La
scomparsa di Patò
Tratto
dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri, La scomparsa di Patò si svolge a
Vigata nel1890. Il ragioniere Antonio Patò, direttore della banca di Trinacria,
nel corso della rappresentazione pasquale del Mortorio, in cui interpreta
magistralmente la parte di Giuda, sparisce misteriosamente senza lasciare
traccia. Tutto può essere successo, ogni ipotesi è valida. La soluzione la
cercano insieme il delegato Bellavia e il maresciallo Giummaro, prima rivali,
poi amici e infine complici. Con la costanza e il buon senso di chi forse non
sa il latino ma ben conosce l'animo umano, Giummaro e Bellavia arrivano finalmente
a ricostruire quello che è successo.
Regia: Rocco
Mortelliti
Sceneggiatura: Andrea
Camilleri, Rocco Mortelliti, Maurizio Nichetti
Regia: Rocco Mortelliti
Attori: Neri Marcorè, Nino Frassica,
Maurizio Casagrande, Alessandra Mortelliti, Flavio Bucci, Roberto Herlitzka,
Simona Marchini, Alessia Cardella, Manlio Dovì, Franco Costanzo, Gilberto
Idonea, Pippo Crapanzano
Fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Marzia Mete
Musiche: Paola
Ghigo
Recensione
di Daniela Catelli
C'è un Camilleri extra Montalbano, ed è
quello che preferiamo. Quello che racconta piccole storie lontane che diventano
metafore di un paese, e che compone libri come fossero collage di documenti di
epoche solo in apparenza defunte. Certo oggi è più difficile scomparire, ma a
fine Ottocento, se uno stimato e annoiato membro della sua comunità, farabutto
d'indole, accecato dalla passione, avesse voluto farlo, sarebbe stato difficile
ritrovarlo: niente Ris, niente Chi l'ha visto?, niente internet e Facebook e -
soprattutto - nessun villaggio globale in cui tutti sanno (e si fanno) i fatti
di tutti. Ma nonostante le differenze, l'ieri e l'oggi in storie come La
scomparsa di Patò appaiono sorprendentemente attuali: oggi il potere non
manda velate minacce ai sottoposti per cambiare una realtà che non gli piace,
ma interviene direttamente emanando editti televisivi e telefonando
direttamente nelle procure. Ecco perché Patò, nipote raccomandato dello zio
senatore del Regno, marito di sua nipote e maschera pirandelliana la cui vera
essenza è ignota ai più, finisce per suscitare anche simpatia, perché in fondo,
"se ne stracatafotte" di tutti, per dirla col linguaggio del libro, e
sceglie la propria felicità privata.
Non era
facile portare sullo schermo questa storia, dare voci e accenti ai suoi protagonisti,
e non tutte le parti del film sono all'altezza del libro (ad esempio ci
immaginavamo molto diversa la Principessa, e il film si gioca un po' troppo
bruscamente all'inizio l'esilarante scena del coito dei contadini in cappella e
dello svenimento della beghina), ma a parte alcune cadute di tono, la visione
del regista esprime con fedeltà quella del libro. Abbiamo apprezzato ad esempio
la decisione di ometterne le parti meno credibili o comunque superflue ai fini
della narrazione, come le lettere dell'astronomo e dell'emulo di Escher
inglesi), e di inserire le testimonianze dei vari medici e speziali all'interno
di siparietti, ognuno nel suo habitat. Bella anche l'idea di far vedere la
ricostruzione dei due investigatori, tanto lucidi e chiari nel loro lavoro, da
condurci per mano in un tableau vivant, e farci toccare con mano quello che è
successo, e che parenti, preti e politicanti preferiscono continuare a
ignorare.
Mortelliti accentua
la lettura politica della storia scrivendo una bella canzone che accompagna i
titoli di coda e viene cantata da Neri Marcorè e Danilo Formaggia
(ottimo tenore, che ha il ruolo del Marchese). Il film è inoltre ben
recitato dalla coppia comica Casagrande/Frassica che omaggia Totò e Peppino (ma è un
inchino garbato, non una citazione scontata) e non va mai sopra le righe, ed è
arricchito dall'apparizione di un Patò, presente solo in effigie nel romanzo,
che ha il volto e il fisico “impiegatizio” ma sornione del trasformista e
succitato Marcorè, e da
due splendidi cammei: la “buttana” di Guia Jelo alle prese con una incredibile
e velocissima tirata in dialetto, e il saggio becchino chiacchierone del sempre
grande Roberto Herlitzka, un attore capace di dare lustro a qualsiasi
pellicola a cui accetti di partecipare.
La scomparsa
di Patò, pur non essendo un capolavoro, è un film molto
gradevole che vale la pena di vedere. E se non avete letto il libro, un
consiglio: correte a farlo. Anche se, come chi scrive, trovate un po'
ripetitivo Montalbano. Apprezzerete il fine intelletto e la cultura di uno
scrittore capace di lavorare in punta di fioretto e riderete con l'amaro in
bocca, constatando come, dalla Sicilia del 1890 all'Italia di oggi, il nostro
paese sembri (sia?) ben poco cambiato.
Trailer
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