da: La Stampa
Le
brevi illusioni dei mercati
di Mario
Deaglio
Con l’arrivo, il 23 di settembre, dell’autunno
astronomico, è finita non solo l’estate dei comuni mortali ma anche l’estate
dei mercati finanziari. L’indice Ftse Mib della Borsa di Milano è passato dalla
quota 16 mila di venerdì alla quota 15.400 di ieri, una perdita prossima al 4
per cento in 3 giorni lavorativi che mette la parola fine all’eccezionale
recupero di agosto e della prima metà di settembre. Naturalmente non si tratta
di un fenomeno solo italiano, da Tokyo a New York, passando per l’Europa, i
listini sono, pressoché dappertutto, seccamente in ritirata. Milano si trova
così in buona compagnia: ieri le perdite di Francoforte e Parigi hanno superato
il 2 per cento e le Borse americane sono in trincea.
Che cosa sta succedendo? I mercati internazionali scontano la fine di
tre illusioni che li hanno accompagnati nel corso dell’estate. La prima,
piuttosto infantile ma molto diffusa, può essere definita l’«illusione della
bacchetta magica». Secondo questa deformazione
mentale, governi e banche centrali
possono ribaltare, in poche settimane o in pochi mesi, tendenze negative
radicate da anni. Basta un piccolo provvedimento di qualche riga, la modifica
di qualche norma scomoda e tutto ripartirà, il giardino delle delizie
finanziarie tornerà a far maturare i suoi frutti meravigliosi.
In realtà, la crisi che stiamo vivendo da cinque anni è qualcosa di molto più
serio, i suoi bacilli sono annidati pressoché dappertutto nell’economia e
nella società, non soltanto nei listini di Borsa e la loro estirpazione, se
riuscirà, richiederà anni. Le azioni di risanamento hanno poi i loro alti e
bassi, non sono certo facili
percorsi in discesa. Gli
operatori finanziari che non ci vogliono credere rischiano di trovarsi con un
pugno di mosche in mano.
La seconda illusione dei mercati è connessa
alla prima e cioè che – bacchetta magica o non bacchetta magica - si sia già
trovata la medicina sicuramente in grado di far ripartire l’economia reale, il
che avrebbe immediate e positive ripercussioni in Borsa. In realtà le medicine
proposte sono due, entrambe, al momento, non risolutive: l’immissione massiccia di liquidità, adottata dagli americani, che
riesce appena a tenere a galla l’economia degli Stati Uniti ma non a farla
ripartire davvero, e il mix europeo di
austerità fiscale (oggi) e di stimoli
produttivi con bilanci pubblici risanati (domani), che, per definizione,
richiede molto tempo, molta pazienza e qualche sacrificio. Sempre che poi i
risultati ci siano.
Gli europei sono davvero disposti ad
accettare questi sacrifici e a dar prova di questa pazienza? Alla domanda si
raccolgono di fatto risposte molto incerte ed ecco la terza illusione: che i
governi possano decidere ogni tipo di misura tenendo soltanto conto della
sostenibilità economica ed ignorando la sostenibilità politica, ossia i comportamenti
della gente. L’esempio principale è naturalmente la Grecia, dove si insiste su un taglio dopo l’altro senza che il
«buco» del bilancio pubblico possa essere chiuso ma ad ogni ulteriore giro di vite dell’austerità paiono aumentare le proteste popolari – come quelle molto
gravi di ieri - e cresce il numero di coloro che sono tentati dall’idea di
mandar tutto all’aria e uscire dall’euro. Il che non farebbe certo bene
all’euro ma ancor meno ai greci i quali, visto lo stato della loro bilancia dei
pagamenti, non sarebbero probabilmente neppure in grado di pagarsi il grano e
il petrolio per il prossimo inverno.
In Spagna
la situazione è migliore, ma il sentiero è molto stretto. In Italia il cammino
dovrebbe essere più agevole secondo le dichiarazioni di personaggi noti per la
loro severità come il presidente della Bundesbank sulle capacità del Paese di
farcela senza aiuti esterni. L’Italia
è uno dei pochi Paesi in cui le famiglie
dispongono complessivamente di risparmi consistenti e la caduta dei consumi
sembra dovuta non solo alla riduzione dei redditi di alcuni segmenti della
popolazione particolarmente colpiti dalla crisi ma anche a una generalizzata
paura per il futuro. Il che potrebbe significare che se il Paese ritrovasse
fiducia in se stesso, l’economia potrebbe beneficiare subito di un moderato
ritorno della domanda interna.
La sostenibilità politica è un problema che
non si pone soltanto ai Paesi cosiddetti deboli. Lo dimostrano le quasi
contemporanee notizie francesi del superamento dei tre milioni di disoccupati
e del calo di 11 punti in un mese
della popolarità del presidente Hollande;
lo confermano i segni, ormai chiarissimi, di una frenata dell’economia tedesca
e di un’atmosfera non proprio idillica nella coalizione di governo a Berlino.
Quasi non esiste Paese europeo, per quanto apparentemente solido, che non stia
vivendo un momento di inquietudine per le prospettive della sua economia.
Ecco perché le Borse calano o, quando va
bene, sono estremamente guardinghe. Dopotutto, anche se spesso gli operatori finanziari credono di vivere su
un altro pianeta, sono anch’esse espressione di questa società con i suoi
timori e le sue incertezze. Il mondo non
consiste solo dei listini delle Borse, anche delle liste della spesa,
sempre più sofferte, delle massaie. E’ un’illusione
che, nel medio e lungo periodo, i
primi possano andar bene se le
seconde vanno male.
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