giovedì 13 giugno 2013

Usa: le rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio elettronico

da: La Stampa

Sicurezza e riservatezza
l’equilibrio saltato
di Roberto Toscano

Edward Snowden: solo 29 anni, la faccia pulita da ragazzo studioso, un tono pacato e privo degli altisonanti accenti ideologici che siamo abituati ad associare alla contestazione del potere. 

Una lucida consapevolezza dei rischi che comporta la sua decisione di rivelare il più top secret fra tutti i segreti della National Security Agency, l’agenzia di spionaggio elettronico degli Stati Uniti, oggi molto più importante della stessa Cia.  

Non è il soldatino Bradley Manning, prodotto della cultura hacker e autore di una operazione di «trasparenza illegale» quantitativamente colossale piuttosto che politicamente mirata. Assomiglia piuttosto a Daniel Ellsberg, responsabile alla fine degli Anni 60 della fuga dei documenti successivamente pubblicati come «Pentagon Papers» – documenti che rivelavano illegalità e inconfessabili falsificazioni dietro la guerra americana in Vietnam. Ma Ellsberg, intervenendo sul «Guardian», pur riconoscendo i paralleli fra la sua azione di allora e il caso
attuale sottolinea che oggi la questione è più di fondo, più clamorosamente cruciale, in quanto si riferisce non a una determinata politica, per quanto drammaticamente importante come quella che ha portato alla lunga guerra americana nel Sud-Est asiatico, ma allo stesso funzionamento del potere, ai suoi strumenti, alle sue regole - o piuttosto alla mancanza delle stesse. 

Ma chi è Edward Snowden? Già fioriscono nei media i dubbi, le dietrologie, i sospetti. Ma sarà davvero così «pulito» e «idealista» come sembra? E David Brooks, uno dei pochi columnists conservatori del New York Times, lo attacca senza mezzi termini definendolo un traditore e condannando la sua scelta di operare secondo i propri principi e non sulla base del dovere di lealtà verso Stato, datore di lavoro, colleghi. 

L’interesse del caso dipende in effetti dal fatto che esso solleva problemi essenziali sia di natura politica che morale. Sono problemi non solo americani, ma che si presentano ovunque, dato che ovunque – tanto nei sistemi democratici che in quelli autoritari - il rapporto fra cittadino e potere risulta sempre più problematico.  
Ciò soprattutto in un momento in cui gli strumenti forniti dalla crescita esponenziale degli apparati della tecnologia elettronica rendono la distopia futurista di George Orwell (il «Grande Fratello» che tutto vede, tutto spia, tutto controlla) o quella del romanzo «Noi» di Evgheny Zamyatin (che nel 1920 descriveva un sistema totalitario in cui tutti dovevano vivere in abitazioni di vetro) molto al di sotto della realtà in cui viviamo e siamo sempre più destinati a vivere.  

Eppure vi è molto di tipicamente americano, ma si potrebbe dire anglosassone, in tutta questa vicenda. In primo luogo va sottolineato che Snowden non ha niente di rivoluzionario, di eversivo. Anzi, sembra che l’unico riferimento politico che lo caratterizza sia quello di una sua donazione alla candidatura presidenziale di Ron Paul, un «libertario», ovvero qualcuno che secondo i nostri parametri politici viene chiaramente definito come «di destra».  

Il nemico da battere, per Snowden, non è una determinata politica, come nel caso di Daniel Ellsberg e dei «Pentagon Papers», ma piuttosto l’incontrastato, pervasivo, illegale potere di intrusione dello Stato nella vita privata dei cittadini.  

È qui che emergono con chiarezza i principi che stanno alla base della cultura politica anglosassone, individualista e tendenzialmente sospettosa del potere. Una cultura non solo liberale, ma appunto libertaria.  
Vengono in mente le indimenticabili pagine di Isaiah Berlin sulla distinzione fra «libertà negativa» e «libertà positiva». La prima tesa a tutelare una sfera individuale inviolabile di cui fa parte la stessa privacy; la seconda, principio ispiratore della attività politica, della partecipazione alla cosa pubblica. Berlin, pur sottolineando che entrambe le dimensioni sono essenziali per la libertà umana, non fa mistero di una sua certa preferenza per la libertà negativa, e arriva a scrivere: «Un declino del senso di privacy segnerebbe la morte della civiltà».  
Espressioni forti e nello stesso tempo profondamente, caratteristicamente anglosassoni.  

Snowden è quindi un libertario, e nello stesso tempo un dissidente. Una figura ben diversa da quella del rivoluzionario, il quale lotta non solo contro uno status quo, ma per contribuire ad instaurare un diverso sistema in cui possa regnare la giustizia. 

Il dissidente è quello che dice di no, che non ha in tasca i piani per una società migliore ma che vede le storture di quella presente e non può accettarle. 

«Ho visto cose così enormi, così inquietanti – ha detto Snowden in una sua intervista trasmessa dalla televisione - che non ho potuto agire diversamente». 

Il dissidente non costruisce partiti politici, non elabora strategie per la conquista del potere, e si limita alla solidarietà con un gruppo ristretto di persone affini. 

Il suo movente è morale, anche se gli effetti della sua azione, come in questo caso, sono profondamente politici. 
Ma quali effetti, in concreto, ci potranno essere ora, dopo le clamorose rivelazioni di Snowden? 

Oltre alle ripercussioni sulla persona, certamente a rischio e destinato a una vita di esule se non a finire in una prigione federale, vi saranno certo effetti politici. Non certo uno smantellamento delle strutture di sorveglianza della Nsa, ma quanto meno una più forte consapevolezza, nei cittadini, che il problema esiste, ed è macroscopico e anche inquietante. 

Gli Stati – tutti gli Stati – non hanno mai abbandonato la pretesa di sapere, di controllare, di prevenire le minacce alla sicurezza, ma quello che è successo negli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 è davvero unico. Lo è in primo luogo per gli straordinari mezzi a disposizione delle agenzie di intelligence americane. Basti pensare che è in corso nello stato dell’Utah la costruzione di una enorme struttura di raccolta, archiviazione ed analisi di dati raccolti – in tutto il mondo, e negli stessi Stati Uniti, ora lo sappiamo con certezza – inserendosi in tutte le comunicazioni elettroniche. Tutte. E si parla della capacità di immagazzinare una quantità di comunicazioni la cui cifra è difficile da definire (i testi americani parlano di «septillions»), ma che si può indicare con un 1 seguito da ventitré 0. 

Obama si trova oggi a dover fare i conti con un’ennesima sfida della sua contrastata presidenza: quella di spiegare ai cittadini in che misura il sistema che è stato rivelato da Snowden sia compatibile con la Costituzione e soprattutto come si possa giustificare che il meccanismo di intelligence istituito per difendere il Paese dalle minacce esterne possa essere usato per spiare la vita privata dei cittadini americani. 

La sua prima reazione, a caldo, è stata quella di dire che non è possibile avere nello stesso tempo il cento per cento di privacy e il cento per cento di sicurezza: tipica affermazione di un Presidente con un cuore certamente progressista, ma nello stesso tempo profondamente centrista sotto il profilo politico. Ma il problema è appunto quello dell’equilibrio che si può e si deve mantenere all’interno di questa irrisolvibile tensione bipolare.  

Le rivelazioni di Snowden non fanno infatti emergere l’esistenza negli Stati Uniti di un sistema equilibrato, ma uno in cui le esigenze di sicurezza stanno avendo il sopravvento in modo radicale su quelle di privacy, e anche su quelle regole di legalità e controllo che sono alla base di qualsiasi sistema basato sul rispetto delle libertà civili. Il «Patriot Act» assomiglia un po’ troppo alla copertura legale di uno schmittiano «stato di eccezione» permanente. In fondo, il problema non è molto diverso da quello emerso con Guantanamo, Abu Graib, la tortura dei terroristi (o sospettati tali).  

Gli americani danno alla privacy, alla «libertà negativa» di Isaiah Berlin, un’importanza molto maggiore di quella riservatale in altre culture, come ad esempio la nostra, ma il problema potrà solo essere affrontato e messo sotto controllo, se non risolto, solo dall’esercizio della «libertà positiva», da quella politica che comporta l’azione dei cittadini, il ruolo della Costituzione e delle leggi, i checks and balances che sono l’essenza del pluralismo.  

Snowden – il dissidente libertario – ha dato un potente allarme. Qualcuno dovrebbe ora farsi carico del problema con chiarezza intellettuale e coraggio politico.  

Ma non sarà certo facile.  

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