venerdì 24 febbraio 2012

Cinema, film nelle sale: La scomparsa di Patò



La scomparsa di Patò

Tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri, La scomparsa di Patò si svolge a Vigata nel1890. Il ragioniere Antonio Patò, direttore della banca di Trinacria, nel corso della rappresentazione pasquale del Mortorio, in cui interpreta magistralmente la parte di Giuda, sparisce misteriosamente senza lasciare traccia. Tutto può essere successo, ogni ipotesi è valida. La soluzione la cercano insieme il delegato Bellavia e il maresciallo Giummaro, prima rivali, poi amici e infine complici. Con la costanza e il buon senso di chi forse non sa il latino ma ben conosce l'animo umano, Giummaro e Bellavia arrivano finalmente a ricostruire quello che è successo.

Regia: Rocco Mortelliti
Sceneggiatura: Andrea Camilleri, Rocco Mortelliti, Maurizio Nichetti
Regia: Rocco Mortelliti
Attori: Neri Marcorè, Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Alessandra Mortelliti, Flavio Bucci, Roberto Herlitzka, Simona Marchini, Alessia Cardella, Manlio Dovì, Franco Costanzo, Gilberto Idonea, Pippo Crapanzano
Fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Marzia Mete
Musiche: Paola Ghigo

Recensione di Daniela Catelli

C'è un Camilleri extra Montalbano, ed è quello che preferiamo. Quello che racconta piccole storie lontane che diventano metafore di un paese, e che compone libri come fossero collage di documenti di epoche solo in apparenza defunte. Certo oggi è più difficile scomparire, ma a fine Ottocento, se uno stimato e annoiato membro della sua comunità, farabutto d'indole, accecato dalla passione, avesse voluto farlo, sarebbe stato difficile ritrovarlo: niente Ris, niente Chi l'ha visto?, niente internet e Facebook e - soprattutto - nessun villaggio globale in cui tutti sanno (e si fanno) i fatti di tutti. Ma nonostante le differenze, l'ieri e l'oggi in storie come La scomparsa di Patò appaiono sorprendentemente attuali: oggi il potere non manda velate minacce ai sottoposti per cambiare una realtà che non gli piace, ma interviene direttamente emanando editti televisivi e telefonando direttamente nelle procure. Ecco perché Patò, nipote raccomandato dello zio senatore del Regno, marito di sua nipote e maschera pirandelliana la cui vera essenza è ignota ai più, finisce per suscitare anche simpatia, perché in fondo, "se ne stracatafotte" di tutti, per dirla col linguaggio del libro, e sceglie la propria felicità privata.
Non era facile portare sullo schermo questa storia, dare voci e accenti ai suoi protagonisti, e non tutte le parti del film sono all'altezza del libro (ad esempio ci immaginavamo molto diversa la Principessa, e il film si gioca un po' troppo bruscamente all'inizio l'esilarante scena del coito dei contadini in cappella e dello svenimento della beghina), ma a parte alcune cadute di tono, la visione del regista esprime con fedeltà quella del libro. Abbiamo apprezzato ad esempio la decisione di ometterne le parti meno credibili o comunque superflue ai fini della narrazione, come le lettere dell'astronomo e dell'emulo di Escher inglesi), e di inserire le testimonianze dei vari medici e speziali all'interno di siparietti, ognuno nel suo habitat. Bella anche l'idea di far vedere la ricostruzione dei due investigatori, tanto lucidi e chiari nel loro lavoro, da condurci per mano in un tableau vivant, e farci toccare con mano quello che è successo, e che parenti, preti e politicanti preferiscono continuare a ignorare.
Mortelliti accentua la lettura politica della storia scrivendo una bella canzone che accompagna i titoli di coda e viene cantata da Neri Marcorè e Danilo Formaggia (ottimo tenore, che ha il ruolo del Marchese). Il film è inoltre ben recitato dalla coppia comica Casagrande/Frassica che omaggia Totò e Peppino (ma è un inchino garbato, non una citazione scontata) e non va mai sopra le righe, ed è arricchito dall'apparizione di un Patò, presente solo in effigie nel romanzo, che ha il volto e il fisico “impiegatizio” ma sornione del trasformista e succitato Marcorè, e da due splendidi cammei: la “buttana” di Guia Jelo alle prese con una incredibile e velocissima tirata in dialetto, e il saggio becchino chiacchierone del sempre grande Roberto Herlitzka, un attore capace di dare lustro a qualsiasi pellicola a cui accetti di partecipare.

La scomparsa di Patò, pur non essendo un capolavoro, è un film molto gradevole che vale la pena di vedere. E se non avete letto il libro, un consiglio: correte a farlo. Anche se, come chi scrive, trovate un po' ripetitivo Montalbano. Apprezzerete il fine intelletto e la cultura di uno scrittore capace di lavorare in punta di fioretto e riderete con l'amaro in bocca, constatando come, dalla Sicilia del 1890 all'Italia di oggi, il nostro paese sembri (sia?) ben poco cambiato.

Trailer

Nessun commento:

Posta un commento