da:
La Stampa
Buy: io, uno specchio per
le donne d’Italia
L’attrice candidata ai
David per “Viaggio sola”: è come se nei miei film avessi fatto un
racconto a puntate delle storie del mondo femminile
di
Fulvia Caprara
La prima
reazione è «mamma mia». Insomma, lieve sgomento. Poi però il tono cambia.
Perchè Margherita Buy, carriera lunga e variegata che riflette, come in uno
specchio, l’evoluzione della figura femminile nella società italiana dalla fine
degli Anni 80 ad oggi, non somiglia per niente allo stereotipo che da sempre
l’accompagna.
Parlando
di lei è stato spesso usato il termine «nevrotica».
Che
effetto le ha fatto?
«Mi ha pesato tantissimo, perchè
l’approssimazione dà sempre fastidio
e “nevrotica” non è un aggettivo positivo,
nè carino. Se metti tanto impegno nel fare un ruolo e poi viene fuori solo
quello, beh, non è bello, è come dire che faccio tutto allo stesso modo. Sicuramente
nelle situazioni pubbliche comunico qualcosa che ha a che fare con
l’insicurezza, ma questo non c’entra con i miei personaggi».
Personaggi
che, negli anni, dalla Stazione di Sergio Rubini a Viaggio sola di
Maria Sole Tognazzi, per cui è candidata al David, hanno seguito il percorso
compiuto dalle donne nel contesto sociale del nostro Paese. È d’accordo?
«Sì, me ne sono resa conto. È come se
avessi fatto un po’ un racconto a puntate delle storie del mondo femminile.
Quando incontro una donna che, dopo aver visto un mio film, mi dice “mi sono
ritrovata”, provo un’emozione bellissima.. E con l’età va ancora meglio».
In che senso?
«Nel
senso che l’età, tanto terrorizzante e demonizzata, mi ha dato la possibilità
di avvicinarmi a donne vere, reali, di descrivere momenti diversi, delusioni...
Da giovane certe cose non puoi raccontarle».
Non
ha paura di invecchiare?
«Certo, nella vita quotidiana l’età mi
spaventa, ma sullo schermo proprio no».
Viaggio
sola ha avuto successo perchè descrive un modello di donna molto
contemporaneo.
«Sì, è un film che ha infranto un piccolo
tabù, riuscendo a dire in modo delicato cose che si tende a non affrontare,
perchè bisogna sempre apparire monolitiche».
Ovvero,
anche le donne libere, indipendenti, realizzate, hanno le loro problematiche.
Nella protagonista c’è qualcosa di lei?
«Sì, anche se io ho una figlia, ci sono
cose che mi appartengono. Mi ritrovo in quella sensazione costante di perdita
che le donne provano, per esempio, quando devono partire, pensi sempre di
perdere dei pezzi, non è senso di colpa, ma, appunto, senso di perdita. E poi
certe malinconie, unite alla libertà che ti dà il lavoro, beh, quelle te le
vivi da sola e nessuno ti può aiutare».
Più
facile essere diretta da una donna o da un uomo?
«L’incontro con Maria Sole è stato
particolarmente bello, è una regista che ha sempre tutto il film in mano, gira
con grande attenzione, ma senza prevaricare, anzi, mettendosi da parte e senza
mai far pesare le sue ansie, i suoi timori. I maschi, in genere sono diversi,
vanno sostenuti».
Lei
ha un grande allenamento, ha lavorato con tanti, non sempre semplici, per
esempio Nanni Moretti.
«Nanni è un leader, ha sempre le idee molto
chiare, ti dà fiducia. Certo, ha un carattere particolare e devi saperlo
prendere, ma è anche molto simpatico e sul set i momenti di tensione sono
ripagati da altri, di gran divertimento. La cosa peggiore è quando ti capita il
maschio insicuro, ecco quello è un problema».
Ci
sono film o autori a cui si sente più legata?
«La stazione è stato un film
importante, mi ha unito a una persona, Sergio Rubini, per tanto tempo... E poi
l’incontro con Carlo Verdone, e con Giuseppe Piccioni, con cui ho girato Fuori
dal mondo e a cui tengo molto, affettivamente».
Come
andò con Verdone?
«Non ci conoscevamo per niente, aveva visto La stazione e chiamò Rubini. Io e
Sergio l’abbiamo invitato a pranzo da noi, ci mise subito a nostro agio, da
allora si è stabilita un’amicizia da ragazzini».
I
suoi maestri?
«Sergio mi ha insegnato tanto, Verdone
tutto della commedia, Soldini e Moretti il rigore, Piccioni la
concentrazione».
Ha
mai pensato di passare alla regia?
«Per il momento no, troppo faticoso.... e
in ogni caso, se decidessi, non prenderei una storia di qualcun’altro, dovrebbe
essere il racconto di qualcosa di mio».
Desideri
che vorrebbe realizzare?
«Un film duro, sul sociale, con toni anche
crudi. Oppure uno super-romantico. Mi piacerebbe far piangere».
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