da: Il Manifesto
Attenti
ai forconi
di Norma
Rangeri
Si fa fatica ad arrivare in fondo agli
articoli di cronaca che raccontano lo sperpero di soldi pubblici, che insistono
sulla volgarità dei comportamenti dei consiglieri governati dalla presidente
del Lazio, Renata Polverini. A leggere i particolari della corruzione, le
richieste assillanti di denaro, il sistema delle fatture false, il dettaglio
dei diecimila euro per i tre giorni in albergo del capogruppo del Pdl si resta
tramortiti, soprattutto se si hanno davanti agli occhi gli operai dell'Alcoa
aggrappati alla torre.
Fanno ancora più impressione quei trentamila
euro netti di stipendio mensile del consigliere Fiorito, l'ufficiale pagatore
della famelica famiglia berlusconiana della Pisana. Trentamila più i centomila
l'anno per la cosiddetta "attività politica" sua e di ogni singolo
consigliere regionale, di maggioranza o di opposizione. Un fiume di denaro
autorizzato, legale, di fronte al quale la malversazione è quasi una
conseguenza scontata. E del resto sono soldi necessari per ripagare in qualche
modo i costi di un'elezione allo scranno consigliare. Soldi, tanti, per farsi
eleggere, soldi per mantenere il posto. Come la cosa più naturale del mondo.
L'altra sera negli studi di Piazza Pulita
(La7) è stata proprio Renata Polverini a dichiarare, senza vergogna, senza
ritegno, senza rispetto anche nei confronti dei suoi elettori, di aver speso
dai sei agli otto milioni di euro per diventare presidente della regione, tanto
è costata la sua campagna elettorale (un milione quella di Emma Bonino). Anzi
era seduta davanti alle telecamere (prossimamente l'aspettiamo per la gran
festa a Ballarò, il suo trampolino di lancio) come una Giovanna d'Arco pronta a
infilzare il drago del malaffare. Che non si sarebbe dimessa era evidente, come
il fatto che per non affondare sarebbe rimasta a galla dando in pasto al popolo
una manciata di briciole (abolizione di qualche commissione).
Di fronte allo spettacolo da basso impero è
miracoloso che non esploda una protesta popolare (populista?).
Anche se quando parli con il barista le
parole non sono lievi («bisognerebbe andarli a prendere sotto casa con i
forconi, tutti nessuno escluso»). Quei forconi si materializzeranno se non
nelle piazze (e non è detto: la crisi sta peggiorando), certamente nelle urne.
Gli effetti elettorali della corruzione saranno dirompenti. Predicare contro il
populismo, chiedere il rispetto delle istituzioni, esortare a distinguere tra
chi è al governo e chi ne è fuori, è come cercare di svuotare il mare con il
secchiello. Perché se è vero che dal sistema Formigoni al sistema Polverini, è
della catastrofe berlusconiana che stiamo parlando, è altrettanto provato che a
sollevare il velo del malcostume politico non è stato il principale partito di
opposizione (vogliamo dimenticare il caso Penati?), ma, in Lombardia come nel
Lazio, il piccolo drappello dei radicali con la loro inesausta battaglia sulla
trasparenza (la chiamano anagrafe) degli eletti.
Nulla in questi mesi di governo tecnico è
stato fatto dai partiti sui costi della politica. Nessuna riforma del
finanziamento pubblico, nessuna riforma della legge elettorale (e quella che si
intravede potrebbe essere addirittura peggiore dell'attuale), neppure
un'assunzione di responsabilità per il pauroso arretramento della morale
pubblica. Credono o sperano di usare la prossima campagna elettorale come un
lavacro propagandistico di tutti i peccati. Non vedono che, per la profondità
della crisi, andremo alle urne nelle condizioni peggiori di sempre, senza il
pane e tantomeno le rose.
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