da:
Corriere della Sera
Facebook, le foto e le
parole svelate E se fosse l'apocalisse della privacy?
I dubbi sulla segretezza
dei dati mentre la società cede in Borsa
di Massimo
Gaggi
Prima i cambiamenti senza preavviso del confine tra pubblico e privato nelle pagine che ogni utente mette su Facebook. Poi la concessione agli inserzionisti pubblicitari di un accesso privilegiato ai profili degli utenti a fini commerciali. Accantonati con fatica quei contenziosi, ecco la battaglia estiva, combattuta soprattutto in Europa, per impedire alla grande rete sociale californiana di introdurre unilateralmente nel proprio sito il sistema di riconoscimento digitale dei volti. Con l'impresa di Mark Zuckerberg che alla fine fa marcia indietro e si impegna a non compiere alcun passo senza un accordo con le autorità della Ue. Due giorni fa, infine, il caso Timeline, con gli utenti di mezzo mondo che hanno accusato Facebook di aver trasferito improvvisamente e senza autorizzazione nelle loro pagine pubbliche gli scambi di messaggi privati del 2008 e del 2009.
Giorni difficilissimi per il gigante dei
«social network», anche se quest'ultimo caso verrà probabilmente derubricato a banale
malfunzionamento della propria piattaforma: un problema causato da un «bug», le
cui conseguenze dovrebbero essere piuttosto limitate. Ma la realtà è che
Facebook si trova nel bel mezzo di una vera e propria tempesta della «privacy»
da esso stesso scatenato.
Fino ad un certo punto l'azienda concepita
in un dormitorio di Harvard è andata avanti con spavalderia, certa che il suo
miliardo di utenti avesse ormai un forte vincolo affettivo col suo sito e che,
abituato ai vantaggi di un dialogo in rete senza barriere, fosse pronto a
rinunciare a proteggere la riservatezza dei suoi dati personali.
Ma la sensibilità degli utenti è man mano cambiata per una serie di incidenti
che hanno fatto scendere in campo prima le «authority» di garanzia, poi gli
stessi esperti della rete, allarmati dalle forzature di una società che, per
far soldi, ha bisogno di sfruttare (e quindi di rendere pubblico) l'enorme
patrimonio di informazioni personali che ha raccolto.
La quotazione in Borsa di Facebook, da
questo punto di vista, non ha giovato: Zuckerberg, percepito dagli utenti della
rete, soprattutto i più giovani, come una sorta di «compagno di banco», è
divenuto improvvisamente un «tycoon» di Wall Street. E mentre le quotazioni in
Borsa precipitavano (ieri il titolo valeva ancora poco più di 20 dollari, circa
la metà dei 38 del collocamento dello scorso maggio), la società ha cominciato
disperatamente a cercare modi nuovi di far fruttare il suo capitale di dati.
Anche perché le entrate pubblicitarie hanno continuato ad avere un andamento
meno soddisfacente del previsto.
Ma con tutti i riflettori improvvisamente
puntati addosso, per Facebook è diventato più difficile vendere le informazioni
che possono consentire a una società commerciale di conoscere in profondità i
comportamenti di ogni singolo consumatore.
Un campo nuovo e promettente è proprio
quello del riconoscimento dei volti. Col suo enorme archivio fotografico (300
milioni di immagini scaricate ogni giorno) e senza più nemmeno la concorrenza
di Instagram (comprata qualche mese fa), Facebook
è ormai in grado di riconoscere ed «etichettare» i volti che compaiono su
tutte quelle immagini grazie al software di Face.com, una società israeliana
che Zuckerberg ha acquistato tre mesi fa. Per la società si aprono nuove
praterie inesplorate: il riconoscimento
facciale può essere usato, ad esempio, per
«schedare» tutti i clienti che entrano in un supermercato e per setacciare
i loro acquisiti.
Ma è evidente che qui si entra in un campo
delicatissimo dal punto di vista dei diritti individuali e anche della
sicurezza. Dopo i primi esperimenti, Facebook ha messo il sistema in «stand-by»
in attesa di perfezionarlo, ma nel frattempo è scoppiata la tempesta in Europa.
La società Usa ha provato a resistere, ma si sono aperti troppi fronti, dalla
Germania, all'Irlanda, alla Norvegia: Zuckerberg alla fine ha accettato di
sottomettere il suo sistema di riconoscimento all'Unione Europea. Non può
permettersi rotture, visto che da quest'area proviene un terzo del suo
fatturato pubblicitario.
Negli Usa,
dove la «privacy» è meno tutelata, si muoverà più
liberamente, ma anche qui Congresso e società civile stanno cercando di mettere
una serie di paletti.
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