi
autografare la sua foto "perché mi piace un casino". Dice così, la
settantenne: un casino. Certificato dai video.
Visto dal palco, letto negli occhi di chi guarda, lo show di Renzi funziona. Fa
ridere e scalda, coinvolge, non annoia. Perché questo sono, i comizi di Renzi.
Uno spettacolo: un format studiato nei dettagli - colori sul palco, rosso e blu
come Obama, luci, regia, quattro pillole di video, sempre le stesse, tre o
quattro immagini che lui chiama sul maxischermo a comando con la confidenza del
tu all'interlocutore invisibile alla consolle: "mi dai Curiosity?, ce
l'abbiamo?". Certo che ce l'abbiamo, che domande. Ecco Curiosity, il rover
della Nasa che cammina su Marte, "ho controllato, è costato meno dei
lavori alla Salerno Reggio Calabria". Risate, applausi. Le battute sono
sempre le stesse, dall'ampolla del dio Po all'alzate la mano se pensate che
spendiamo troppo per il pubblico impiego. Le pillole in video anche, scelte con
sapienza televisiva: alleggeriscono, emozionano. Arrivano dove lui da solo non
arriverebbe. Troisi che a "ricordati che devi morire" risponde
"ora me lo segno", per dire dello sconfittismo di certa sinistra,
riscatta anni di cupezza nei cinquantenni che "Non ci resta che
piangere" lo videro in prima visione. Cetto La Qualunque nella gag dello
scontrino fiscale scatena i venti-trentenni dello sciagurato ventennio della
furbizia al potere. Will Smith che dice al ragazzino "non permettere a
nessuno di dirti che non sai fare qualcosa" illanguidisce le giovani madri
e le nonne. Crozza con l'orsetto che fa il verso al bambino Renzi fa ridere il
pubblico televisivo, cioè tutti. Obama che parla della bimba Christina uccisa a
Tucson - obiettivamente: superlativo - chiude lo show, due minuti di silenzio
solido in platea e standig ovation, commenti all'uscita su quanto è bravo
Obama, mamma mia, piccoli capannelli nel foyer, "Ma hai sentito quando
dice che bisogna tenere in vita le aspettative dei bambini?". E sì era
Obama, non Renzi, ma è uguale.
Perché almeno in una cosa, sicuramente in questa sì, Renzi ha già sconfitto
tutti gli avversari: si è circondato di persone più brave di lui. Non ha avuto
paura che gli facessero ombra, i collaboratori. Ha preso su piazza i migliori:
lo spettacolo dell'Auditorium, chiunque abbia mai allestito anche solo un palco
di paese lo sa, è un oggetto teatrale semplicissimo e sofisticato, costoso,
studiato e provato nei particolari. Il regista, il tecnico del suono, gli
autori dei testi, i filmaker che riversano sul blog le interviste fatte per
strada, l'organizzatore che prende al volo la sala una settimana prima. Tutto
funziona meglio di quando non accada agli altri, basta dare un'occhiata il
giorno dopo sul web per verificare. Non è solo Gori, anche se Gori è molto. Non
sono nemmeno le risorse, cioè il denaro: anche gli altri ne dispongono in
sufficiente quantità. E' una rete di competenze al lavoro, e la differenza si
vede. Il pubblico applaude con convinzione, ed è un pubblico davvero misto per
età e formazione, per provenienza politica. A Varese, nel teatro strapieno, c'è
"una minoranza di ex leghisti, pochi del Pd", annota sul taccuino la
giornalista locale che i militanti politici li conosce quasi tutti di persona.
Il resto "sono gente qualunque, quella è la mia vecchia prof del liceo.
Quella la libraia del corso. Quello lì un avvocato, democristiano mi pare. Gli
altri non so, alle manifestazioni politiche non li ho mai visti". A Roma,
alle nove di sera a due passi dal Vaticano, ci sono gli ex addetti stampa di D'Alema,
di Franceschini e di Prodi, gli uomini del Campidoglio di Veltroni e quelli di
Alemanno, i pdl Fabrizio Santori e Gianluigi de Palo assessore alla scuola del
Comune. "Questo ha già vinto", si dicono i collaboratori di Alemanno
dando un'occhiata alla sala. "Macché, sono tutti curiosi", rispondono
dal capannello bersaniano.
Tutti no. In massa si fermano a firmare gli otto referendum per Roma proposti
dai radicali, poi dentro in sala tutto pieno fino in galleria. Renzi batte e
ribatte sulla scuola, gli asili nido e la formazione, il merito e i professori
che fanno il mestiere "più bello e più importante del mondo". Tre
video su cinque (Crozza, Will Smith, Obama) parlano di bambini e lui stesso
manda di sé questo messaggio: racconta del figlio undicenne, poi diventa in
proprio il portabandiera dell'innocenza e del coraggio di un bambino. In
platea, tra i tanti, tre sedicenni compagni di classe. Mattia Fiorilli, David
Valente, Federico Stefanutto. A Federico piace, a Mattia per niente, David è
dubbioso. "Siamo venuti a sentire, così poi possiamo discutere
meglio". La madre di un loro compagno di scuola passa e li riconosce, li
saluta, si compiace. Mattia dice che "però tutta questa roba è fuffa, è
solo buona per la tv". Federico si accalora, non è vero, David ascolta.
Una giovane donna, il doppio dei loro anni, si ferma a guardare la scena.
"Ma ragazzi, voi l'avete mai sentito un uomo politico parlare di asili
nido?", domanda. Vorrebbe fermarsi a parlare con loro ma s'è fatto tardi,
scusi signora, domani c'è scuola e fra mezz'ora chiude la metro.
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