da: la Repubblica
La7 e i costi dei palinsesti Cairo, Mentana e Santoro gioie e dolori di
Bernabè
Il numero uno
di Telecom vuole vendere e vuole anche garanzie di valorizzazione degli asset.
Ma chi comprerà lo farà per le frequenze e, tranne forse in un caso,
smantellerà il canale. Impensabile in piena campagna elettorale.
di Stefano
Carli
Chi pensa che entro questa
sera si conosceranno i nomi di fondi e broadcaster, italiani e stranieri,
pronti a darsi battaglia per la conquista di La7 rischia di restare deluso. E’
vero che alle 12 di oggi Mediobanca e Citi, gli advisor scelti
da Telecom Italia, chiuderanno i termini per la presentazione delle offerte di acquisto, per tutta TiMedia o per le due singole parti, i canali tv La7 e Mtv, da una parte, e Timb,
l’operatore di rete, dall’altra. Ma
si tratta di offerte non vincolanti.
Le candidature pervenute
saranno oggetto di una relazione che gli advisor presenteranno a Franco Bernabè
e che verranno illustrate nel cda di Telcom in programma giovedì prossimo, 27 settembre. Si deciderà dunque in
quella data? E’ probabile che la risposta sia ancora una volta “no”. La vendita
di La7 è una strana partita in cui a tutt’oggi troppe cose non sono chiare. A
partire dal fatto che Bernabè afferma non solo di non voler svendere (vorrebbe
quindi far cassa nonostante perdite in aumento e 200 milioni di debiti) ma
chiede perfino assicurazioni sulla
valorizzazione dell’asset: obiettivo difficile da realizzare una volta
raccolte tra operatori e addetti ai lavori valutazioni pressochè unanimi su
questo singolo punto: chiunque comprerà
(con pochissime eccezioni), lo farà per
le frequenze e per conquistare i
tasti 7 e 8 del telecomando e
non per l’attrattività dei palinsesti messi in onda da Gianni Stella.
Questa fase delle “offerte
non vincolanti” è una specie di carotaggio del mercato: Telecom si farà un’idea del tipo di offerte che potrebbe ricevere,
al netto del fatto che tutti sanno che è una fase di tattica, e poi deciderà.
Se si procederà
nella vendita tutto potrà ancora succedere e chiunque potrebbe
farsi avanti, anche chi non ha preso parte a questa prima fase. Ma Telecom
potrebbe anche decidere di non
vendere. E in molti sono pronti a scommettere che Bernabè non si straccerebbe
certo le vesti a doversi tenere in casa un’emittente tv che fa i suoi migliori
share con le news e con l’unico tg italiano in crescita di ascolti, quello di
Enrico Mentana, proprio nel pieno di una campagna
elettorale tesa e con poca visibilità su quale potrà essere tra 6-7 mesi il
prossimo signore di Palazzo Chigi. La strada che porta a queste considerazioni
passa attraverso l’analisi dei risultati di La7, della “confezione” della
vendita e dei possibili candidati. Partiamo da qui. «Dobbiamo distinguere in
base agli obiettivi degli acquirenti - precisa subito Alessandro Araimo,
partner di Roland Berger Italia - Se la si guarda da un punto di vista puramente industriale il candidato
ideale è un grande gruppo che voglia crescere, o entrare in Italia, che
disponga di una library consistente il cui utilizzo in Italia comporti costi
marginali. Perché il problema di La7 non
è l’audicene o i ricavi, ma i costi». Un identikit che vale per molti
soggetti. Sky in primo luogo, ma anche Discovery,
già presente in Italia con Real Time
e DMax, due canali che assieme fanno
oggi il 3% di share e sono in forte crescita. Ma può valere anche per la francese Canal+, che ha appena cambiato
le sue strategie e punta a crescere nei canali digitali in chiaro e nella
pubblicità da affiancare a un business “pay” che si è fermato. Può infine
adattarsi bene anche a Rtl, il
maggior broadcaster europeo: «E’ leader in Germania, ha M6 in Francia, Channel
5 in Uk, Antena 3 in Spagna - elenca Araimo - Ha un totale di 47 canali tv e 29
canali radio. E’ un content provider di dimensione europea con Fremantle e è
già presente sul mercato italiano con un piccolo produttore di contenuti,
Grundy. E’ forse l’unico che potrebbe essere interessato ad entrare in Italia
con un’offerta di tv generalista. Gli altri sono tutte tv tematiche ».
Questa analisi sottende uno
degli aspetti critici: se a comprare sarà uno straniero, con la sola eccezione di Rtl, o forse di Canal+, la
prima mossa del neo proprietario sarà quella di smontare il palinsesto attuale
di La7. Se, per ipotesi, fosse la Discovery
guidata in Italia da Marinella Soldi,
il suo primo obiettivo è opinione corrente, tutti i diretti interessati si
trincerano dietro il classico «no comment» - sarebbe di mettere Real Time sul
tasto 7 del telecomando e già solo per questo potrebbe veder crescere gli
ascolti fino al doppio. Ma questo è un “tasto” dolente, è proprio il caso di
dirlo. Il sistema di numerazione
portato dal passaggio al digitale è
sotto accusa ed è in questo momento in fase di riesame da parte dell’AgCom:
così come è, è troppo rigido e blocca l’ingresso di nuovi canali che si
troverebbero relegati in numerazioni impossibili. Si arriverà a una
ridefinizione: oggi sembra poco probabile che questo porti a rivedere le prime
9 posizioni (quelle a cui si arriva con un solo tasto) perché il problema è nei
numeri alti, ma non è detto. E per questo, che è uno degli asset di La7 e Mtv,
ossia i tasti 7 e 8, c’è comunque un minimo di incertezza che può scoraggiare gli
acquirenti potenziali.
C’è poi il nodo della pubblicità. Chi compra si trova il
contratto con la concessionaria Cairo
bloccato fino al 2019, se non sarà
Cairo stesso, a sua volta uno dei candidati possibili all’acquisto, a
rinunciare. I numeri non si conoscono: filtra a tale proposito perfino qualche
timida e anonimissima indiscrezione da di chi ha visto le carte, ma sembra
insomma che tra i numeri della data room la parte sui ricavi pubblicitari non
sia chiarissima. Quello che si dice tra gli addetti ai lavori è che Cairo
assicuri sì dei minimi garantiti alti, ma trattenga una quota ancora più alta
sulla parte variabile. Insomma, una spada di Damocle sulla crescita: se la
raccolta sale la parte che va a La7 crescerà in proporzione minore. E infatti
già i dati del primo semestre 2012 dicono che se lo share medio di La7 è salito
al 3,5%, e con La7-D si arriva al 3,9%, la quota sul mercato pubblicitario
resta ferma al 2,9%. Ancorchè la raccolta lorda sia cresciuta nel semestre del
13,6% e quella netta del 10%. Ultimo punto, i contenuti. La7 è una tv Mentana-dipendente. Qualcuno l’ha
definita come il contenitore di Mentana. Di fatto è un canale la cui caratterizzazione è sulle news. Vanno
bene i tg che raddoppiano e spesso quadruplicano lo share medio, vanno bene gli
approfondimenti di Lilli Gruber e anche quelli di Formigli e Lerner. Vanno bene
gli eventi con Saviano. Ma quando si torna alla programmazione tipica di una tv generalista lo share si riassesta sui livelli tradizionali, anche se in lieve
crescita. Proprio questo è il problema. Se chi comprasse La7 lo facesse per le
frequenze e il telecomando, potrebbe anche sopportare il contratto con Cairo ma
dovrebbe smontare i palinsesti. E
chiudere una programmazione in cui si sta anche per aggiungere Santoro, che
partirà in novembre, non sembra un compito agevole: certo no, se a comprare
fosse un italiano (solo Mediaset avrebbe il vantaggio delle dimissioni
automatiche promesse da Mentana) ma anche per tutti gli altri sarebbe un
difficile passaggio da gestire in termini di immagine (e anche di penali).
Tanto più in piena campagna elettorale.
«Il fatto è che sul mercato italiano lo spazio per 7 canali
generalisti sicuramente non crescerà - spiega Augusto Preta, direttore
generale di ItMedia Consulting - Si cresce solo togliendo spazio agli altri.
Senza contare che la quota di mercato totale della tv generalista continua a
scendere. Diverso sarebbe se il sistema si ristrutturasse. Se per esempio la Rai concentrasse il servizio pubblico
solo su uno o due canali. O se Mediaset trasformasse
uno dei suoi canali generalisti in una tv tematica per caratterizzarla meglio
dal punto di vista pubblicitario, ma fino a quando c'è un concorrente sul suo
terreno preferito questo presumibilmente non accadrà ».
Vendere La7 sarà dunque
difficile. Anche perché quello che può far veramente gola al mercato sono
soprattutto le frequenze. E le frequenze
non sono in La7 Srl ma in Timb: le si può comprare senza doversi sobbarcare i canali. E sarebbe paradossale
che alla fine Telecom vendesse le frequenze e si tenesse in pancia i due canali
tv. Non avrebbe senso. Comunque di frequenze sul mercato non c’è carenza in
questo momento: tra poco arriveranno anche quelle dell’ex Beauty Contest. Se perfino Sky
ha deciso, come Canal+ in Francia, di diversificare con più convinzione verso
la tv in chiaro (e il passaggio dei gol di 90esimo minuto su Cielo ne è una
prova) l’interesse sicuramente c’è. Ma in questo momento nessuno ha fretta.
Probabilmente nemmeno Bernabè.
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