martedì 21 febbraio 2012

Crisi della Grecia: debito pubblico, clientelismo e corruzione

 

L'impunità al potere 
Il vero problema del paese non è il debito pubblico, ma il clientelismo e la corruzione delle sue elite e l'impotenza della giustizia.  
di Kostas Karkagiannis

Quasi certamente ne avete tutti abbastanza della crisi greca, e del resto così è anche per i politici più influenti in Europa. Senza alcun dubbio starete pensando che i problemi della Grecia siano di natura finanziaria e dipendano dalla mancanza di competitività, dall’indebitamento e dai deficit colossali, da un settore pubblico controproducente. Tutto giusto, avete ragione, ma questa è soltanto la punta dell’iceberg.
Il nocciolo del problema è prima di tutto l’anarchia, il cattivo funzionamento della giustizia, e poi l’esistenza di un sistema clientelare basato sulle protezioni politiche, sullo scambio di favori, sulla corruzione e su un apparato burocratico colossale che non fa che servire i suoi stessi interessi, annientando lo spirito d’impresa e mettendo a dura prova la popolazione. Questa situazione frena ogni possibile sviluppo in ambito finanziario.
Dall’inizio della crisi è apparso subito chiaro che la classe politica greca avrebbe continuato a battersi per tenere in piedi questo sistema clientelare dal quale traggono benefici coloro che fanno parte del settore pubblico, dei sindacati e soprattutto del settore privato che riceve finanziamenti dallo stato. In Grecia il contratto sociale in vigore già da 35 anni (o più) prevede che il cittadino voti un determinato partito in cambio di un posto di lavoro come funzionario pubblico (per i pesci piccoli) o di un contratto pubblico gonfiato (per i pesci grossi).
Nel sistema greco i politici non devono mai rendere conto di quello che fanno e la giustizia è impotente. La Costituzione greca limita considerevolmente la possibilità di incriminare i leader politici. Nessuno di loro, pertanto, è mai stato oggetto di un’azione giudiziaria, neppure in casi eclatanti come gli scandali Siemens e Vatopedi.
Theodoros Tsoukatos, stretto collaboratore dell’ex primo ministro Kostas Simitis negli anni novanta, nel settembre 2010 ha ammesso davanti al parlamento di aver ricevuto nel 1999 una bustarella di un  milione di marchi dall’azienda tedesca Siemens, che ha poi girato al Pasok.
Secondo quanto ha dichiarato Tsoukatos tutti i grandi politici greci ricevono mazzette e finanziamenti occulti da aziende private. Nessuno si è chiesto da dove provenisse quel milione di marchi, e i conti dei partiti non sono mai stati sottoposti a controllo. Molti dirigenti della Siemens in Germania sono stati perseguiti penalmente, ma non così in Grecia.
Nel 2008 esplose invece lo scandalo di Vatopedi: il caso riguardava uno scambio di terreni di grande valore di proprietà statale con terreni di minor valore appartenenti a un monastero. Secondo alcune stime quell’accordo è costato allo stato cento milioni di euro. Nel 2010 il parlamento greco ha disposto che cinque ex ministri dovessero rispondere del loro operato in tribunale, ma i dossier relativi a quei reati avevano già ricevuto un non luogo a procedere nel 2009.
Questi scandali non fanno che confermare l’opinione generale secondo cui in Grecia domina l’anarchia. Anche per le cause più semplici occorre attendere almeno cinque anni prima che si svolga il processo, poi altre tre anni prima di arrivare all’appello e altri tre ancora per l’ultimo grado presso la corte suprema. Questa non è giustizia, ma la sua negazione. Ecco perché la Grecia non funziona come uno stato democratico, ma come una repubblica delle banane dei Balcani.

Un problema di sovranità
Dopo il primo bailout nel 2010 avevo sperato che il programma di risanamento economico e di stretto controllo imposto dalla Commissione europea e dai nostri partner della zona euro avrebbe potuto mettere fine al sistema clientelare burocratico.
Ma adesso in Grecia ci sono tre partiti distinti. Prima di tutto ci sono i politici e i loro alleati del settore pubblico e privato, minacciati dal crollo del sistema, che si rifiutano di mettere in opera le necessarie riforme strutturali. Poi c’è chi ne ha abbastanza della situazione e vuole un cambiamento ma non ha una rappresentanza politica. E infine ci sono i nostri partner europei, che finora non hanno fatto una scelta di campo ma proprio in questo modo favoriscono i potenti.
La Commissione europea fa notare giustamente che spetta alle autorità greche applicare il programma delle riforme, ma bisogna allora chiedersi fin dove può spingersi l’Europa nella restrizione della sovranità nazionale, una questione fondamentale per mettere a punto un governo economico per la zona euro.
Soltanto adesso, al termine di due anni di inerzia totale, i nostri partner europei iniziano a insistere perché siano varate autentiche riforme e si proceda a una concreta riduzione della spesa pubblica. Nel frattempo, però, soltanto nel settore privato oltre mezzo milione di persone ha già perso il lavoro, mentre il settore pubblico rimane gigantesco e continua a fare ostruzionismo. Spetta a noi greci reclamare giustizia.

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