La
condizione umana è inscritta dentro dei limiti. Alcuni riguardano la nostra
situazione nel mondo, altri sono inerenti la nostra natura. Siamo prigionieri
di un piccolo pianeta la cui situazione eccezionale nel cosmo ha permesso la
nostra comparsa. D’altra parte la nostra intelligenza, non meno eccezionale, ci
permette di adattarci a una grande varietà di situazioni, ma non ci autorizza a
fare tutto né a conoscere tutto. La nostra sopravvivenza presuppone dunque un
buon funzionamento delle nostre organizzazioni sociali, in armonia con il
nostro ambiente: in altri termini, la sottomissione a norme che ci impediscono
di cadere nella dismisura e nell’illimitatezza.
Il
problema è che ogni limite e ogni norma sono arbitrari, e che le frontiere sono
sempre incerte. Ci sono limiti che non devono essere superati, ma bisogna
conoscerli. Perché se si scavalca il limite, addio limiti. Questa arbitrarietà
è uno scandalo per la ragione.
[..]
«I pregiudizi sono i pilastri della civiltà», fa dire André Gide a uno dei
personaggi del suo romanzo I falsari.
C’è molto di vero in questa affermazione scandalosa. Avere troppi pregiudizi è negativo,
ma non averne nessuno
è vergognoso. La riabilitazione dei pregiudizi è un luogo
comune nei pensatori della controrivoluzione francese. Per Edmund Burke (Riflessioni sulla Rivoluzione Francese),
il pregiudizio che interviene spontaneamente nelle situazioni determina
innanzitutto l’istinto di seguire con costanza la via della saggezza e della virtù;
il pregiudizio fa della virtù un’abitudine per gli uomini. Tuttavia, data
l’assurda arbitrarietà di certe regole, la trasgressione è giustificata in
numerosi casi, anche se non può essere eretta a norma del tipo «Vietato vietare».
Ogni società ha i propri tabù, di cui alcuni sembrano effettivamente di portata
universale, come quello dell’incesto. Ci sono limiti che bisogna far arretrare
senza abolirli e norme che bisogna abolire, ma per sostituirle con altre norme
che appaiono meno arbitrarie nel luogo e nel tempo in questione. Pascal, che
non era un relativista diceva comunque: «Verità al di qua dei Pirenei, errore
al di là». Non si può tuttavia concludere, e Pascal non lo fa, che nel mondo
non c’è né verità né errore. Ci sono poi dei limiti che il progresso della
conoscenza rende sempre più incerti, come quelli tra l’uomo o l’animale e
quelli tra la vita e la morte.
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