venerdì 14 giugno 2013

Margherita Buy, ‘Viaggio sola’: “racconto a puntate le storie del mondo femminile”

da: La Stampa

Buy: io, uno specchio per le donne d’Italia
L’attrice candidata ai David per “Viaggio sola”: è come se nei miei film avessi fatto un racconto a puntate delle storie del mondo femminile
di Fulvia Caprara



La prima reazione è «mamma mia». Insomma, lieve sgomento. Poi però il tono cambia. Perchè Margherita Buy, carriera lunga e variegata che riflette, come in uno specchio, l’evoluzione della figura femminile nella società italiana dalla fine degli Anni 80 ad oggi, non somiglia per niente allo stereotipo che da sempre l’accompagna.  
Parlando di lei è stato spesso usato il termine «nevrotica». 

Che effetto le ha fatto?  
«Mi ha pesato tantissimo, perchè l’approssimazione dà sempre fastidio
e “nevrotica” non è un aggettivo positivo, nè carino. Se metti tanto impegno nel fare un ruolo e poi viene fuori solo quello, beh, non è bello, è come dire che faccio tutto allo stesso modo. Sicuramente nelle situazioni pubbliche comunico qualcosa che ha a che fare con l’insicurezza, ma questo non c’entra con i miei personaggi».  

Personaggi che, negli anni, dalla Stazione di Sergio Rubini a Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, per cui è candidata al David, hanno seguito il percorso compiuto dalle donne nel contesto sociale del nostro Paese. È d’accordo?  
«Sì, me ne sono resa conto. È come se avessi fatto un po’ un racconto a puntate delle storie del mondo femminile. Quando incontro una donna che, dopo aver visto un mio film, mi dice “mi sono ritrovata”, provo un’emozione bellissima.. E con l’età va ancora meglio». 

In che senso?  
«Nel senso che l’età, tanto terrorizzante e demonizzata, mi ha dato la possibilità di avvicinarmi a donne vere, reali, di descrivere momenti diversi, delusioni... Da giovane certe cose non puoi raccontarle». 

Non ha paura di invecchiare?  
«Certo, nella vita quotidiana l’età mi spaventa, ma sullo schermo proprio no». 

Viaggio sola ha avuto successo perchè descrive un modello di donna molto contemporaneo.  
«Sì, è un film che ha infranto un piccolo tabù, riuscendo a dire in modo delicato cose che si tende a non affrontare, perchè bisogna sempre apparire monolitiche». 

Ovvero, anche le donne libere, indipendenti, realizzate, hanno le loro problematiche. Nella protagonista c’è qualcosa di lei?  
«Sì, anche se io ho una figlia, ci sono cose che mi appartengono. Mi ritrovo in quella sensazione costante di perdita che le donne provano, per esempio, quando devono partire, pensi sempre di perdere dei pezzi, non è senso di colpa, ma, appunto, senso di perdita. E poi certe malinconie, unite alla libertà che ti dà il lavoro, beh, quelle te le vivi da sola e nessuno ti può aiutare». 

Più facile essere diretta da una donna o da un uomo?  
«L’incontro con Maria Sole è stato particolarmente bello, è una regista che ha sempre tutto il film in mano, gira con grande attenzione, ma senza prevaricare, anzi, mettendosi da parte e senza mai far pesare le sue ansie, i suoi timori. I maschi, in genere sono diversi, vanno sostenuti». 

Lei ha un grande allenamento, ha lavorato con tanti, non sempre semplici, per esempio Nanni Moretti.  
«Nanni è un leader, ha sempre le idee molto chiare, ti dà fiducia. Certo, ha un carattere particolare e devi saperlo prendere, ma è anche molto simpatico e sul set i momenti di tensione sono ripagati da altri, di gran divertimento. La cosa peggiore è quando ti capita il maschio insicuro, ecco quello è un problema». 

Ci sono film o autori a cui si sente più legata?  
«La stazione è stato un film importante, mi ha unito a una persona, Sergio Rubini, per tanto tempo... E poi l’incontro con Carlo Verdone, e con Giuseppe Piccioni, con cui ho girato Fuori dal mondo e a cui tengo molto, affettivamente». 

Come andò con Verdone?  
«Non ci conoscevamo per niente, aveva visto La stazione e chiamò Rubini. Io e Sergio l’abbiamo invitato a pranzo da noi, ci mise subito a nostro agio, da allora si è stabilita un’amicizia da ragazzini». 

I suoi maestri?  
«Sergio mi ha insegnato tanto, Verdone tutto della commedia, Soldini e Moretti il rigore, Piccioni la concentrazione». 

Ha mai pensato di passare alla regia?  
«Per il momento no, troppo faticoso.... e in ogni caso, se decidessi, non prenderei una storia di qualcun’altro, dovrebbe essere il racconto di qualcosa di mio». 

Desideri che vorrebbe realizzare?  

«Un film duro, sul sociale, con toni anche crudi. Oppure uno super-romantico. Mi piacerebbe far piangere». 

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