da: Il Sole 24 Ore
Bob
Dylan scatena la sua Tempesta: l'ultima fatica del Menestrello è ancora un
capolavoro
Nel 1962, sugli scaffali dei negozi
d'oltreoceano comparve un disco intitolato semplicemente "Bob Dylan".
Un album che conteneva una serie di traditional folk, qualche blues e un paio
di canzoni originali. Dai solchi del vinile si levava la voce di un 20enne
bohémien, affascinato dalla beat generation, che si sforzava di assumere un
timbro da vecchio e consumato bluesman mentre raccontava la celebre storia
della povera ragazza che trova la rovina nella "House of the
Risin'Sun".
Il disco passò quasi inosservato e, in
quell'anno, vendette poche migliaia di copie. Di lì a poco, però, quel giovane
e solitario menestrello venuto dal nord, frettolosamente bollato come la
"follia di Hammond" dal nome del produttore che convinse la Columbia
a metterlo sotto contratto, avrebbe fatto parlare di sé in tutto il mondo.
Principe del folk, simbolo delle lotte per la pace e i diritti civili prima,
visionario e allucinato poeta elettrico, poi. L'uomo che mostrò la strada ai
Beatles, un'icona capace di attraversare i decenni fino a divenire una leggenda
vivente. In una parola, Bob Dylan.
Oggi, a 50 anni dall'esordio, dopo 34 album
in studio e una lunghissima serie di premi e riconoscimenti (ultimo dei quali
la medaglia presidenziale della Libertà ricevuta da Barack Obama), Robert
Zimmerman è pronto a scatenare la sua "Tempesta" sul mondo. Un nuovo
disco che, come ogni lavoro di Dylan, è un evento ancor prima di arrivare sul
mercato.
La data di uscita è l'11 settembre, come già accadde con "Love & Theft" nel 2001.
La data di uscita è l'11 settembre, come già accadde con "Love & Theft" nel 2001.
E che sia una scelta simbolica o un semplice caso, poco
importa: i dylanogi di tutto il mondo si sono subito scatenati alla ricerca dei
significati reconditi di tale coincidenza. Con His Bobness è sempre così,
perché il mito di Jokerman è un immenso labirinto di simboli, rimandi,
immagini, suoni, congetture, emozioni, ricordi che attraversa 5 decenni durante
i quali il menestrello di Duluth si è rifugiato in infinite trasformazioni per
sopravvivere alla sua stessa leggenda.
Ma il vero mistero dell'album è come faccia
Dylan, a 71 anni suonati, a suscitare ancora un entusiasmo planetario. Ed il
vero miracolo è che il vecchio Bob riesca ad invadere le hit parade con una
musica che pare uscita da una radio fantasma che trasmette dagli anni '40.
«The more I take, the more I give. The more
I die, the more I live». Canta l'inconfondibile voce roca e graffiante. Come
dargli torto? Dato per finito un numero imprecisato di volte, arrivato ad un
passo dalla morte nel ‘97 per via di una gravissima infezione al cuore, Dylan è
più vivo che mai. Il nuovo album si intitola Tempest, riecheggiando l'ultima
tragedia shakespeariana, ma Bob, a chi gli domanda se questo sarà anche il suo
lavoro conclusivo, si affretta a rispondere, sardonico, che il suo disco ha un
"The" in meno rispetto al titolo del dramma in questione.
Quello che è certo è che ci troviamo di
fronte a un lavoro ispiratissimo che non tradirà le aspettative (enormi come
sempre, per la verità) delle immense schiere di fan. Come un medium, ormai,
Dylan entra in contatto con un universo dove rivivono i fantasmi di Hank
Williams, Muddy Waters, Robert Johnson e, da lì, trasmette la sua musica senza
tempo.
Tempest si
apre con Duquesne Whistle (scritta
con Robert Hunter), introdotta da alcune note che paiono provenire da un
buco spazio-temporale disperso per sempre nell'etere. Poi la canzone vera e
propria si lancia in uno swing, al ritmo del quale non ci si stupirebbe troppo
se facesse la sua comparsa la voce di Louis Armstrong. Con questo brano, inizia
il viaggio che, come prima tappa, porta l'ascoltatore per le strade di una
città fantasma. Si prosegue con Soon After Midnight, con Zimmerman in versione
crooner per, poi, approdare al blues ruvido e potente di Narrow Way, il cui
testo lascia spazio al lato oscuro di Mr. Tambourine Man. Finito l'incubo,
arriva un piccolo gioiello, Long and Wasted Years che ci accompagna dalle parti
di canzoni come Brownsville Girl, nelle quali il menestrello canta come
recitasse o viceversa. Pay in Blood riporta la rotta sul blues-rock alla
Rolling Stones mentre Bob, caustico, avverte: « io pago con il sangue, ma non
con il mio».
L'album non diminuisce di intensità con
Scarlett Town, ballata carica di tensione impreziosita dal suono del banjo,
che, anzi, è una delle perle di Tempest. Tocca, quindi, ad Early Roman Kings
evocare lo spettro di Muddy Waters, trascinando di nuovo l'ascoltatore in un
lungo blues elettrico, prima di lasciare spazio a Tin Angel, brano che racconta
una vicenda nerissima di suicidi e omicidi e che precede il vero acuto
dell'album. Tempest, appunto. Una ballata folk di 14 minuti che ricorda, da un
punto di vista musicale, il Dylan delle origini. Brano fiume come nella miglior
tradizione del menestrello, per raccontare la tragedia del Titanic attraverso
una galleria di personaggi che vanno dalla Vedetta a Leonardo Di Caprio, da
Wellington al Capitano. Prima del maestoso finale nel quale Mr. Tambourine
canta, lapidario: « Quando il lavoro della Mietitrice fu concluso, 1600 se ne
erano andati, il bello, il brutto, il ricco, il povero, il più amabile e il
migliore». E ancora « hanno cercato di capire ma non c'era comprensione nella
sentenza della mano di Dio». Una capolavoro che, con il tono delle ballate che
cantavano i marinai, offre, nella lunga carrellata di protagonisti e
comprimari, un'atmosfera alla Desolation Row.
E, prima di chiudere, c'è ancora spazio per
un accorato omaggio a John Lennon, tra citazioni di testi dei Beatles e
frammenti di The Tiger di William Blake.
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