L'impunità al potere
Il vero problema del paese non è il debito pubblico, ma il clientelismo e la corruzione delle sue elite e l'impotenza della giustizia.
di Kostas Karkagiannis
Quasi certamente ne avete tutti abbastanza della
crisi greca, e del resto così è anche per i politici più influenti in Europa.
Senza alcun dubbio starete pensando che i problemi della Grecia siano di natura
finanziaria e dipendano dalla mancanza di competitività, dall’indebitamento e
dai deficit colossali, da un settore pubblico controproducente. Tutto giusto,
avete ragione, ma questa è soltanto la punta dell’iceberg.
Il nocciolo del problema è prima di tutto
l’anarchia, il cattivo funzionamento della giustizia, e poi l’esistenza di un
sistema clientelare basato sulle protezioni politiche, sullo scambio di
favori, sulla corruzione e su un apparato burocratico colossale che non fa
che servire i suoi stessi interessi, annientando lo spirito d’impresa e
mettendo a dura prova la popolazione. Questa situazione frena ogni possibile
sviluppo in ambito finanziario.
Dall’inizio della crisi è apparso subito chiaro che
la classe politica greca avrebbe continuato a battersi per tenere in piedi
questo sistema clientelare dal quale traggono benefici coloro che fanno parte
del settore pubblico, dei sindacati e soprattutto del settore privato che
riceve finanziamenti dallo stato. In Grecia il contratto sociale in vigore già da
35 anni (o più) prevede che il cittadino voti un determinato partito in cambio
di un posto di lavoro come funzionario pubblico (per i pesci piccoli) o di un
contratto pubblico gonfiato (per i pesci grossi).
Nel sistema greco i politici non devono mai rendere
conto di quello che fanno e la giustizia è impotente. La Costituzione greca
limita considerevolmente la possibilità di incriminare i leader politici.
Nessuno di loro, pertanto, è mai stato oggetto di un’azione giudiziaria,
neppure in casi eclatanti come gli scandali Siemens e Vatopedi.
Theodoros Tsoukatos, stretto collaboratore dell’ex
primo ministro Kostas Simitis negli anni novanta, nel settembre 2010 ha ammesso
davanti al parlamento di aver ricevuto nel 1999 una bustarella di un
milione di marchi dall’azienda tedesca Siemens, che ha poi girato al Pasok.
Secondo quanto ha dichiarato Tsoukatos tutti i
grandi politici greci ricevono mazzette e finanziamenti occulti da aziende
private. Nessuno si è chiesto da dove provenisse quel milione di marchi, e i
conti dei partiti non sono mai stati sottoposti a controllo. Molti dirigenti
della Siemens in Germania sono stati perseguiti penalmente, ma non così in
Grecia.
Nel 2008 esplose invece lo scandalo di Vatopedi: il
caso riguardava uno scambio di terreni di grande valore di proprietà statale
con terreni di minor valore appartenenti a un monastero. Secondo alcune stime
quell’accordo è costato allo stato cento milioni di euro. Nel 2010 il
parlamento greco ha disposto che cinque ex ministri dovessero rispondere del
loro operato in tribunale, ma i dossier relativi a quei reati avevano già
ricevuto un non luogo a procedere nel 2009.
Questi scandali non fanno che confermare l’opinione
generale secondo cui in Grecia domina l’anarchia. Anche per le cause più
semplici occorre attendere almeno cinque anni prima che si svolga il processo,
poi altre tre anni prima di arrivare all’appello e altri tre ancora per
l’ultimo grado presso la corte suprema. Questa non è giustizia, ma la sua
negazione. Ecco perché la Grecia non funziona come uno stato democratico, ma
come una repubblica delle banane dei Balcani.
Un problema di sovranità
Dopo il primo bailout nel 2010 avevo sperato che il
programma di risanamento economico e di stretto controllo imposto dalla
Commissione europea e dai nostri partner della zona euro avrebbe potuto mettere
fine al sistema clientelare burocratico.
Ma adesso in Grecia ci sono tre partiti distinti.
Prima di tutto ci sono i politici e i loro alleati del settore pubblico e
privato, minacciati dal crollo del sistema, che si rifiutano di mettere in
opera le necessarie riforme strutturali. Poi c’è chi ne ha abbastanza della
situazione e vuole un cambiamento ma non ha una rappresentanza politica. E
infine ci sono i nostri partner europei, che finora non hanno fatto una scelta
di campo ma proprio in questo modo favoriscono i potenti.
La Commissione europea fa notare giustamente che
spetta alle autorità greche applicare il programma delle riforme, ma bisogna
allora chiedersi fin dove può spingersi l’Europa nella restrizione della
sovranità nazionale, una questione fondamentale per mettere a punto un governo
economico per la zona euro.
Soltanto adesso, al termine di due anni di inerzia
totale, i nostri partner europei iniziano a insistere perché siano varate
autentiche riforme e si proceda a una concreta riduzione della spesa pubblica.
Nel frattempo, però, soltanto nel settore privato oltre mezzo milione di
persone ha già perso il lavoro, mentre il settore pubblico rimane gigantesco e
continua a fare ostruzionismo. Spetta a noi greci reclamare giustizia.
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