Silvio
Berlusconi: "Mario Monti condizionato dalla sinistra" e "troppo
ligio alla Merkel"."Germania
stato egemone". "Renata Polverini non ha fatto niente di
immorale"
di Alessandro
De Angelis
"Renata
Polverini non ha fatto niente di immorale né di illegittimo, apprezzo la sua
scelta". "Rinnovamento del partito? Quel Fiorito ha 41 anni".
Così Silvio Berlusconi, ieri notte appena dopo le dimissioni della governatrice
del Lazio, aggiorna l'intervista concessa all'Huffington Post, la prima a un
media online, alle cinque e mezza di venerdì 21 settembre.
All'appuntamento
a palazzo Grazioli l'ex premier si presenta tonico. "Ho perso otto chili,
hai visto che forma?".
Abbronzato. La
dieta di Berlusconi pare scandire il timing della ridiscesa in campo.
"Altri quattro chili e sono a posto". Sorseggia un tè. Nonostante
l'aspetto rilassato, però, nell'intervista si rivela il solito guerriero.
Non è contento
del governo attuale che pure dichiara di appoggiare: dal premier
“vorremmo più
coraggio” dice,“sul governo Monti ha pesato il condizionamento della sinistra”.
Non è contento di come il presidente del consiglio tratta con la nazione della
Merkel : "Io sarei stato meno ligio con la Germania”. Ed è proprio per la
Germania che ha le parole dure, consapevolmente sfidando i precari equilibri
europei: “Un stato egemone che detta ad altri paesi europei la regola del
rigore e dell’austerità”.
La sua ricetta
di politica economica infatti continua a essere diversa. "Io non avrei
aumentato le tasse". "C'è un clima da stato di polizia
tributaria". Ripete che vuole abolire
l'Imu sulla prima casa e, a sorpresa, spiega di voler trovare i soldi con l'accordo fiscale anti-evasori con la Svizzera.
"Ora il premier cambi passo e punti sulla crescita".
Dei tecnici
pensa che "sono diventati protagonisti della politica". Ma, aggiunge,
"io stesso mi considero un tecnico
sceso in politica". Si mostra disponibile a nuovi sviluppi per il suo
partito ("Primarie? Non ho difficoltà a competere") e per i moderati:
"Sono disposto a sostenere con tutto il cuore un candidato che non sia
io". Sara Monti? "Non è un errore che Monti sia un candidato perfetto
dei moderati. Ma deve candidarsi".
Sulle tensioni
dei mesi passati, in alcuni casi, non ha cambiato opinione: "Fini ha
tradito e ha dato un contributo all'antipolitica". Su altri ha perdonato:
"Tremonti lo aspetto a braccia aperte se vuole essere nostro
alleato". Sui nemici di oggi ha le idee chiare: "Tra i grillini ci sono giovani animati da una
sincera volontà di impegnarsi. Ma hanno poco a che fare con Grillo, che resta
uno straordinario istrione". E Renzi
"ha anche lui le sue cadute demagogiche". Su un solo punto non cambia
mai opinione, i nemici di sempre: "L'Italia
può tornare in mano ai comunisti".
**********
“Apprezziamo la
scelta di Renata Polverini, che pur non avendo compiuto nulla di immorale né di
illegittimo, ha ritenuto, di fronte alle gravi emergenze venute alla luce
nell'utilizzo dei fondi pubblici, di consentire con le sue dimissioni un
cambiamento dell'amministrazione”. Renata Polverini si è appena dimessa. Silvio
Berlusconi l’ha invitata per giorni a resistere. Ora ne difende la scelta del
passo indietro.
Allora Presidente
Berlusconi, qual è la lezione del Lazio? Serve un rinnovamento del partito?
Rinnovamento?
Quel Fiorito non è una faccia
vecchia, ha 41 anni anche se gliene davo 60. Certo che
bisogna immettere personalità nuove, ma non sempre basta essere giovani.
Bisogna essere giovani e capaci, giovani e professionali. L’unica cosa da
evitare è il professionismo della politica, quello di chi ha alle spalle
trent’anni in parlamento e quando va in televisione la gente non ne può più. Io
vorrei che in televisione andassero solo i giovani.
Parliamo di Monti, o meglio
di un anno di Monti. Il suo partito, in questo anno, ha votato tutti i
provvedimenti, sia pure con qualche mal di pancia. Gli atti concreti parlano di
un chiaro sostegno all’esecutivo, le sue parole nelle ultime esternazioni un
po’ meno. Come giudica i risultati?
Il professor
Monti era sulla carta il miglior presidente del consiglio per un governo
d’emergenza che avesse l’appoggio sia della maggioranza sia dell’opposizione e
potesse fronteggiare al meglio la crisi. Io per primo lo avevo indicato a suo
tempo come commissario europeo, e a Bruxelles non ci ha deluso.
A palazzo Chigi l’ha delusa?
A palazzo Chigi
è partito bene, con una politica di continuità rispetto a leggi di bilancio,
riforme e provvedimenti assunti dal mio governo in accordo con l’Europa nella
lettera di impegni, e relative scadenze del 26 ottobre 2011, approvata dal
Consiglio europeo la sera stessa in cui è stata inviata. Vorrei ricordare che
negli anni della crisi è stato il mio esecutivo a mettere in sicurezza i conti
dello stato, varando manovre di finanza pubblica per 265 miliardi rispetto ai
60 del decreto “Salva-Italia” di Monti, in modo da raggiungere il pareggio di
bilancio nel 2013, come richiesto dalla Banca centrale europea, con un anno di
anticipo rispetto alle previsioni iniziali. Ricordo pure di avere detto no ad
assoggettare l’Italia al programma della Troika al G20 di Cannes il 4 novembre
2011.
E allora in cosa non
coincide la sua idea con quella di Monti?
Purtroppo, nel
momento in cui si doveva accompagnare l’austerità con la crescita, ha pesato
sul governo Monti il condizionamento della sinistra: i veti del Pd sulla
riforma del mercato del lavoro hanno interrotto l’azione riformatrice. Il
professor Monti ha preferito aumentare le tasse invece di rimettere in moto
produzione e consumi. E noi abbiamo assunto un doveroso atteggiamento critico
verso una politica ormai esclusivamente recessiva. Vorremmo più coraggio.
Avergli dato fiducia e averlo sostenuto finora in parlamento dimostra la
lealtà, la serietà e la coerenza con cui abbiamo voluto onorare la scelta
“patriottica” delle dimissioni a novembre. Fermi restando rigore nei conti e
pareggio di bilancio, è ora opportuno che il governo Monti cambi il passo della
politica economica, puntando allo sviluppo.
Lei che cosa avrebbe fatto
di diverso se fosse stato al governo?
Anzitutto non avrei aumentato la pressione fiscale.
E non avrei imposto il tetto dei mille
euro per i pagamenti in contante. Si è creato un clima nel quale i
cittadini rischiano di sentirsi prigionieri di uno stato di polizia tributaria
che controlla accanitamente tutte le espressioni di spesa e, quindi, di
benessere.
Lei ha promesso che in caso
di vittoria abolirà l’Imu. Ha un’idea anche di come finanziare questo
provvedimento, visto che il problema è economico?
L’Imu riguarda
la prima e la seconda casa con un gettito suddiviso tra lo stato e i comuni, ed
è di fatto un’imposta patrimoniale se consideriamo anche la rivalutazione degli
estimi catastali. La nostra proposta è abolire
l’Imu sulla prima casa. Una tassa intollerabile per gli italiani, che
diversamente dal resto d’Europa abitano per l’80 per cento nella casa di
proprietà. L’Imu andrebbe considerata una imposta “una tantum” per l’emergenza,
un pronto soccorso che dovrebbe trasformarsi in Imu federale soltanto sulle
seconde case. Il mancato introito potrebbe essere recuperato attraverso il nostro piano di attacco al debito pubblico per
400 miliardi di euro, proposto dal Pdl e pubblicato fra l’altro dal Sole24Ore.
Può fare un esempio concreto
di come coprirebbe l’Imu?
La stipula
delle convenzioni fiscali con la Svizzera, sul modello di quelle già stipulate
tra la Svizzera e la Germania e la Gran Bretagna, potrebbe già coprire più del
doppio del gettito che verrebbe a mancare in un anno dall’Imu sulla prima casa.
Invece di gravare sulla casa, il pilastro sul quale ogni famiglia ha il diritto
di fondare la sicurezza del proprio futuro, invece di deprimere il mercato
immobiliare impoverendo tutti gli italiani, dobbiamo puntare a ridurre gli
sprechi e abbattere il debito, rilanciando i consumi e, quindi, il lavoro.
E in Europa?
Rispetto a
Monti sarei stato meno ligio alla Germania,
uno stato egemone che detta agli
altri paesi europei la regola del rigore e dell’austerità, con la pretesa che
attraverso l’austerità si possa ridurre il debito. Ma questa è un’illusione: il
debito pubblico si diminuisce con l’aumento del Pil, che significa sviluppo e
crescita.
Presidente, lei non pensa
che le sue parole su Monti, le sue critiche alle politiche europee siano
proprio la causa delle preoccupazioni delle cancellerie europee sul dopo Monti?
Insomma, col suo programma, se c’è già un programma, l’euro è più sicuro o
meno?
Le cancellerie
europee sono preoccupate non per me o per quello che dico io, ma per un quadro
politico italiano oggettivamente frammentato e per un’architettura
istituzionale che impedisce a qualsiasi governo di fare il proprio lavoro, cioè
di decidere. Perciò non mi stanco di insistere sulla necessità della riforma
dell’architettura istituzionale. Riguardo all’euro, ho detto con assoluta
chiarezza, e lo ripeto, che sono stati commessi degli errori sia introducendolo
sia lasciandolo rivalutare rispetto al dollaro, ma oggi sarebbe difficile
uscire dall’Eurozona.
Facciamo chiarezza una volta
per tutte: lei vorrebbe l’Italia dentro o fuori dall’euro? Quali sono gli
scenari?
Ci sono tre
possibilità. La prima: convincere la Germania che non possiamo andare avanti
solo con l’austerità. La seconda: che la Germania esca dall’euro, un’ipotesi
non fantascientifica se le stesse banche tedesche hanno valutato la possibilità
della sostituzione dell’euro con il marco e, terzo, che escano dall’euro gli altri paesi, il che però significherebbe la
fine della moneta comune e la rottamazione dell’Europa.
E quale di queste tre ipotesi
preferisce?
La numero uno:
convincere la Germania.
Allora come si esce da
questa situazione?
Il problema è
quello di riformare l’Unione europea e attribuire alla Bce le prerogative di
una vera banca centrale, compreso il ruolo di garante dei debiti sovrani di
tutti gli stati che hanno ceduto il loro diritto di stampare moneta all’Unione
europea e per essa alla Bce, rendendo così aperti al rischio di default i loro
debiti sovrani. Ricordo che il Giappone ha il 238 per cento di debito rispetto
al Pil, ma riesce a collocare i suoi titoli all’1 per cento perché ha una vera
banca centrale che stampa moneta.
Bene, lei ha parlato di
“recessione”. E ha criticato il Fiscal compact perché impedirebbe la crescita.
È lo stesso Fiscal compact che fu negoziato dal suo governo e votato dal Pdl.
Come mai ora lo critica? È cambiato qualcosa? Lei sa quanto è delicato il punto
per il governo Monti che lei appoggia: la sua critica è una richiesta di
cambiamento al governo o si tratta di un’analisi astratta?
Da capo del
governo ho condotto a Bruxelles sul Fiscal compact una battaglia solitaria,
perché la Francia era perfettamente allineata alle posizioni rigoriste della
Germania. Ho addirittura posto il “veto” sul progetto iniziale bloccando la
discussione, e ottenuto che si valutassero nei calcoli del Fiscal compact i
cosiddetti “fattori rilevanti”, cioè gli elementi oggettivi a favore
dell’economia italiana (come il risparmio privato, delle famiglie e delle
aziende, e la solidità del sistema bancario). Deve poi essere calcolato il
nostro Pil globale, aggiungendo cioè al Pil emerso anche il Pil sommerso, così
da ridurre a sotto il 100% la percentuale del nostro debito rispetto al Pil. In
parlamento abbiamo votato il Fiscal compact per senso di responsabilità, ma
anche sulla base di un ordine del giorno che richiamava i regolamenti promossi
dall’Italia in sede europea, regolamenti che impongono di tener conto dei
“fattori rilevanti” che ho appena citato e per i quali mi sono personalmente
battuto a Bruxelles. Ecco, bisogna continuare a difendere in Europa questa
nostra posizione chiarissima.
Andiamo con ordine. Monti ha
detto che per risanare il paese aveva messo in conto una fase recessiva. Ma la
ragione della richiesta del suo abbandono di palazzo Chigi lo scorso novembre
non era proprio quella di non far entrare l’Italia in recessione?
No. La ragione
del passo indietro era politica. È stato un gesto di responsabilità verso il
paese. Il mio governo, e io personalmente, siamo stati a lungo oggetto di una
pesantissima campagna mediatico-giudiziaria e di speculazione, interna e
internazionale. Oggi è evidente a tutti che la responsabilità dell’innalzamento
dello spread non era mia o delle misure prese dal mio governo. Lo spread,
rimasto pure con Monti sull’ottovolante per mesi, fino a quota 536 punti base
il 24 luglio scorso, è diminuito solo quando Mario Draghi ha dichiarato
l’impegno della Bce a fare tutto il necessario per soccorrere i Paesi debitori
acquisendo titoli di stato dei paesi in difficoltà. Sono fiero di aver determinato,
da capo del governo, la nomina di Draghi alla Bce. La recessione è un problema
diverso. Ho già spiegato che il governo Monti ha agito sempre con la pistola
puntata alla tempia da parte dell’Europa. Il risultato è sotto gli occhi di
tutti: la recessione. Qualcuno nella sinistra aveva addirittura sostenuto che
con le mie dimissioni lo spread sarebbe diminuito di 300 punti base…
Invece?
Tutti hanno
capito che lo spread altro non è che il premio per il rischio che gli
investitori ritengono di correre acquistando titoli di uno stato che non ha più
la possibilità di stampare moneta, esponendo così, lo ripeto, il proprio debito
sovrano al rischio di default.
Questo ci porta fatalmente
alla ricostruzione di quel che è stato. Lei in questi mesi ha appoggiato lealmente
il governo Monti. Le chiedo: alcune volte e di fronte ad alcuni fatti, non si è
trovato a dire “tanto valeva che restassi”?
Può darsi. Ma i
nostri governi sono stati sempre governi di coalizione, non essendo io riuscito
a convincere gli italiani a darci il 51 per cento dei parlamentari. Questo ha
rallentato, complicato e a volte impedito ogni decisione. L’ambizione personale
di alcuni alleati li ha portati a sabotare l’azione del governo sui singoli
provvedimenti e a dissociarsi, facendo venir meno i numeri indispensabili per
realizzare i provvedimenti stessi. Nonostante questo, negli anni dei nostri
governi sono state approvate più di 40 riforme e sono stati tenuti i conti
pubblici in ordine senza mettere mai le mani nelle tasche degli italiani.
Presidente, lei è un uomo
che ha sempre avuto molto a cuore quello che la storia avrebbe pensato di lei.
Oggi, a un anno dal governo Monti, con quale aggettivo definirebbe il suo
abbandono di palazzo Chigi?
Una scelta
responsabile perché non essendo stato sfiduciato, pur essendo convinto che
l’alto livello degli spread non fosse colpa mia e del mio governo (come poi è
stato dimostrato) e avendo ancora la maggioranza nelle due Camere, ho ritenuto
che in quel frangente fosse opportuno dare vita a un governo tecnico che fosse
sostenuto da maggioranza e opposizione.
Ai ministri di Monti viene
riconosciuta credibilità e competenza. Avrebbe voluto avere almeno uno dei
ministri di Monti nel suo governo? Se sì, quale?
Molti degli
attuali ministri sono persone di valore ai vertici nelle rispettive professioni
o nella pubblica amministrazione e hanno anche collaborato con noi nei nostri
governi. Il ministro dell’Economia,
Vittorio Grilli, ad esempio, mi ha affiancato tante volte nei Consigli
europei e sa bene quali battaglie abbiamo dovuto sostenere insieme per
difendere gli interessi dell’Italia.
A proposito di ministri
“tecnici”. Lei vede un cambiamento di atteggiamento da parte di questi
ministri, o di alcuni di loro, diciamo una trasformazione dei “tecnici” in
“politici” in vista delle elezioni?
Quella tra
tecnici e politici è una distinzione molto labile. Nel momento in cui sono
entrati nel governo, i tecnici sono diventati protagonisti della politica.
Molti di loro già avevano una lunga esperienza di lavoro al fianco della
politica. Io stesso mi considero un
tecnico sceso in politica, perché tecnico è non soltanto chi insegna in una
Università ma, anche e soprattutto, chi ha sviluppato con successo una
competenza pratica sul campo. L’importante è non essere professionisti della
politica, ma essere arrivati alla politica avendo già una propria attività di
successo: imprenditoriale, d’insegnamento, professionale, amministrativa... La
politica più alta è un servizio, è mettere al servizio degli altri, della
comunità nazionale, le proprie competenze, le proprie energie e il proprio
entusiasmo.
La politica però è anche
potere…
Non è solo
potere o lotta di potere. Anche perché in Italia, a chi governa, la
Costituzione non ha conferito alcun potere.
Il presidente Monti sta
lanciando segnali al centrodestra. Ha dato un giudizio positivo su Forza
Italia, durante il seminario del Ppe di Fiesole, si è dichiarato culturalmente
vicino ai Popolari europei, è stato molto critico sullo statuto dei lavoratori.
È un errore dire che potrebbe essere il candidato perfetto dei moderati o, come
dice lei, di tutti gli italiani alternativi alla sinistra?
Non è un
errore, ma per essere candidato occorre innanzitutto volersi candidare.
Aspettiamo e vedremo.
Parliamo delle prossime
elezioni. Lei in questo momento esita a dire se scende in campo o meno, e
questo è comprensibile. E ha legato la sua decisione alla legge elettorale. Al
netto di tutti i difetti di questo bipolarismo, lei ritiene che la possibilità
di scegliere tra due schieramenti sia un valore da preservare? In altri
termini: la sera del voto gli italiani devono sapere chi va a palazzo Chigi?
Io continuo a
difendere il bipolarismo. Guai a tornare alla prima Repubblica, quando gli
accordi si facevano dopo il voto.
A monte, però, c’è il ruolo
che lei assegna alla sua discesa in campo. Lei ha sempre deciso di scendere in
campo con un’idea molto forte del suo ruolo. Prima è stato per salvare l’Italia
dai comunisti (nel ’94), poi, in un secondo periodo, dal 2001 in poi, si è
presentato come il campione italiano per la libertà economica (tasse) e per
quella individuale (intercettazioni e privacy). Ora una sua ridiscesa in campo
è necessaria per difendere l’Italia da cosa? Da quale drago il suo San Giorgio
deve salvare l’Italia?
La leggenda di
San Giorgio e il Drago risale al tempo delle crociate. Oggi non è più tempo di
leggende e crociate. Ci troviamo di fronte a problemi e a pericoli concreti. Il
primo fra tutti è che l’Italia torni in mano alla vecchia nomenklatura del Pci
che ha aspettato tre anni dopo il crollo del muro per cambiare nome. Perfino i
russi hanno rinnegato il comunismo in anticipo su Occhetto, D’Alema, Bersani,
Fassino, Veltroni.
Ancora ci sono comunisti in
Italia?
Ci sono ancora
in Italia partiti che si definiscono comunisti. Ma soprattutto bisogna
scongiurare che l’Italia finisca in mano a soggetti che in comune non hanno
proprio nulla. Io stesso ho avuto problemi con i miei alleati, eppure partivamo
da basi comuni che sembravano solide. Cosa potrà mai accadere all’Italia
governata da un’armata Brancaleone che comprende Vendola e Casini, Bersani, la
Bindi e Di Pietro?
Accetterebbe di confrontarsi
attraverso primarie di partito con altri candidati?
Non ho mai
avuto difficoltà a mettermi in gioco e a competere con altri.
Lei è disposto a sostenere un candidato che non si chiami Silvio Berlusconi per costruire un nuovo centrodestra?
Certamente sì e
con tutto il cuore.
Nella sua esitazione a
candidarsi, quanto incide la paura di quello che lei chiama “accanimento
giudiziario”?
Nessuna paura.
Ho sempre trovato un giudice a Berlino, non sono mai stato condannato
nonostante un accanimento giudiziario che non ha eguali nel tempo e nel mondo,
e che purtroppo ha già interferito nella storia d’Italia. Nel ‘94, un avviso di
garanzia pubblicato sul Corriere della Sera provocò, con l’intervento di
Scalfaro, una crisi con i miei alleati leghisti che fece cadere il governo e
allontanò per anni l’avvio delle riforme. E tutto per un’accusa dalla quale
anni dopo, troppo tardi, fui giudicato innocente con formula piena “per non
aver commesso il fatto”. No, l’accanimento giudiziario non mi ha mai impedito e
non mi impedirà mai di fare ciò che sento il dovere di fare, nell’interesse del
Paese che amo.
Presidente, a proposito di centrodestra, facciamo il bilancio di un altro esperimento, il Pdl. Un punto colpisce di questi anni: la distanza al suo interno tra le culture politiche è rimasta immutata. Voglio dire dentro FI c’erano ex Dc, ex Psi, ex tutto ed ex niente, ovvero un personale politico nuovo ma il partito sembrava un partito unito; il Pdl – basta vedere le posizioni su Monti – non pare un amalgama ben riuscito. Lo sente ancora come il corpo attraverso cui far camminare le sue idee?
Questo è il
destino dei grandi partiti ed è anche la loro ricchezza. Succede, per fare un
solo esempio, anche ai repubblicani e ai democratici negli Stati Uniti. È
successo alla Dc, che nel Dopoguerra ha garantito la nostra rinascita economica
nella democrazia e nella libertà. E valeva per Forza Italia, che nel ‘94 ha
impedito che l’Italia cadesse in mano alle forze illiberali della sinistra.
Detto questo, la concezione liberale vuole che le idee camminino sempre non
attraverso i partiti, ma grazie a leader dotati di carisma e di credibilità.
La mia sensazione è che l’assetto elettorale del 2013 sia ancora tutto da costruire. E ho la sensazione che lei voglia lavorare su una novità. Ha più volte esternato la sua simpatia per Renzi, e chissà se gli ha fatto un regalo o dato il bacio della morte. Ma la domanda è: se Renzi si candidasse a leader del paese fuori dal Pd sulla base di un suo programma per l’Italia, lei lo sosterrebbe, o quantomeno sarebbe tentato dal farlo?
A proposito di
Renzi e del suo programma mi sono limitato a osservare che sarebbe un bene per
l’Italia se potessero confrontarsi due culture e due schieramenti diversi, ma
entrambi d’ispirazione democratica ed europea: uno popolare e uno
socialdemocratico. Finché nel Pd prevarranno i post-comunisti, questo non sarà
possibile.
Renzi bombarda
l’establishment del centrosinistra. E Beppe Grillo? Fa male soprattutto a
sinistra, o anche a lei e alla sua area politica? La definizione di “fascista”
è corretta per Grillo?
Grillo è un
attore brillante che ha saputo abilmente sfruttare le potenzialità della rete
per interposta persona, e che attenendosi scrupolosamente a un copione scritto,
ha cavalcato e cavalca una protesta legittima contro la degenerazione di una
certa politica fondata sull’incompetenza e sul privilegio.
Ma Grillo la spaventa o no?
No, perché non
è riuscito a proporre qualcosa di costruttivo, e soprattutto non sarebbe
proprio in grado di governare. L’Italia non ha bisogno in questo momento di
salti nel buio, ma di una guida esperta e capace. È significativo che i
candidati grillini preferiscano non apparire in pubblico, non confrontarsi. Tra
loro ci sono giovani animati da una sincera volontà di impegnarsi nella vita
civile e questo è un bene, vanno rispettati. Ma hanno poco a che fare con
Grillo, che resta uno straordinario istrione e nella vita ha costruito soltanto
un successo teatrale.
Presidente, torniamo
indietro. E mettiamola così, senza tanti giri di parole. Questa situazione
politica è frutto anche della crisi della sua maggioranza. Sappiamo, lo ha
chiarito più volte, quali responsabilità attribuisce a Gianfranco Fini. Col
senno di oggi è pentito di non aver puntato sulle elezioni anticipate, quando
era ancora nel novero delle possibilità?
Fini porta la
responsabilità di avere indebolito con il suo tradimento una maggioranza e un
governo che avevano un programma valido per rinnovare l’Italia, senza contare
che con la fondazione dell’ennesimo partitino ha dato anche un contributo
all’antipolitica. Se allora mi fossi dimesso non avrei fatto il bene del paese.
Ho ritenuto che gli italiani avessero diritto a un governo che portasse a
conclusione il suo mandato. Poi è accaduto quel che sappiamo.
L’idea che mi sono fatto in
questi anni è che Fini l’ha indebolita numericamente, ma politicamente è ancora
tutto da raccontare il male che le ha fatto Tremonti. Ricordiamo quando prima
di Cannes, in un burrascoso faccia a faccia, Tremonti le disse che finché lei
fosse stato a palazzo Chigi, sarebbe stato impossibile rassicurare i mercati:
“il problema sei tu”, la famosa frase. Se avesse potuto, avrebbe cambiato
ministro dell’Economia? E se nel futuro Tremonti farà una lista, lo vorrà
alleato del Pdl?
Quella frase io
non l’ho mai sentita. Ho voluto Tremonti come ministro dell’Economia per ben
due volte nei miei governi e ho sempre avuto fiducia in lui. Se vorrà essere
nostro alleato lo accoglieremo a braccia aperte. Ma indipendentemente da
Tremonti, il problema dell’Italia è che il Presidente del Consiglio non ha
poteri reali. Non può cambiare un proprio ministro, non può decidere autonomamente
di utilizzare i “decreti-legge” immediatamente efficaci, ha come unico
strumento il “disegno di legge”, che poi esce dal parlamento solo dopo 550-600
giorni, completamente stravolto. E se il provvedimento non piace, in tutto o in
parte, alla sinistra, un pm di Magistratura democratica lo impugna e lo porta
all’esame della Corte Costituzionale che, essendo costituita da 11 membri di
sinistra e da soli 4 membri di centro-destra, inderogabilmente abroga la legge
o le parti di legge impugnate. Questo sistema, se vogliamo che l’Italia
funzioni, va assolutamente cambiato attraverso la riforma della Costituzione.
Torniamo al futuro. Lei ha detto che ha una simpatia per Renzi, perché in Renzi vede una serie di novità obbligate per la politica. A dirlo esplicitamente, Renzi chiede l’azzeramento dell’attuale gruppo dirigente del suo partito e il tetto di due mandati in Parlamento. Lei è pronto ad accogliere queste due richieste per il Pdl?
Anche Renzi ha le sue cadute demagogiche.
Credo che i cittadini debbano avere la libertà di scegliere i loro candidati in
Parlamento. Il tetto di due mandati può valere per certe cariche esecutive.
Vale ad esempio per il presidente degli Stati Uniti d’America. Quanto al gruppo
dirigente del Pd, l’esigenza di un rinnovamento è assolutamente auspicabile.
Un’ultima domanda, presidente. A torto o a ragione la sua vita privata è stata il terreno di una guerra civile. Sul suo privato lei ha diritto, come tutti, al rispetto. Sul versante politico di questo privato, la domanda è: con l’occhio di oggi rifarebbe tutto, intonando “My way”?
Mi sono sempre
comportato correttamente, in privato e in pubblico. Non ho mai fatto nulla
contro la legge né contro la morale. Tutto il resto è disinformazione e
diffamazione. L’uso della giustizia per eliminare gli avversari politici è una
patologia grave della nostra democrazia.
Nessun commento:
Posta un commento