da: Famiglia Cristiana
Vaticano
di vetro
Vatileaks,
Ior, trasparenza, anti-riciclaggio, pedofilia nella Chiesa, i mass media e i
pregiudizi della stampa. Intervista esclusiva all'avvocato della Santa Sede
Jeffrey Lena.
"Quando
il Papa agirà lo farà con determinazione. Mi aspetto che, come uno scultore,
papa Francesco studierà la forma e la consistenza del materiale prima di
intaccarlo con decisione con lo scalpello".
L’avvocato Jeffrey Lena, classe 1958, è un uomo
schivo, ma amichevole e informale. In passato insegnante di storia, da tredici
anni Lena difende il Vaticano in un'ampia gamma di casi intentati contro la
Santa Sede. Dall'inizio del del 2012 è stato chiamato a partecipare alle riforme
all'interno del sistema antiriciclaggio del Vaticano. Di recente ha anche
difeso il principio di libertà di culto presso le corti d'Appello statunitensi.
E' uno degli avvocati che fa parte del ristrettissimo gruppo di legali ammessi
all'albo della Corte Suprema degli Stati Uniti. In passato, Lena ha spiegato
che oltre a difendere la Santa Sede, è nutrito dal desiderio che continui ad
alzare la voce per la pace e per favorire un maggiore dialogo tra i popoli. Il
progetto che gli sta più a cuore è la progettazione di un nuovo Museo
Etnologico, poiché ha una collezione di oggetti
che "testimoniano l'enorme
creatività e spiritualità di tutti i popoli del mondo indipendentemente da
provenienza, origine, culto". Durante questi anni, Lena ha difeso il
Vaticano in un ampia gamma di casi intentati contro il Vaticano negli Stati
Uniti – accuse di aver ricevuto proventi di crimini di guerra, casi
riciclaggio, e casi di abusi sessuali.
- Lo scorso anno si è
verificata nei confronti del Vaticano una vasta fuga di notizie dal Vaticano,
la cosiddetta “Vatileaks.” Cosa c’è a suo parere dietro questa diffusione di
documenti?
“Innanzitutto vorrei sottolineare che quella fuga non è stata così “vasta”. In
secondo luogo, il furto di informazioni riservate è un crimine non insolito che
tutte le giurisdizioni possono subire, e generalmente su scala ben più ampia.
Il caso è stato traumatico per un altro motivo: noi tutti abbiamo assistito a
un episodio di profondo tradimento, seguito dalla sua scoperta e punizione, e
dal perdono da parte di che era stato tradito – Papa Benedetto XVI. Ed è stato
proprio questa serie di eventi, non il contenuto dei documenti, a colpire il
pubblico così profondamente. Per
capire cosa sia realmente accaduto, bisogna semplicemente ripercorrere le udienze
del Tribunale Vaticano, il quale ha esaminato con dovuta attenzione le prove e
ha determinato che l’aiutante di camera del Papa agiva per ragioni proprie, e
motivato da uno slancio personale di “purificazione”. Ciò è stato difficile da
accettare per alcuni giornalisti che ritenevano quella spiegazione troppo
banale. Purtroppo lo scrivere su questioni di Chiesa è talvolta appesantito da
una “dietrologia” che non corrisponde alla realtà. A volte le cose possono
anche essere più semplici. Come in questo caso. Per me, la cosa interessante è
che la fuga di notizie ha funzionato come una sorta di “Rorschach test” (quel
test psicologico utilizzato per registrare le diverse interpretazioni che i
pazienti danno alle macchie d’inchiostro). Alcuni commentatori tendevano a
leggere negli avvenimenti quel che volevano trovarci, utilizzando l’episodio
per alimentare i loro progetti di riforma per la Curia”.
- Come hanno reagito in Curia?
“È
interessante paragonare ciò che ho visto in Curia in quel periodo (ero presente
quotidianamente) rispetto a quanto lo scenario diffuso dai media. Mentre la
stampa raccontava di un “caos in Curia”, ho assistito al contrario: superiori
che rinnovavano la fiducia ai propri collaboratori, incoraggiandoli a mantenere
un contegno. Naturalmente esisteva un ragionevole livello di preoccupazione: le
dimensioni del problema dovevano essere capite e intanto, la pressione dei
mezzi d’informazione è stata intensa. Ciò nonostante, la Curia ha tenuto la
testa alta. Non ho assistito ad alcun “caos” o “effetto panico”. Posso anche
aggiungere che, con l’arresto del colpevole, non lo hanno trattato come un
capro espiatorio. Invece, si sono sforzati di capire a fondo cosa era
realmente successo. Ora, so bene che i giornalisti svolgono un compito tanto
essenziale quanto prezioso. L'ho detto più volte. E molti di loro sono animati
da una profonda speranza di una Chiesa migliore. Su questo non c'è dubbio.
Oltretutto devono scrivere sulle cose in tempi rapidissimi spesso basandosi su
informazioni incomplete. Il loro compito non è facile e onestamente non sarei
in grado di farlo. Dico solo che è sempre meglio raccontare fatti accertati
anziché speculazioni. Tutto qui".
- E quali saranno le
conseguenze di questi eventi?
“Anche se comprendo la preoccupazione
della gente che leggeva la marea di parole generata da questi avvenimenti,
prevedo che quando gli storici guarderanno indietro, il loro interesse sarà non
tanto sugli avvenimenti stessi, quanto la loro strumentalizzazione”.
- Al centro delle campagne
giudiziarie contro il Vaticano c'è spesso lo IOR, accusato di essere una
centrale di riciclaggio off-shore e di rifiutare di aderire ai processi
internazionali di trasparenza. Cosa c'è di vero?
“E’
una domanda che tocca molti temi. Innanzi tutto, sarebbe scorretto entrare in
questioni giudiziarie, anche perché, mentre continuo a seguire le questioni
assegnatemi dalla Santa sede, non fornisco più consulenza legale allo IOR.
Inoltre parlare di una “campagna giudiziaria” è scorretto a mio avviso nei
confronti della magistratura italiana. Io spero solo che arriverà presto il
momento in cui saranno superati gli stereotipi che troppo frequentemente
influenzano questo genere di discorso. Ritengo
un insulto il termine “centrale di riciclaggio”. Sono sicuro che il Papa
Francesco, come il suo predecessore, non tollererà attività illecite. Il
concetto di un Vaticano “off-shore” è a dir poco offensivo. E va ricordato che
sul piano internazionale la Santa Sede collabora nelle modalità previste dai
trattati che regolano le rogatorie internazionali, fatto riconosciuto da
Moneyval ma spesso riportato in modo diverso dai media. E’ bene ricordare che la
realizzazione di un solido sistema di ispezione di cui i partner internazionali
possano fidarsi è in corso e mi auguro che nel prossimo futuro vedremo
ulteriori miglioramenti al sistema antiriciclaggio. Aggiungo che esiste una
percezione sbagliata che le riforme in materia riguardano solo lo IOR. Le
riforme necessarie riguardano anche AIF, quale Autorità competente e garante sul
piano operativo della correttezza del sistema interno AML. I valutatori del
Moneyval torneranno in Vaticano a fine anno per dare il loro parere su i passi
compiuti”.
- Dagli Stati Uniti sono
partite spesso cause e addirittura ‘class action’ contro il Vaticano
riguardanti le più disparate questioni -- dal processo per il tesoro degli
Ustascia agli casi di pedofilia. C’è persino chi ha chiesto di mettere sotto
accusa il Papa. Come si sono risolti questi processi?
“In questi anni ho trattato diversi
casi per conto della Santa Sede, i suoi organi e perfino per Papa Benedetto
XVI. Quando si tratta di questi casi, prima di tutto è doveroso rammentare che
ci sono vittime che hanno sofferto terribilmente. Voglio dire che i casi non
sono fantasmi inventati per screditare la Chiesa. Ma è altresì vero che le
persone che sfruttano le sofferenze delle vittime per screditare la Chiesa non
danno contributo alla ricerca di soluzioni autentiche. La soluzione sta in un
onesta collaborazione basata su una Chiesa che riconosce i problemi dove
esistono, ma ci vuole anche che chi continua a criticare duramente la Chiesa
riconosce che ci sono molti esempi in cui la Chiesa si è diventata esemplare nella lotta contro questi crimini.
Inoltre è inutile parlare solo della Chiesa quando ormai si sa bene dalle
statistiche elaborate in questi anni che il problema esiste altretanto nelle
scuole pubbliche, negli ospedali, e persino all’interno delle famiglie. Insomma
“il coraggio di riconoscere il problema” non è un dovere nei confronti solo
alla Chiesa. Tornando alla questione delle cause intentate, accenno che bisogna
distinguere tra processi contro le Diocesi (e anche enti religiosi) e i
processi contro la Santa Sede che si trova spesso trascinata in cause in cui
non c’entra nulla. Tali casi dimostrano la differenza tra mere accuse e
prove concrete: Infatti, fin’ora nelle cause intentate contro la Santa Sede per
questioni di abusi, dopo il deposito della prove in tribunale, i capi di accusa
si sono sgretolati. Per esempio, nel caso Doe v. Holy See,
intentato nel 2003, il giudice, dopo aver esaminato i fatti, ha riscontrato una
totale mancanza di fondamento per le accuse che la Santa Sede doveva essere
ritenuta responsabile, e lo ha archiviato. Lo stesso vale per le cause
intentate una decina di anni fa basate sull’accusa che è stato ricevuto in
Vaticano valuta derivata dalle depredazioni compiute dai fascisti in Croazia
durante la seconda guerra mondiale. Alla fine, anche in questi casi, i capi
d’accusa sono stati respinti dal giudice per un semplice motivo: i querelanti
non avevano prove che dimostrassero che le depredazioni disumane degli ustasha
(quale regime fascista che dominava la Croazia allora) sono mai arrivati in
Vaticano. Posso aggiungere che facendo un indagine dei fatti per preparare la
difesa non ho trovato prove delle teorie cospiratorie sulla quali queste cause
erano basate. In fine, è interessante notare che tutte queste cause sono
unite da un singolo filo conduttore: sono sempre ispirati dall’idea largamente
diffusa che “tutto è controllato da Roma”. E’ un idea che non ha riscontro
nella struttura autentica e reale della Chiesa cattolica né nel principio di
sussidarietà che la guida. Infatti il principio di comunione gerarchica che
unisce il Papa agli altri vescovi non è un semplice “potere di commando” come
spesso ipotizzato. Questo errore fondamentale, insieme ad altri, sono alla base
delle cause temerarie finora intentate contro la Santa Sede o il Vaticano”.
- Guardando al futuro,
come ci si aspetta che la questione degli abusi sessuali sarà gestita dalla
Chiesa Cattolica?
“Insistere
sul fatto che la Santa Sede non sia stata responsabile è ben diverso
dall’affermare che non debba agire da protagonista nell’affrontare il problema.
Infatti gioca, e credo che giocherà, un ruolo importante nell’aiutare le
diocesi e gli istituti religiosi coinvolti a trovare soluzioni per individuare
i colpevoli - quelli che Benedetto XVI ha definito “criminali inqualificabili”
e la “vergogna” della Chiesa – e per rafforzare ulteriormente i sistemi di
prevenzione. Di fatto, la
Santa Sede ha già preso diversi provvedimenti, tra i quali richiedere nel 2010
che ciascuna conferenza episcopale sviluppasse delle linee guida per favorire
la protezione dei minori e tali requisiti stanno cominciando a dare i loro
frutti. Immagino che l’eventuale adozione di ulteriori misure saranno prese in
considerazione in futuro. Ciò
che è importante adesso è guardare in prospettiva: quello che conta sia nella
Chiesa sia nella società in generale è di assicurare la protezione delle
persone più vulnerabili. E ora questo è
possibile. Capendo meglio quanto accaduto in passato si può cogliere meglio la
natura del problema. Proprio perché i fedeli hanno sofferto a causa di questo
flagello, la Chiesa a tutti i livelli può finalmente condurre una vera la lotta
in quest’ambito. Per me ciò significa considerare il dovere di prevenire gli
abusi come una questione di giustizia sociale. A questo riguardo, pur tenendo
conto delle peculiarità delle varie regioni del mondo, penso che la Chiesa
statunitense, e non solo, abbia molto da offrire, dato anche che i loro
programmi di prevenzione degli abusi stanno funzionando. Infatti dopo anni
difficili, le famiglie iniziano a recuperare un nuovo senso di sicurezza.
Infatti, una delle ragioni di questo successo è la piena partecipazione dei parrocchiani
nel gestire direttamente pratiche e procedure di protezione dei minori.
Si dovrebbe puntare maggiormente sui miglioramenti di sistemi di protezione al
livello parrocchiale, invitando la piena partecipazione dei parrocchiani.
E’ un modello che merita di essere diffuso a mio avviso.
- Secondo Lei, cosa
cambierà sotto la guida di Papa Francesco?
“Mi
sembra prematuro parlarne. Ogni Papa che prende in mano il timone di Pietro
permea il pontificato con le sue qualità personali, ma allo stesso tempo viene
egli stesso formato ulteriormente dall’esperienza unica della responsabilità di
governo della Chiesa universale. Tale dialettica tra uomo e Ufficio aiuta a
mantenere la Chiesa in sintonia con i tempi ma al contempo affonda le sue
radici nella tradizione. Il Papa ci incoraggia poi a non essere
“autoreferenziali”. Per me vuol dire non permettere alle istituzioni della
Chiesa di diventare i confini della Chiesa stessa. Alcuni
hanno letto le parole di Sua Santità come una prospettiva “nuova”, ma a me sembra
invece un richiamo al cuore della visione cattolica: un esempio di come
l’evangelizzazione, al centro della tradizione, possa contenere nuove
dimensioni. Secondo me, il sostegno più importante da offrire al Santo Padre è
lasciargli il tempo e la serenità per consultare e riflettere, libero dal peso
di aspettative frettolose. Quando
il Papa agirà lo farà con determinazione. Mi aspetto che, come uno scultore,
Papa Francesco studierà la forma e consistenza del materiale prima di
intaccarlo con decisione con lo scalpello”.
- Come vede il nuovo
Pontefice, che effetto le fa?
"Uno dei titoli formali di ogni
pontefice è Servus Servorum Dei. "Servo dei servi di
Dio". La mia sensazione è che Papa Francesco abbia attirato l'attenzione
sul contenuto spirituale del servizio. Dopo averlo sentito parlare alcune
volte, mi sono tornate in mente le parole del reverendo Martin Luther King Jr:
"Ognuno può essere grande perché ognuno può rendere un servizio. Ognuno ha
solo bisogno di un cuore pieno di grazia. Un'anima generata dall'amore".
Credo che il "lavoro" della Chiesa non sia un progetto ma un
atteggiamento di tutti i fedeli verso il mondo, cattolico e non".
Stefano Salimbeni e Francesco
Anfossi
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