martedì 4 giugno 2013

Fassino-Consorte, caso Unipol: Berlusconi condannato a un anno per concorso in rivelazione segreto d’ufficio

da: Lettera 43

Caso Unipol, «Berlusconi ebbe un ruolo decisivo»
I giudici: «Agì come capo politico contro Fassino. Fece pubblicare l'intercettazione con Consorte».

Voleva rovinare un avversario politico. Ecco perché Silvio Berlusconi fu decisivo nella vicenda dell'intercettazione Fassino-Consorte che gli è costato in primo grado una condanna a un anno di reclusione per concorso in rivelazione del segreto d'ufficio.
È il senso delle motivazioni in cui si legge che senza «l'apporto in termini di concorso morale dell'ex premier non si sarebbe realizzata la pubblicazione».

«DECISE COME CAPO POLITICO». «La qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata».

«NON STAVA DORMENDO». Un passaggio fa riferimento al fatto che alcuni imputati hanno sostenuto che l'ex premier aveva gli occhi chiusi mentre veniva fatta sentire la telefonata: «Berlusconi, la sera della vigilia di Natale del 2005 ad Arcore, ascoltò attraverso il computer, senza alcun addormentamento (...) la registrazione audio della telefonata intercettata tra Fassino e Consorte, poi pubblicata su Il Giornale».
«EVIDENTE INTERESSE POLITICO». Non solo: «Va inoltre considerato il periodo in cui venne effettuata la pubblicazione, a 4 mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti: l'interesse politico delle intercettazioni era pertanto evidente così come la volontà di darvi risalto».

«È UN PUBBLICO UFFICIALE, NO ATTENUANTI». I giudici del tribunale di Milano hanno ritenuto di non concedere le attenuanti generiche all'ex premier tenendo conto «della sua qualità di pubblico ufficiale e della lesività della condotta nei confronti della pubblica amministrazione».

«'ABBIAMO UNA BANCA' FRASE SIGNIFICATIVA». Berlusconi secondo i giudici aveva interesse nella pubblicazione perché l'espressione «abbiamo una banca» pronunciata dall'allora segretario dei Ds Fassino al telefono con l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte era «significativa della capacità della sinistra di 'fare affari' e mettersi a tavolino con i poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica, se non di quel partito, quanto meno dell'orientamento del suo elettorato».


Ghedini-Longo: «Motivazioni prive di logica giuridica»

Gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, difensori dell'ex premier, attraverso una nota hanno parlato di «assenza di logica giuridica» in quanto «le motivazioni della sentenza riguardante la cosiddetta vicenda Unipol, dimostrano ancora una volta la impossibilità di celebrare dei processi a Silvio Berlusconi a Milano. Tale decisione appare ancor più straordinaria visto che a un incensurato si negano non solo le attenuanti generiche, ma anche la sospensione condizionale, confermando vieppiù il pregiudizio».
La Cassazione ha anche respinto la richiesta dei legali di Berlusconi di ricusazione del giudice Maria Teresa Guadagnino, risalente all'8 novembre 2012.
L'istanza prendeva le mosse dal fatto che la Guadagnino è stata anche giudice nel processo di primo grado sul caso Mediaset, in cui Berlusconi è stato condannato a quattro anni di reclusione (di cui tre coperti da indulto) per frode fiscale.

SCHIFANI: «PARADOSSALE». Secondo il presidente dei senatori del Pdl, Renato Schifani, si tratta di «motivazioni immotivate, fondate su un fantomatico concorso morale. Quelle della sentenza del tribunale di Milano non possono che essere definite in questo modo. Tanto più se si pensa che l'uomo condannato in primo grado per un'inesistente rivelazione di segreto d'ufficio è lo stesso contro il quale sono state pubblicate centinaia di intercettazioni senza che nessuno ne abbia mai pagato alcuna conseguenza. Una vicenda paradossale, mentre resta ancora nell'ombra quella ben più grave e inquietante della scalata Unipol a Bnl».

BONDI: «OLTRAGGIO ALLA VERITÀ». Indignato il coordinatore del Popolo della libertà Sandro Bondi: «Le motivazioni sono un oltraggio alla verità e al senso di giustizia. Nel Paese in cui il segreto d'ufficio è una barzelletta, nel Paese in cui non si mai voluto accertare gli affari sporchi dietro la scalata di Unipol a Bnl, nel Paese in cui le vicende che hanno coinvolto Penati sono state provvidenzialmente prescritte, si condanna un leader politico sulla base di motivazioni surreali per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio. In Italia succede anche questo!».

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