da: Lettera 43
Sallusti, pena sospesa
Cassazione conferma 14 mesi di reclusione. Stop dalla procura
La Cassazione ha confermato la condanna definitiva a 14
mesi di reclusione per diffamazione aggravata nei confronti del direttore del Giornale
Alessandro Sallusti.
Il ricorso del giornalista è stato rigettato.
ESECUZIONE PENA SOSPESA. Ma
l'esecuzione della pena detentiva è stata 'automaticamente' sospesa per 30
giorni dalla procura della Repubblica di Milano, in quanto Sallusti risulta non
avere cumuli di pena né recidive. Lo ha spiegato il procuratore Bruti Liberati.
30 GIORNI DI TEMPO. Il
giornalista ha quindi 30 giorni di tempo per chiedere una misura alternativa al
carcere, come l'affidamento ai servizi sociali. Ma lui stesso ha annunciato:
«Vado in galera, no a misure alternative».
La V Sezione penale ha inoltre condannato Sallusti alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte.
La V Sezione penale ha inoltre condannato Sallusti alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte.
È stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte
d'Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per
il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti.
ARTICOLO DEL 2007 SU LIBERO. Sallusti
è stato condannato a causa di un articolo diffamatorio nei confronti del
magistrato Giuseppe Cocilovo, apparso nel febbraio 2007 su Libero, il
cui autore usò uno pseudonimo. All'epoca Sallusti era direttore di Libero
e dunque chiamato a rispondere di tutto ciò che veniva pubblicato.
NESSUNO SCONTO. La
mattina del 26 settembre, la procura della Cassazione aveva chiesto per il
direttore del Giornale l'annullamento con rinvio della
condanna «limitatamente all'aspetto delle attenuanti», ritenendolo
«colpevole» di diffamazione, ma ribadendo la necessità di «rivalutare la
mancata concessione delle circostanze attenuanti».
«Andrò in carcere, no a misure
alternative»
Teoricamente Sallusti potrebbe anche non finire in carcere: dopo la sentenza della Cassazione, infatti, la decisione su dove e come il giornalista deve scontare la pena spetta alla magistratura di Sorveglianza di Milano, che potrebbe optare per misure alternative, comei servizi sociali.
Ma lo stesso giornalista ha fatto sapere: «Andrò in
carcere, no a misure alternative».
DIMISSIONI DAL GIORNALE. E ha
deciso di presentare le sue dimissioni dal Giornale. «Ho appena
annunciato ai miei giornalisti che stasera mi dimetto», ha detto in
un'intervista a Pomeriggio 5. «Domani farò il titolo più semplice
della mia vita: 'Sallusti va in galera'», ha aggiunto.
Poi ha spiegato perché non vuole andare ai servizi
sociali: «Mi rifiuto di essere rieducato da qualcuno, credo che l'affidamento
deve avvenire per qualcuno che spaccia droga, magari anche per qualche politico
che ruba».
FNSI: «DECISIONE SCONVOLGENTE». La decisione della Cassazione è stata definita «sconvolgente» dal segretario Fnsi, Franco Siddi. «È una norma illiberale nell'ordinamento di Paese dalla Costituzione democratica che sconfigge e mortifica la libertà di espressione e priva un uomo della libertà personale. I giornalisti sapranno dare una risposta unitaria e straordinaria, oggi dobbiamo sentirci tutti condannati come Sallusti».
FNSI: «DECISIONE SCONVOLGENTE». La decisione della Cassazione è stata definita «sconvolgente» dal segretario Fnsi, Franco Siddi. «È una norma illiberale nell'ordinamento di Paese dalla Costituzione democratica che sconfigge e mortifica la libertà di espressione e priva un uomo della libertà personale. I giornalisti sapranno dare una risposta unitaria e straordinaria, oggi dobbiamo sentirci tutti condannati come Sallusti».
Santanché: «Paese ridicolo, serve la rivoluzione»
Tra le varie reazioni alla notizia, ha fatto scalpore
quella di Daniela Santanché, 'pasionaria' del Pdl e molto vicina a Sallusti:
«Sono sgomenta. Questo è un Paese ridicolo, che protegge i ladri, i
delinquenti, chi ruba, chi ammazza e invece mette in galera un persona per una
opinione. Oltretutto neppure sua, ma di un suo giornalista», ha detto ad Affaritaliani.it.
Santanché ha usato parole durissime per commentare la
vicenda: «Questo è lo schifo di questo Paese. Con questo la magistratura ha
toccato il suo fondo. Mi auguro che gli italiani questa volta non stiano chiusi
nelle loro case, ma scendano in piazza e capiscano la magistratura che potere
è. Se non si fa una rivoluzione questa volta non si farà mai più».
E ha concluso: «Il mio stato d’animo, anche visto il
rapporto di vita con il direttore, è di schifo».
SEVERINO: «NO COMMENT, MA
CAMBIARE NORMA». Il ministro della Giustizia Paola Severino ha
invece deciso di non commentare la sentenza, ma ha ribadito «la necessità di
intervenire al più presto sulla disciplina della responsabilità per
diffamazione del direttore responsabile».
CASSAZIONE: «LA NOTIZIA ERA
FALSA». La Cassazione, però, ha spiegato che su Libero
nel 2007 è stata pubblicata una notizia sostanzialmente «falsa» dal titolo: «Il
dramma di una 13enne. Il giudice ordina l'aborto».
Infatti «la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l'intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest'ultimo la decisione presa».
Infatti «la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l'intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest'ultimo la decisione presa».
Inoltre la non corrispondenza al vero della notizia era
già stata accertata e dichiarata da Ansa, Tg3 regionale e Radiogiornale
il giorno prima della pubblicazione dell'articolo su Libero.
Infine la nota della Cassazione ha sottolineato «la non
identificabilità dello pseudonimo 'Dreyfus' e, quindi, la diretta riferibilità
del medesimo al direttore del quotidiano», cioé Sallusti.
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