da: La Stampa
Sicurezza
e riservatezza
l’equilibrio
saltato
di Roberto
Toscano
Edward Snowden: solo 29 anni, la faccia
pulita da ragazzo studioso, un tono pacato e privo degli altisonanti accenti
ideologici che siamo abituati ad associare alla contestazione del potere.
Una lucida consapevolezza dei rischi che
comporta la sua decisione di rivelare il più top secret fra tutti i segreti
della National Security Agency, l’agenzia di spionaggio elettronico degli Stati
Uniti, oggi molto più importante della stessa Cia.
Non è il soldatino Bradley Manning,
prodotto della cultura hacker e autore di una operazione di «trasparenza
illegale» quantitativamente colossale piuttosto che politicamente mirata.
Assomiglia piuttosto a Daniel Ellsberg, responsabile alla fine degli Anni 60
della fuga dei documenti successivamente pubblicati come «Pentagon Papers» –
documenti che rivelavano illegalità e inconfessabili falsificazioni dietro la
guerra americana in Vietnam. Ma Ellsberg, intervenendo sul «Guardian», pur
riconoscendo i paralleli fra la sua azione di allora e il caso
attuale
sottolinea che oggi la questione è più di fondo, più clamorosamente cruciale,
in quanto si riferisce non a una determinata politica, per quanto
drammaticamente importante come quella che ha portato alla lunga guerra
americana nel Sud-Est asiatico, ma allo stesso funzionamento del potere, ai
suoi strumenti, alle sue regole - o piuttosto alla mancanza delle stesse.
Ma chi è Edward Snowden? Già fioriscono nei
media i dubbi, le dietrologie, i sospetti. Ma sarà davvero così «pulito» e
«idealista» come sembra? E David Brooks, uno dei pochi columnists conservatori
del New York Times, lo attacca senza mezzi termini definendolo un traditore e
condannando la sua scelta di operare secondo i propri principi e non sulla base
del dovere di lealtà verso Stato, datore di lavoro, colleghi.
L’interesse del caso dipende in effetti dal
fatto che esso solleva problemi essenziali sia di natura politica che morale.
Sono problemi non solo americani, ma che si presentano ovunque, dato che
ovunque – tanto nei sistemi democratici che in quelli autoritari - il rapporto
fra cittadino e potere risulta sempre più problematico.
Ciò soprattutto in un momento in cui gli
strumenti forniti dalla crescita esponenziale degli apparati della tecnologia
elettronica rendono la distopia futurista di George Orwell (il «Grande
Fratello» che tutto vede, tutto spia, tutto controlla) o quella del romanzo
«Noi» di Evgheny Zamyatin (che nel 1920 descriveva un sistema totalitario in
cui tutti dovevano vivere in abitazioni di vetro) molto al di sotto della
realtà in cui viviamo e siamo sempre più destinati a vivere.
Eppure vi è molto di tipicamente americano,
ma si potrebbe dire anglosassone, in tutta questa vicenda. In primo luogo va
sottolineato che Snowden non ha niente di rivoluzionario, di eversivo. Anzi,
sembra che l’unico riferimento politico che lo caratterizza sia quello di una
sua donazione alla candidatura presidenziale di Ron Paul, un «libertario»,
ovvero qualcuno che secondo i nostri parametri politici viene chiaramente
definito come «di destra».
Il nemico da battere, per Snowden, non è
una determinata politica, come nel caso di Daniel Ellsberg e dei «Pentagon
Papers», ma piuttosto l’incontrastato, pervasivo, illegale potere di intrusione
dello Stato nella vita privata dei cittadini.
È qui che emergono con chiarezza i principi
che stanno alla base della cultura politica anglosassone, individualista e
tendenzialmente sospettosa del potere. Una cultura non solo liberale, ma
appunto libertaria.
Vengono in mente le indimenticabili pagine
di Isaiah Berlin sulla distinzione fra «libertà negativa» e «libertà positiva».
La prima tesa a tutelare una sfera individuale inviolabile di cui fa parte la
stessa privacy; la seconda, principio ispiratore della attività politica, della
partecipazione alla cosa pubblica. Berlin, pur sottolineando che entrambe le
dimensioni sono essenziali per la libertà umana, non fa mistero di una sua
certa preferenza per la libertà negativa, e arriva a scrivere: «Un declino del
senso di privacy segnerebbe la morte della civiltà».
Espressioni forti e nello stesso tempo
profondamente, caratteristicamente anglosassoni.
Snowden è quindi un libertario, e nello
stesso tempo un dissidente. Una figura ben diversa da quella del
rivoluzionario, il quale lotta non solo contro uno status quo, ma per
contribuire ad instaurare un diverso sistema in cui possa regnare la
giustizia.
Il dissidente è quello che dice di no, che
non ha in tasca i piani per una società migliore ma che vede le storture di
quella presente e non può accettarle.
«Ho visto cose così enormi, così
inquietanti – ha detto Snowden in una sua intervista trasmessa dalla
televisione - che non ho potuto agire diversamente».
Il dissidente non costruisce partiti
politici, non elabora strategie per la conquista del potere, e si limita alla
solidarietà con un gruppo ristretto di persone affini.
Il suo movente è morale, anche se gli
effetti della sua azione, come in questo caso, sono profondamente
politici.
Ma quali effetti, in concreto, ci potranno
essere ora, dopo le clamorose rivelazioni di Snowden?
Oltre alle ripercussioni sulla persona,
certamente a rischio e destinato a una vita di esule se non a finire in una
prigione federale, vi saranno certo effetti politici. Non certo uno
smantellamento delle strutture di sorveglianza della Nsa, ma quanto meno una
più forte consapevolezza, nei cittadini, che il problema esiste, ed è
macroscopico e anche inquietante.
Gli Stati – tutti gli Stati – non hanno mai
abbandonato la pretesa di sapere, di controllare, di prevenire le minacce alla
sicurezza, ma quello che è successo negli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001
è davvero unico. Lo è in primo luogo per gli straordinari mezzi a disposizione
delle agenzie di intelligence americane. Basti pensare che è in corso nello
stato dell’Utah la costruzione di una enorme struttura di raccolta,
archiviazione ed analisi di dati raccolti – in tutto il mondo, e negli stessi
Stati Uniti, ora lo sappiamo con certezza – inserendosi in tutte le
comunicazioni elettroniche. Tutte. E si parla della capacità di immagazzinare
una quantità di comunicazioni la cui cifra è difficile da definire (i testi
americani parlano di «septillions»), ma che si può indicare con un 1 seguito da
ventitré 0.
Obama si trova oggi a dover fare i conti
con un’ennesima sfida della sua contrastata presidenza: quella di spiegare ai
cittadini in che misura il sistema che è stato rivelato da Snowden sia
compatibile con la Costituzione e soprattutto come si possa giustificare che il
meccanismo di intelligence istituito per difendere il Paese dalle minacce
esterne possa essere usato per spiare la vita privata dei cittadini
americani.
La sua prima reazione, a caldo, è stata
quella di dire che non è possibile avere nello stesso tempo il cento per cento
di privacy e il cento per cento di sicurezza: tipica affermazione di un
Presidente con un cuore certamente progressista, ma nello stesso tempo
profondamente centrista sotto il profilo politico. Ma il problema è appunto
quello dell’equilibrio che si può e si deve mantenere all’interno di questa
irrisolvibile tensione bipolare.
Le rivelazioni di Snowden non fanno infatti
emergere l’esistenza negli Stati Uniti di un sistema equilibrato, ma uno in cui
le esigenze di sicurezza stanno avendo il sopravvento in modo radicale su
quelle di privacy, e anche su quelle regole di legalità e controllo che sono
alla base di qualsiasi sistema basato sul rispetto delle libertà civili. Il
«Patriot Act» assomiglia un po’ troppo alla copertura legale di uno schmittiano
«stato di eccezione» permanente. In fondo, il problema non è molto diverso da
quello emerso con Guantanamo, Abu Graib, la tortura dei terroristi (o
sospettati tali).
Gli americani danno alla privacy, alla
«libertà negativa» di Isaiah Berlin, un’importanza molto maggiore di quella
riservatale in altre culture, come ad esempio la nostra, ma il problema potrà
solo essere affrontato e messo sotto controllo, se non risolto, solo
dall’esercizio della «libertà positiva», da quella politica che comporta
l’azione dei cittadini, il ruolo della Costituzione e delle leggi, i checks and
balances che sono l’essenza del pluralismo.
Snowden – il dissidente libertario – ha
dato un potente allarme. Qualcuno dovrebbe ora farsi carico del problema con
chiarezza intellettuale e coraggio politico.
Ma non sarà certo facile.
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