lunedì 10 giugno 2013

Adriano Sofri: “La vittima numero 53, così si muore nelle terre dell’odio”

da: la Repubblica

Muoiono in tanti, nella guerra afghana. Afghani soprattutto, e delle nazioni che partecipano alla spedizione. L’Italia si era divisa allora ed è divisa oggi. Qualcuno era contrario per principio. Qualcuno pensava che la missione servisse davvero a combattere il terrorismo. Qualcuno riluttava, ma confidava che valesse a liberare quel paese, e specialmente le sue donne e le sue bambine dalla brutalità talebana.
C’erano i militari che ci andavano. Ci andavano perche’ i militari vanno dove li mandano. Ci andavano, forse, attirati dal soldo: ciò che non ne fa dei mercenari. Ci andavano anche, non di rado, credendo davvero in una missione, con una formazione internazionale alle spalle, e la voglia di metterla alla prova del campo. Si può nascere a Barcellona Pozzo di Gotto, vicina al mare e famosa per il suo manicomio criminale, e procurarsi l’occasione di un’esperienza dei luoghi dannati della terra, dove comandano l’odio e le armi. Il capitano La Rosa, come molti dei 52 che l’hanno preceduto, era un veterano: lui del Kosovo e dell’Afghanistan. Sono gli stessi luoghi in cui tanti civili vanno, mettendosi a rischio, a soccorrere e conoscere persone straniere, e anche a riconoscere se stessi. Tanti giornalisti vanno, arrischiando, a vedere e raccontare e mostrare, magari a cercare una di quelle glorie che in patria contano tanto, e a disprezzarla di fronte alla smisurata e antica sofferenza altrui. Qualunque ragione vi abbia portati in quei luoghi, al ritorno non sarete le stesse persone.
Alcuni non torneranno. Di fronte a loro non ci si può dividere. Si può pensare che frasi come «vanno a morire li’ per difendere anche noi» siano buone per i telegrammi delle autorità. Pero’ sono della nostra gente, usano armi e bombardano e distribuiscono viveri, o caramelle ai bambini. Un bambino può vendicarsene ammazzandoli. Fra poco se ne andranno tutti dall’Afghanistan. Ormai non vediamo l’ora, e tanto vale che in questo tempo supplementare si tengano più possibile al riparo. Quando l’ultimo se ne sarà andato, si spegnerà la luce. I padroni di ritorno avranno il loro ennesimo eroe di undici anni, e delle donne e delle bambine sarà quel che sarà. Non bisognava andare, forse. Anche per non sentirsi così quando si andrà via. Per chi non torna, ci si risparmi l’epitaffio parassita per cui sono morti per niente. Non si vive comunque per niente, e non si muore per niente.

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