Siria, l’escalation finale?
di Michele
Paris
L’ennesimo summit
della Lega Araba per cercare di risolvere la crisi siriana si è risolto
domenica nella prevista richiesta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
di autorizzare una missione congiunta di “peacekeepers” sotto il patrocinio
delle due organizzazioni. La risoluzione approvata al Cairo chiede l’invio di
circa tre mila uomini in Siria, ufficialmente per monitorare l’implementazione
di un cessate il fuoco, così da porre fine alle violenze tra il governo di
Bashar al-Assad e l’opposizione armata e sostenuta finanziariamente
dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo.
La Lega Araba ha
anche sollecitato i propri membri a “interrompere qualsiasi forma di cooperazione
diplomatica” con il governo siriano, dopo che nei giorni precedenti alcuni
paesi arabi avevano ritirato i loro rappresentati nel paese in seguito alla
chiusura dell’ambasciata americana a Damasco. Le decisioni partorite dal
vertice dell’organizzazione panaraba sono giunte mentre in Siria proseguono le
violenze, soprattutto nella città di Homs, dove la resistenza armata alle forze
del regime risulta particolarmente intensa.
Per mantenere alta
la pressione su Assad e convincere l’opinione pubblica occidentale dell’urgenza
di un intervento esterno, il solito Osservatorio per i Diritti Umani in Siria,
con sede a Londra, ha di nuovo elencato una serie di scontri con decine di
morti in episodi impossibile da verificare in maniera indipendente. A sottolineare
la confusione attorno alle vicende relative alla Siria e la scarsa
attendibilità dei resoconti pubblicati dai giornali ci sono i dati diffusi da
un altro gruppo di opposizione che opera però in territorio siriano, i Comitati
di Coordinamento Locale, i quali risultano ben diversi da quelli
dell’Osservatorio per i Diritti Umani anche per le stesse località prese in
considerazione.
Dietro la
richiesta di una missione congiunta
ONU-Lega Araba c’è in realtà il desiderio
di alcuni paesi all’interno della stessa Lega - a cominciare da Arabia
Saudita e Qatar - di aprire la strada ad un intervento armato dall’estero per rovesciare il regime di Assad. Le
basi per il meeting del Cairo di domenica
, e per le risoluzioni approvate, erano state fornite d’altra parte proprio da una precedente riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, di cui fanno parte Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.
, e per le risoluzioni approvate, erano state fornite d’altra parte proprio da una precedente riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, di cui fanno parte Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.
Comprensibilmente,
la proposta della Lega Araba è stata fermamente respinta già nella serata di
domenica dal governo di Damasco. Secondo quanto riportato dall’agenzia di
stampa ufficiale del regime, SANA, l’ambasciatore presso la Lega (da cui
peraltro la Siria è stata sospesa), Yousef Ahmad, ha affermato che il suo
governo “non è interessato in nessuna decisione presa dall’organizzazione”, le
cui mosse “riflettono l’isteria e la confusione” di alcuni paesi arabi.
Sempre nella
giornata di domenica, poi, il capo della missione degli osservatori della Lega
Araba, inviata in Siria a dicembre e cancellata qualche settimana fa, ha
rassegnato le proprie dimissioni. Il generale sudanese Muhammad Ahmad
Mustafa al-Dabi ha criticato la decisione di Arabia Saudita e Qatar di ritirare
i propri osservatori nonostante fossero emersi significativi miglioramenti nel
paese e il regime stesse conformandosi alle richieste della stessa Lega.
La soppressione
della precedente missione è stato un passo cruciale per giungere al
coinvolgimento delle Nazioni Unite così da legittimare un intervento per
rovesciare Assad. Il fallimento forzato della missione alla quale Damasco aveva
dato il via libera, è stato voluto precisamente da Arabia Saudita e Qatar, con
l’OK di Washington, in quanto da simili iniziative questi paesi intendono
accettare unicamente le prove delle repressioni del regime siriano, al di là
della realtà sul campo, in modo da sfruttarle per promuovere l’abbattimento
dell’attuale governo.
Le manovre dei paesi Occidentali e dei loro
alleati nel Golfo Persico ricalcano sempre più quelle messe in atto lo
scorso anno alla vigilia dell’aggressione militare contro la Libia. Anche in quel caso, la risoluzione 1973 del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU venne preceduta da un voto
della Lega Araba che chiedeva l’intervento della comunità internazionale in appoggio ai “ribelli” libici. Con il
pretesto dell’intervento “umanitario”, la NATO
diede così inizio alle operazioni militari per sostituire Gheddafi con gli
esponenti del Consiglio Nazionale di Transizione, causando, al termine della
campagna, oltre 50 mila morti e gettando il paese nordafricano in un caos nel
quale a dominare sono ora le varie milizie armate che si fronteggiano tra loro
macchiandosi di ripetute violazioni dei diritti umani.
Dal summit di
domenica non è arrivato invece l’atteso riconoscimento del Consiglio Nazionale
Siriano (CNS) come unico rappresentante legittimo del governo di Damasco, anche
se questa mossa giungerà con ogni probabilità nel prossimo futuro.
Ciononostante, la Lega Araba si è espressa a favore “dell’apertura di canali di
comunicazione con l’opposizione siriana e della fornitura di supporto politico
e finanziario”.
Quest’ultima
decisione sanziona, in effetti, una realtà già evidente da tempo. Il CNS e
l’Esercito Libero della Siria (FSA), oltre ad essere stanziati in Turchia,
godono, come già ricordato, del sostegno materiale di vari governi occidentali
e arabi. Secondo recenti rivelazioni, inoltre, membri delle Forze Speciali di
Gran Bretagna e Qatar starebbero addestrando combattenti dell’FSA in territorio
turco, mentre personale specializzato di questi ed altri paesi sarebbero già
presenti in Siria per fornire “consigli di natura tattica” all’opposizione
armata impegnata contro il regime.
Forse anche grazie
a questo sostegno, l’opposizione siriana
nelle ultime settimane ha incrementato le proprie azioni, facendo ricorso
sempre più spesso ad assassini e atti di terrorismo. Proprio sabato scorso, ad
esempio, la stampa ufficiale ha diffuso la notizia dell’assassinio a Damasco
del generale Issa al-Kholi, noto medico militare proveniente da una potente
famiglia alauita legata ai vertici del governo siriano. Nei giorni precedenti,
poi, due esplosioni nella città di Aleppo - roccaforte del regime e finora
relativamente risparmiata dalle proteste - due esplosioni contro edifici
governativi avevano fatto almeno 28 morti.
Per quest’ultimo
attentato terroristico, la stampa internazionale ha puntato il dito contro
gruppi vicini ad Al-Qaeda provenienti dal vicino Iraq. Qualche giorno fa,
infatti, il leader di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, aveva elogiato in un video-messaggio
i ribelli siriani che si battono contro Assad. Singolarmente, come già avvenne
in Libia, dove tra i ribelli c’erano molti fondamentalisti islamici legati
all’organizzazione che fu di Osama bin Laden, anche in Siria l’agenda di
Al-Qaeda sembra coincidere con quella degli Stati Uniti.
Come ha descritto
ieri un articolo del New York Times,
inoltre, da qualche tempo è attivo un
traffico di armi dalle province occidentali a maggioranza sunnita dell’Iraq
- in particolare dalla città di Mosul, quartier generale di Al-Qaeda in Iraq -
e destinato ai ribelli in Siria. L’appello alle armi e alla guerra santa da
parte di ambienti estremisti è giunta anche dai Fratelli Musulmani della
Giordania, secondo i quali “sostenere la popolazione siriana e l’FSA è un
dovere, dal momento che essi stanno subendo le ingiustizie e l’oppressione del
regime”.
Il progetto degli Stati Uniti e dei loro
alleati di rovesciare Assad per sostituirlo con un regime più malleabile rientra nella strategia più ampia tesa ad
estendere in maniera pressoché incontrastata l’influenza americana dalle sponde
del Mediterraneo al Mar Caspio, un’area sconfinata che conserva la maggior
parte delle riserve energetiche del pianeta. Questo disegno, che prevede come successiva e fondamentale tappa il cambio
di regime in Iran, di cui Damasco è il principale alleato, va di pari passo
con il declino degli stessi USA su scala globale e rischia di trascinare in un
conflitto rovinoso potenze come Russia e
Cina che vedono minacciati i propri
interessi vitali.
Oltre al veto di
due settimane fa all’ONU alla risoluzione sulla Siria, Mosca sta reagendo in maniera ferma alle minacce americane contro
Damasco, confermando l’appoggio
all’alleato Assad attraverso, tra l’altro, l’invio di proprie navi da
guerra al largo delle coste del paese e la firma di nuovi accordi di fornitura di armamenti al regime.
Nonostante i
rischi di alimentare nuove tensioni, l’offensiva da parte dei governi che
vogliono la fine di Assad non conosce soste. Dopo il summit della Lega Araba,
la palla è passata ancora alle Nazioni
Unite dove ieri è iniziata un’altra trattativa per giungere ad una nuova
risoluzione di condanna contro la Siria, questa volta basata su una proposta
saudita. La nuova risoluzione, che
non avrebbe alcuna possibilità di superare l’esame del Consiglio di Sicurezza
per l’opposizione di Russia e Cina,
dovrebbe essere sottoposta all’esame dell’Assemblea Generale. Per ottenerne
l’approvazione sarà così sufficiente una maggioranza
semplice, anche se il documento che ne potrebbe uscire non sarà comunque in
nessun modo vincolante.
Nessun commento:
Posta un commento