da: Il Fatto Quotidiano
Gli Usa scaricano la crisi sull’euro
di Superbonus
Gli Stati Uniti hanno deciso di uscire dalla crisi del debito con l’inflazione. Per abbattere il debito accumulato con gli stimoli all’economia e il soccorso alle banche le possibilità erano due: imboccare una strada di estrema austerità per molti anni a venire, oppure stampare denaro all’infinito riducendo il valore reale del debito e sperando che l’economia riparta prima dell’inflazione. Con la decisione del presidente Ben Bernanke – l’annuncio di acquisto di debito per 40 miliardi al mese – la Federal Reserve si è sostituita al Congresso e ha scelto la seconda strada giustificandola con l'"eccessiva e perdurante disoccupazione", una motivazione populista e pre-elettorale per coprire un ragionamento ben più cinico che porterà a una svalutazione del dollaro, una diminuzione delle importazioni e un aumento del tasso d’inflazione.
Una mossa azzardata perché fatta in un momento in cui
l’economia americana già cresce al 3 per cento annuo e la massa monetaria
circolante è ai massimi di sempre. Una mossa ancora più azzardata se si pensa
che la Federal Reserve comprerà mutui erogati alle famiglie dalle banche
commerciali riducendo così ulteriormente i già bassi tassi dei mutui e tentando
di stimolare una nuova bolla nel settore immobiliare. Al contrario delle misure
annunciate dalla Bce, che prevedono interventi in caso di eccessivi ribassi dei
titoli di Stato e li subordinano a un preciso piano di rientro dal debito, la
Banca centrale americana sta stimolando proprio il debito, sta facilitando
l’emissione di titoli governativi e incentivando l’erogazione di mutui alle
famiglie.
Il timore è di star assistendo all’inizio della seconda bolla finanziaria della storia stimolata da una Banca centrale, il primo esperimento di questo tipo fu fatto in Francia nel 1717 dal banchiere scozzese John Law che, diventato ministro delle finanze del Re, iniziò a emettere carta moneta in quantità illimitate. Il risultato fu
Il timore è di star assistendo all’inizio della seconda bolla finanziaria della storia stimolata da una Banca centrale, il primo esperimento di questo tipo fu fatto in Francia nel 1717 dal banchiere scozzese John Law che, diventato ministro delle finanze del Re, iniziò a emettere carta moneta in quantità illimitate. Il risultato fu
un disastro inflativo senza precedenti che portò al
collasso dello Stato francese e aprì la strada alla Rivoluzione. Bernanke si
avventura ora sulla stessa strada con la sicurezza che “this time is
different”, questa volta è diverso, con la sicurezza che le Banche centrali
hanno gli strumenti e le conoscenze per governare l’inflazione e le crisi
monetarie. Si potrebbe anche credergli se non fosse che Bernanke è lo stesso
uomo che poco prima della crisi dei mutui subprime, nel 2007, affermava con
sicurezza: “Siamo in un periodo di Grande Moderazione grazie alle politiche
monetarie che condizionano il ciclo economico”. Si sbagliava.
La verità è che, purtroppo, gli Stati Uniti hanno deciso
di scaricare la propria crisi sul resto del mondo sfruttando la posizione di
supremazia del dollaro negli scambi internazionali. Stanno elevando una
barriera commerciale invisibile utilizzando il tasso di cambio e uno stimolo
fittizio all’economia attraverso la creazione di denaro dal niente. E quindi
l’inflazione. I mercati hanno capito subito, tutti gli operatori sono corsi a
convertire i dollari in attività reali portando le Borse sui massimi e
spingendo in alto il prezzo delle materie prime. Qualcuno dirà che il prezzo
del petrolio è schizzato verso l’alto anche a causa della crisi in medio
oriente, e allora rame, cacao, mais, zucchero e cotone perché salgono a rotta
di collo? La mossa di Bernanke non è un atto di politica monetaria, ma anche e
soprattutto, di politica estera che è stato subito accolto dal ministro delle
Finanze brasiliano, Guido Mantega, come la conferma che la “guerra dei cambi è
ancora in atto” e con la promessa che la Banca centrale del Brasile vigilerà
sul cambio. Lo stesso farà la Cina che non ci pensa neanche a rivalutare la
propria moneta – cosa che danneggerebbe le esportazioni – e la terrà ben
ancorata al dollaro con il risultato di aumentare ancora di più le spinte
inflative sulle materie prime.
E l’Europa? L’Europa è il vaso di coccio. L’euro guadagna
terreno sul dollaro e le nostre esportazioni e la nostra competitività ne
perdono sempre di più. Chi, come la Germania, ha differenziato per tempo la
base produttiva delle proprie industrie regge il colpo. Ma chi, come l’Italia,
ha una struttura di piccole e medie imprese locali o di grandi imprese in crisi
e con pochi nuovi prodotti su cui puntare, pagherà il prezzo della svalutazione
americana. Non sappiamo se Bernanke avrà successo nel suo azzardo e riuscirà a
far rientrare l’inflazione al momento opportuno, di certo possiamo dire che
giovedì la Federal Reserve ha dichiarato una guerra valutaria. E che le prime
vittime rischiano di essere i paesi periferici dell’area euro.
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