da: Il Messaggero
C’erano una volta le tv locali
la metà rischia di chiudere
Le frequenze
saranno riservate a internet, finisce un’epoca. Si può scegliere tra
l’indennizzo e il trasloco.
di Alberto Guarnieri
Nell’Italia dei
mille campanili ci sono oltre seicento tv locali. Ma, se fatichiamo a ridurre
le province, di qui a pochi mesi le emittenti saranno invece dimezzate. La
necessità di lanciare finalmente la banda larga ha infatti portato il governo a recuperare le preziosissime frequenze tv (dalla 61 alla 69, le
migliori) e a preannunciare lo
sfratto ad alcune emittenti storiche. Le più famose, quelle che hanno
fatto, dagli anni Settanta, la storia delle tv «libere» italiane. Tra esse il
circuito lombardo di Sandro Parenzo (quello che trasmette Michele Santoro) e
alcune storiche tv private romane: da Tele Oro a Teleroma 56, da Roma1 a Televita,
da Telestudio a Tvr Voxson, per citarne solo alcune.
Le emittenti
potrebbero continuare a vivere, almeno in buona parte, con una nuova
collocazione nell’etere. Ma, per chi ha già subito uno spostamento (di banda e
soprattutto di telecomando) col passaggio al digitale terrestre, un nuovo
trasloco porterebbe a una perdita di visibilità e audience che sarebbe
difficilmente sopportabile.
Il governo offre alle emittenti che decidono di
chiudere un indennizzo che per il
Lazio è circa un milione e 600mila euro ciascuna e nazionalmente di poco
diverso. Una cifra concessa indiscriminatamente
a chi ha cento dipendenti e a chi ne ha due, a chi fa programmazione di
qualità e a chi vive di aste di quadri.
Chiaro che i
piccoli accetteranno, difficile la scelta per i grandi. Il «digitale era nato
per moltiplicare l’offerta – spiega Daniela Tersigni, amministratrice delegata
di Rete Oro – abbiamo dovuto investire per coprire i tre canali a nostra
disposizione con la nuova tecnologia. Ora ci troviamo con una trentina di
dipendenti e ci offrono gli stessi soldi di chi trasmette oroscopi con due o
tre addetti oppure di trasferirci chissà dove. Già non c’è una posizione chiara
sul telecomando per la situazione attuale. Figuriamoci poi come potranno
trovarci i nostri telespettatori». «E’
una truffa», aggiunge lapidario Sandro
Parenzo, presidente di Mediapason
(240 dipendenti), il terzo gruppo televisivo italiano privato. «Faremo
ricorso in tutte le sedi».
Lo Stato ha venduto le frequenze 61-69 alla
telefonia ricavandone circa 4 miliardi. Di questi, 400 milioni erano
destinati al rimborso per le tv espropriate. I 400 sono diventati 240, poi 170.
Domani le associazioni delle tv locali, Frt e Areanti-Corallo, hanno chiamato
il mondo politico a cercare una soluzione del problema in un confronto a Roma. «Chiediamo
soprattutto nuovi criteri di scelta distinguendo tra chi vuole chiudere e chi
no», dichiara Alfredo Donato, direttore della Frt. E ricorda che il settore
fattura quasi 600 milioni di euro, con oltre 5 mila addetti a contratto. «Le
emittenti a rischio nel Lazio sono 23 e sono marchi storici», precisa.
Vero è che le tv private ricevono 140 milioni di
contributi statali, che la banda larga è una necessità nazionale, ma ai
rappresentanti dei partiti, in modo bipartisan, il decreto con cui si dimezzerà
il panorama pare quantomeno rivedibile.
«Un passaggio al
digitale terrestre mal gestito ha messo in crisi l’intero settore delle
televisioni locali – dirà domani Roberto Rao dell’Udc – speriamo almeno venga
approvato un nostro emendamento che propone sgravi fiscali sulle cifre ottenute
a risarcimento delle frequenze espropriate per quegli imprenditori che decidono
di reinvestire nel settore». Paolo Gentiloni del Pd ricorda di aver proposto da
tempo di togliere i canali a Rai e Mediaset (invece che alle locali). Alessio
Butti (Pdl) vede inevitabile una riduzione del numero delle tv, ma vuole
assolutamente evitare incentivi «a pioggia».
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