da: la Repubblica
L’operazione-anestesia
sul cardinal Martini
di Vito
Mancuso
Con uno zelo tanto impareggiabile
quanto prevedibile è cominciata nella
Chiesa l’operazione anestesia verso
il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti
scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo,
depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui
chierichetti. A partire dall’omelia
di Scola per il funerale, sulla stampa
cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica
finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi
martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua
essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità
cortigiana. Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso
Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di
Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la
carriera.
Questo è un male gravissimo della Chiesa,
soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire
la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire
secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande
disservizio al papa stesso”. E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono.
Ci sono vescovi che non parlano perché
sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per
non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il
dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci
vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.
Quello che è rilevante in queste parole non
è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da
cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di
parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza
personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota
espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del
2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo
governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto
di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato
italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.
Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme:
“Mi angustiano
le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è
l’importante. Soltanto allora si porrà la questione
se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà
di pensiero, ancora prima
dell’adesione alla fede. Certo, si tratta di una libertà mai fine a se
stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché,
continuava Martini, “la giustizia è
l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla
giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà
personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni
essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e
inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato
nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per
questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il
metodo-Martini.
Per rendersene conto basta leggere le
argomentazioni del direttore di Civiltà
Cattolica secondo cui “chiudere
Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo
messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire
di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita
“pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e
la bioetica ufficiale della Chiesa
definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura,
severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in
parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le
cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).
Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò
con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa,
tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni
essere umano nella concreta situazione in cui si trova. Martini ha praticato e
insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica,
per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali
religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del
malato, in quanto a lui compete – anche dal punto di vista giuridico, salvo
eccezioni ben definite – di valutare se le cure che gli vengono proposte sono
effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il
principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai
“fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene
concreto delle persone concrete. Martini lo ribadisce anche nell’ultima
intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo
stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per
l’importanza ell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il
coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.
Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.
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