mercoledì 1 febbraio 2012

Rai: frequenze e Authority



Rai, frequenze e Authority il maxiingorgo di primavera
di Stefano Carli

Mario Monti vuole mantenere la promessa: mettere in agenda la governance della Rai. La voce si è sparsa rapidamente tra i palazzi romani nei giorni scorsi. Ma ormai ci si comincia ad abituare ai depistaggi comunicativi del Professore. Tanto più stavolta che il tema tocca uno dei nervi scoperti più delicati, trasversale a tutta la classe politica. Ma veramente Monti vuol metter mano ai criteri di nomina del cda Rai che scade tra due mesi? E davvero vuol smontare la Gasparri, che quei criteri fissa e che oggi garantirebbe al Pdl la voce in capitolo più forte nel rinnovo del vertice di viale Mazzini? E davvero infine (terza e ultima domanda) può pensare di farlo dopo aver fatto digerire a Silvio Berlusconi la sospensione del Beauty Contest?

In realtà le cose non starebbero così e la partita del binomio formato dal premier e da Corrado Passera sarebbe più articolata. Muovere tutte le pedine in modo da arrivare ad un maxi tavolo di primavera sul quale mettere giù tutte le carte di tutte le diverse partite in corso: la Rai, le frequenze, il completamento dello switch off della tv digitale e forse perfino il rinnovo delle due maggiori Authority, l’AgCom e l’Antitrust. 
Le cose sarebbero arrivate a questo punto perché, è l’analisi che gira ai piani alti di Viale Mazzini, il direttore generale Lorenza Lei è riuscita a far comparire qualche spicciolo di utile all’ultima riga del bilancio 2011. La Rai non inanella così il terzo anno consecutivo di conti in rosso e questo, pare, chiude ogni possibilità all’ipotesi di una transizione affidata a un commissario. Ma il contrasto tra la Lei e il cda sarebbe arrivato al punto che anche le ipotesi di una proroga dello status quo sarebbe sfumata. E comunque le divisioni nell’ex maggioranza mettono in forse la figura di Petrone, che fa capo a Tremonti. Verro, subentrerà in Parlamento nel Pdl entro 30 giorni. E anche sul versante di centrosinistra, si dice che Bersani vorrebbe avere più voce in capitolo (Rizzo Nervo è gentiloniano e Van Straten veltroniano). Di Pietro vuole il suo spazio, la leghista Bianchi Clerici aspirerebbe all’AgCom e così via. Insomma i partiti, un po’ ai margini della ribalta in queste settimane di riconoscimenti europei e americani per Mario Monti, scalpitano. 
E non è proprio il caso di metter mano alla Gasparri. Se Monti lo facesse davvero,
tutti si aspetterebbero un’operazione simile a quella sulle Authority: come prima cosa un taglio alle poltrone. Dopo il dimezzamento di AgCom e Antitrust non potrebbe non fare lo stesso con gli otto consiglieri Rai. Ma non potrebbe farlo perché nessuno lo vuole davvero, perché quelle caselle sono importanti in vista del voto del prossimo anno. E, in fondo, il meccanismo della Gasparri garantisce in questa occasione lo stesso premier: conomina il presidente (anche se assieme alla commissione di Vigilanza guidata da Sergio Zavoli), conomina il direttore generale. Nomina un suo consigliere (in quanto ministro dell’Economia). Ha insomma buone carte da giocare.
In uno scenario dominato dalle difficoltà di Mediaset, tutto questo diventa un tassello della vera partita, tra tutte quelle in corso: come uscire dal Beauty Contest.
Qui le cose stanno così. Passera non ha detto che non darà le frequenze alle tv, ma solo che non è giusto in questa fase che siano date gratis. Poi, c’è il problema Sicilia: ultimo scoglio dello switch off in virtù della gran quantità di tv private e dello snodo politico che rappresenta (ricordare il «cappotto» del Pdl nel 2008 con 8 provincie su 8) e disporre di qualcuna delle frequenze del Beauty Contest farebbe comodo. Infine, lo scoglio degli scogli: Mediaset già opera «provvisoriamente» sul canale 58 che il Beauty Contest le avrebbe dovuto «restituire» ufficialmente. Vuol dire che ci ha già messo gli impianti di trasmissione (più che altro non li ha mai tolti). Ma una soluzione ci sarebbe. Governo e AgCom possono permettere la trasformazione dei canali del vecchio Dvbh, la tv sui cellulari, in normali canali tv (cosa che è già stata autorizzata alla Tre di Vincenzo Novari, mandato in avanscoperta prima di Natale). Con questo Mediaset otterrebbe il canale 38 (forse anche migliore del 58). E con ciò raggiungerebbe il tetto fissato dall’Ue delle frequenze che può controllare direttamente.
Ma il vero problema è che questa soluzione va bene per Mediaset e per Rai, ma non per Telecom Italia che non ha frequenze Dvbh. Ma è su questa base che si starebbe lavorando. Oppure su un’opzione che assegni le frequenze a Mediaset, Rai e Telecom ma non più gratis. Certo, non si devono immaginare le cifre delle aste telecom. Ma d’altra parte neanche le telecom sarebbero disposte a duellare a colpi di rilanci in una seconda asta a pochi mesi da quella dello scorso settembre. Insomma, una soluzione ponte che garantisca lo status quo fino al 2018, quando dovrebbe scattare la neutralità tecnologica delle frequenze su cui punta la vicepresidente Ue Neelie Kroes.
Se questo è il quadro, va però detto che la strada è ancora tutta in salita. Il blocco berlusconiano ovviamente preferirebbe tenere divisi i vari tavoli ma potrebbe non avere più la forza per farlo. Lo si vedrà domani, al cda Rai convocato sul caso Tg1: si vedrà cioè se Pdl e Lega sono davvero riusciti a ritrovare un accordo o se la spaccatura resta profonda.
In mezzo a tutto questo Viale Mazzini continua a rinunciare alle strategie. «La crisi della Rai è una crisi di visione e di strategie editoriali sostiene Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting. E’ indietro sulle offerte multipiattaforma, sulla sfida posta dai grandi operatori over the top, come Google, Samsung, Facebook e Apple. Ha attivato troppi canali digitali rispetto alle loro potenzialità di garantire un ritorno economico e ha invece dato poca attenzione ai contenuti e alla loro centralità nel mondo digitale. Contenuti che sono la vera grande risorsa di un editore tv. Ci deve essere una svolta prima che sia troppo tardi».

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