Oscar, lo stupore del cinema primitivo
di Alberto Barbera
Non è mai stata
prodiga, l’Academy di Hollywood, con i registi innovatori. Per questo motivo
non stupisce che l’unico film in lizza - L’albero della vita , di
Terrence Malick - autenticamente proiettato nel futuro di un cinema libero
dagli schemi del passato e dedito alla ricerca di un linguaggio tanto esclusivo
quanto personale, sia uscito a mani vuote dalla cerimonia degli Oscar. Le dieci
statuette, equamente suddivise fra The Artist eHugo Cabret ¸ sono
il trionfo della nostalgia. In un’epoca di grandi trasformazioni, che implicano
sconvolgimenti di gusti e abitudini consolidate, non stupisce che gli
ultrasettantenni membri dell’Academy si siano fatti travolgere dall’emozione di
due film che esaltano il piacere intatto del cinema delle origini, ancora non
contaminato dalle superfetazioni del gusto e dalle raffinatezza estetiche
accumulate nel corso del Novecento. D’altro canto, non sembra la nostalgia il
tono dominante delle celebrazioni artistiche contemporanee, con poche eccezioni
assai più dedite a ripercorrere strade battute e decantare i fasti dei decenni
trascorsi, più di quanto non siano votate alla ricerca del nuovo e dell’ignoto?
A meno che non si tratti, nel cinema almeno, delle inedite meraviglie del
digitale e degli effetti speciali, dietro i quali traspare quasi sempre il
vuoto di contenuti innovatori o, quantomeno, non del tutto stantii.
Successo annunciato, dunque, e comunque non demeritato. Perché entrambi i film - quello muto e in bianco e nero di Hazanavicius, e quello di Scorsese, ipercinetico e stracolorato - sono due ottimi film. Con molte cose in comune, al di là di ciò che in tutta evidenza li separa. Se, infatti, il primo
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