Passera e Sarmi la posta in palio
di Massimo Giannini
Nella prima,
sommaria lenzuolata di liberalizzazioni
varata dal governo Monti brillano alcune
assenze eccellenti. Non solo banche,
non solo assicurazioni, non solo reti ferroviarie ed energetiche. Le aree
risparmiate o solo parzialmente coinvolte dal processo di apertura del mercato
sono diverse. Lo denuncia in esplicito il documento della Ue anticipato da
"Repubblica" venerdì scorso: in molte parti il decreto «poteva essere
più ambizioso». Certo, se si considera la base di partenza, un Paese
impastoiato dalle corporazioni e ricattato dalle lobby, nel bicchiere c’è più
pieno che vuoto. Ma il vuoto rischia di allargarsi, con il forsennato assalto
alla diligenza in Senato, dove al decreto CresciItalia sono stati presentati
2.400 emendamenti. O Monti tiene duro, o la lenzuolata diventa, ancora una
volta, un fazzoletto.
Nel vuoto spiccano le Poste. Ci si aspettava un intervento mirato del governo, soprattutto sul fronte di BancoPosta, il braccio finanziario del gruppo guidato da Massimo Sarmi. Nel testo, invece, non c’è niente. Il ministro dello Sviluppo, subito dopo il varo del provvedimento, in un’intervista al nostro giornale aveva negato qualunque ipotesi di scorporo del Banco da Poste Italiane. Ma nelle settimane successive qualcosa dev’essere cambiato. Mercoledì scorso, in un’audizione alla Commissione Industria del Senato, Passera ha annunciato «la disponibilità del governo a valutare la separazione del servizio BancoPosta da quello postale».
Un’inversione a U. Sorprendente, ma anche confortante. Per una separazione dell’attività bancaria delle Poste, da tempo, premono sia la Banca d’Italia che l’Antitrust. Sarebbe un’operazione utile, da molti punti di vista. Valorizzerebbe l’attività del Banco, e sarebbe prodromica ad una sua eventuale privatizzazione. Chi resiste, ovviamente, è il «capo azienda». Per Sarmi scorporare e cedere l’attività bancaria sarebbe un colpo micidiale: buona parte dell’attività di Poste Italiane viene dai servizi finanziari. Senza questi, il gruppo diventa poca cosa: nell’era di Internet con la spedizione dei plichi, delle cartoline e della posta prioritaria non si guadagna più niente. La questione è complessa.
L’unica cosa che non si può fare, è lasciare che tutto resti com’è ora. Con BancoPosta che fa finta di essere una banca, pur non avendone la licenza e rimanendo una divisione del gruppo, e con le Poste Italiane che nei 14 mila uffici territoriali fanno affari vendendo libretti, conti correnti e buoni postali. Ancora una volta, siamo in zona conflitto di interessi. Nelle sue tante incarnazioni precedenti, Passera è stato anche amministratore delegato delle Poste. Ci stupisca, con la sua indipendenza e la sua lungimiranza.
Nel vuoto spiccano le Poste. Ci si aspettava un intervento mirato del governo, soprattutto sul fronte di BancoPosta, il braccio finanziario del gruppo guidato da Massimo Sarmi. Nel testo, invece, non c’è niente. Il ministro dello Sviluppo, subito dopo il varo del provvedimento, in un’intervista al nostro giornale aveva negato qualunque ipotesi di scorporo del Banco da Poste Italiane. Ma nelle settimane successive qualcosa dev’essere cambiato. Mercoledì scorso, in un’audizione alla Commissione Industria del Senato, Passera ha annunciato «la disponibilità del governo a valutare la separazione del servizio BancoPosta da quello postale».
Un’inversione a U. Sorprendente, ma anche confortante. Per una separazione dell’attività bancaria delle Poste, da tempo, premono sia la Banca d’Italia che l’Antitrust. Sarebbe un’operazione utile, da molti punti di vista. Valorizzerebbe l’attività del Banco, e sarebbe prodromica ad una sua eventuale privatizzazione. Chi resiste, ovviamente, è il «capo azienda». Per Sarmi scorporare e cedere l’attività bancaria sarebbe un colpo micidiale: buona parte dell’attività di Poste Italiane viene dai servizi finanziari. Senza questi, il gruppo diventa poca cosa: nell’era di Internet con la spedizione dei plichi, delle cartoline e della posta prioritaria non si guadagna più niente. La questione è complessa.
L’unica cosa che non si può fare, è lasciare che tutto resti com’è ora. Con BancoPosta che fa finta di essere una banca, pur non avendone la licenza e rimanendo una divisione del gruppo, e con le Poste Italiane che nei 14 mila uffici territoriali fanno affari vendendo libretti, conti correnti e buoni postali. Ancora una volta, siamo in zona conflitto di interessi. Nelle sue tante incarnazioni precedenti, Passera è stato anche amministratore delegato delle Poste. Ci stupisca, con la sua indipendenza e la sua lungimiranza.
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