mercoledì 26 settembre 2012

I consumi degli italiani: indietro di vent’anni



Questi articoli mi fanno dire: boh…Stiamo peggio. Sì. Stanno peggio quelli che hanno visto ridursi il potere d’acquisto dei propri stipendi e pensioni. Ma stanno più male  - e tornare indietro, farà solo bene – i drogati da un modello sociale consumistico per il quale: non c’è reddito in grado di soddisfarli. Perché, tanto per fare un semplice esempio: se guadagnano 100 e non fanno certo la fame, vogliono spendere, consumare, per 150. Eh..no. Questi devono “tornare indietro”. Perché è l’unico modo per essere avanti.


da: la Repubblica

Il dietrofront dell'Italia, siamo tornati a 20 anni fa
I consumi degli italiani non sono mai precipitati così in basso dal dopoguerra ad oggi. E il livello della nostra vita ha innestato la retromarcia
di Maurizio Ricci

Già ci avevano spiegato che i nostri figli stanno e staranno peggio di noi. Ora scopriamo che anche noi stiamo peggio di noi. Nel senso che la nostra vita era più comoda e facile anche solo pochi anni fa e, se si guarda un po’ più lontano, ci si accorge che il Paese sta speditamente remando all'indietro. Con l'aggravante che quel passato a cui mano mano ci adeguiamo è tutt'altro che luminoso: è l'Italia degli anni '90 e delle grandi stangate di finanza pubblica, degli anni '80 dell'iperinflazione e degli choc petroliferi degli anni '70. Siamo più poveri di cinque anni fa, vestiamo peggio di vent'anni fa, mangiamo anche meno bistecche. E non compriamo più automobili, come dice Marchionne, anche perché benzina e manutenzione ci succhiano il bilancio.


D'altra parte, non è il caso di stupirsene. Come in fisica esiste la legge dell'impenetrabilità dei corpi, esiste in economia una legge per cui un Paese che, come l'Italia, negli ultimi dieci anni ha avuto il tasso di sviluppo dello Zimbabwe, non può mantenere il tenore di vita della Germania. Nel "Come eravamo" dei nostri portafogli, l'ultimo anno felice è il 2008, prima che la grande crisi finanziaria cominciasse a picchiare. I nostri critici europei lo definiscono felice perché irresponsabile, dato che il debito pubblico riprendeva allora ad allargarsi. Ma, in Italia, almeno le famiglie questa irresponsabilità di governo l'hanno pagata e la stanno pagando cara. Quanto? Il conto della crisi è, in media, di 5 mila euro per ogni famiglia italiana.

Secondo l'ufficio studi della Confcommercio, infatti, in questi quattro anni il reddito disponibile, ovvero quello che una famiglia può spendere in un anno, si è ridotto, in media di 5.000 euro. In altre parole, prima che l'austerità diventasse un mantra ufficiale, le famiglie italiane la stavano già praticando con rigore spartano. Il calo dei consumi quest'anno è del 3% sull'anno precedente, il peggiore da quando c'è la Repubblica, la serie storica torna al 1946. Dall'inizio della crisi il 2008, il taglio è del 6,5% che significa rinunciare, probabilmente, a spese importanti, dalla casa agli studi. Ma, soprattutto, incidendo nella linfa ordinaria della vita quotidiana. Più di metà di quei 5 mila euro, infatti, viene da un taglio sui consumi: cibo, trasporti, divertimenti, elettrodomestici. La Confcommercio calcola che ogni famiglia abbia ridotto i propri consumi mensili di 230 euro: possiamo chiamarla la bolletta salata della crisi.

Nelle economie moderne, questa sobrietà forzosa è una virtù solo per metà. Magari, avremo sprecato meno. Ma, visto che il prodotto interno lordo è costituito, per due terzi, da consumi, gli effetti sono stati pesanti. Di fatto, siamo tornati indietro di quindici anni, al livello di consumi del 1997. Sono tanti gli indicatori che ci riportano a quel periodo. Le case comprate nel 2011 sono state poco più di mezzo milione, come nel 1998. Anche i chilometri che, in media, abbiamo percorso in auto, nel 2011, sono uguali a quelli del 1984: poco meno di 8 mila. E abbiamo anche comprato arance, insalata, coca cola e succhi di frutta nella stessa misura del 1997.

Presi singolarmente, questi parametri vogliono dir poco. Ma, tutti insieme, suonano come se la seconda metà degli anni '90 avesse segnato una sorta di tetto sostenibile allo sviluppo italiano: quello che è venuto dopo non ce lo potevamo permettere. Compresa la macchina. Nel 2012 saranno immatricolate in Italia 1.420.000 vetture. Esattamente un milione in meno di dieci anni fa. Per arrivare ad un numero altrettanto basso di auto nuove sulle strade, bisogna tornare ad un'Italia dimenticata, quella del secondo choc petrolifero, della benzina alle stelle e dell'inflazione al galoppo: era il 1979. La differenza è che, allora, metà di quelle auto nuove erano Fiat, il gruppo guidato dall'Avvocato, Gianni Agnelli, aveva centinaia di migliaia di dipendenti ed era uno dei maggiori datori di lavoro del paese.

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