da: Corriere della Sera
«Così
ci hai chiesto di essere addormentato»
La
lettera al cardinal Martini della nipote Giulia: «Siamo stati assieme, nelle
ultime 24 ore, tenendoti la mano
Caro zio,
zietto come mi piaceva chiamarti negli
ultimi anni quando la malattia ha fugato il tuo naturale pudore verso la
manifestazione dei sentimenti questo è il mio ultimo, intimo saluto.
Quando venerdì il tuo feretro è arrivato in
Duomo la prima persona, tra i fedeli presenti, che ti è venuta incontro era un
giovane in carrozzina, mi è parso affetto da Sla.
D'improvviso sono stata colta da una
profondissima commozione, un'onda che saliva dal più profondo e mi diceva: «Lo
devi fare per lui» e per tutti quei tantissimi uomini e donne che avevano
iniziato a sfilare per darti l'estremo saluto, visibilmente carichi dei loro
dolori e protesi verso la speranza.
Lo sento, Tu vorresti che parlassimo dell'agonia, della fatica di andare incontro alla morte, dell'importanza della buona morte.
Lo sento, Tu vorresti che parlassimo dell'agonia, della fatica di andare incontro alla morte, dell'importanza della buona morte.
Morire è certo per noi tutti un passaggio
ineludibile, come d'altro canto il nascere e, come la gravidanza dà, ogni
giorno, piccoli nuovi segni della formazione di una vita, anche la morte si
annuncia spesso da lontano. Anche tu la sentivi avvicinare e ce lo ripetevi,
tanto che per questo, a volte, ti prendevamo affettuosamente in giro.
Poi le difficoltà fisiche sono aumentate,
deglutivi con fatica e quindi mangiavi sempre meno e spesso catarro e muchi,
che non riuscivi più a espellere per la tua malattia, ti rendevano impegnativa
la respirazione. Avevi paura, non della morte in sé, ma dell'atto del morire,
del trapasso e di tutto ciò che lo precede.
Ne avevamo parlato insieme a marzo e io,
che come avvocato mi occupo anche della protezione dei soggetti deboli, ti
avevo invitato a esprimere in modo chiaro ed esplicito i tuoi desideri sulle
cure che avresti voluto ricevere. E così è stato. Avevi paura, paura
soprattutto di perdere il controllo del tuo corpo, di morire soffocato. Se tu
potessi usare oggi parole umane, credo ci diresti di parlare con il malato
della sua morte, di condividere i suoi timori, di ascoltare i suoi desideri
senza paura o ipocrisia.
Con la consapevolezza condivisa che il
momento si avvicinava, quando non ce l'hai fatta più, hai chiesto di essere
addormentato. Così una dottoressa con due occhi chiari e limpidi, una esperta
di cure che accompagnano alla morte, ti ha sedato.
Seppure fisicamente non cosciente - ma il
tuo spirito l'ho percepito ben presente e recettivo - l'agonia non è stata né
facile, né breve. Ciò nonostante, è stato un tempo che io ho sentito
necessario, per te e per noi che ti stavamo accanto, proprio come è ineludibile
il tempo del travaglio per una nuova vita.
È di questo tempo dell'agonia che tanto ci
spaventa, che sono certa tu vorresti dire e provo umilmente a dire per te. La
chiave di volta - sia per te che per noi - è stata l'abbandono della pretesa di
guarigione o di prosecuzione della vita nonostante tutto. Tu diresti «la resa
alla volontà di Dio».
A parte le cure palliative di cui non ho competenza per dire è l'atmosfera intorno al moribondo che, come avevo già avuto modo di sperimentare, è fondamentale.
A parte le cure palliative di cui non ho competenza per dire è l'atmosfera intorno al moribondo che, come avevo già avuto modo di sperimentare, è fondamentale.
Chi era con te ha sentito nel profondo che
era necessaria una presenza affettuosa e siamo stati insieme, nelle ultime
ventiquattro ore, tenendoti a turno la mano, come tu stesso avevi chiesto.
Ognuno, mentalmente, credo ti abbia chiesto perdono per eventuali manchevolezze
e a sua volta ti abbia perdonato, sciogliendo così tutte le emozioni negative.
In alcuni momenti, mentre il tuo respiro si
faceva, con il passare delle ore, più corto e difficile e la pressione
sanguigna scendeva vertiginosamente, ho sperato per te che te ne andassi; ma
nella notte, alzando gli occhi sopra il tuo letto, ho incontrato il crocefisso
che mi ha ricordato come neppure il Gesù uomo ha avuto lo sconto sulla sua
agonia.
Eppure quelle ore trascorse insieme tra
silenzi e sussurri, la recita di rosari o letture dalla Bibbia che stava ai
piedi del tuo letto, sono state per me e per noi tutti un momento di ricchezza
e di pace profonda.
Si stava compiendo qualcosa di tanto
naturale ed ineludibile quanto solenne e misterioso a cui non solo tu, ma
nessuno di coloro che ti erano più vicini, poteva sottrarsi. Il silenzio
interiore ed esteriore i movimenti misurati l'assenza di rumori ed emozioni
gridate - ma soprattutto l'accettazione e l'attesa vigile - sono stati la cifra
delle ore trascorse con te.
Quando è arrivato l'ultimo respiro ho
percepito, e non è la prima volta che mi accade assistendo un moribondo, che
qualcosa si staccava dal corpo, che lì sul letto rimaneva soltanto l'involucro
fisico. Lo spirito, la vera essenza, rimaneva forte, presente seppure non
visibile agli occhi. Grazie Zio per averci permesso di essere con te nel
momento finale. Una richiesta: intercedi perché venga permesso a tutti coloro
che lo desiderano di essere vicini ai loro cari nel momento del trapasso e di
provare la dolce pienezza dell'accompagnamento.
Giulia
Facchini Martini
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