lunedì 17 giugno 2013

Giovanni Valentini: “L’autoreferendum di Grillo sulla rete”

da: la Repubblica

È, in pratica, un referendum su se stesso quello che Beppe Grillo ha lanciato sulla Rete, dopo il flop alle ultime amministrative e le accuse che gli sono piovute addosso dall’interno del M5S. In un colpo solo, è riuscito così a mortificare la “democrazia rappresentativa” e la “democrazia digitale”, riducendo quest’ultima a una misera parodia della prima. Un “coupe de théâtre” degno di un grande comico, non c’è dubbio. Ma anche un ulteriore colpo all’immagine e alla credibilità del suo Movimento, già provato dall’insuccesso elettorale e dalle tensioni conseguenti.
Un vulnus alla “democrazia rappresentativa”, perché una reazione del genere – accompagnata dal “processo” per espellere la senatrice dissidente Adele Gambaro – nega l’autonomia della funzione e del mandato parlamentare, sancito dalla stessa Costituzione. Ma soprattutto nega la libertà d’opinione e di critica, un diritto fondamentale riconosciuto a qualsiasi cittadino nei limiti stabiliti dalla legge. Una lesione alla “democrazia digitale”, perché l’autoreferendum si configura di fatto come l’imposizione di una scelta ai suoi seguaci e quindi e di una riconferma plebiscitaria da parte loro. La Rete, dunque, non più come luogo virtuale del confronto, e magari della condivisione, ma piuttosto come strumento di forzatura o coercizione del consenso.


Tornano in mente le recenti dichiarazioni di Stefano Rodotà, duramente contestate da Grillo anche sul piano personale, quando ha avvertito che «la Rete da sola non basta», criticando la mancanza di democrazia all’interno del Movimento 5Stelle. E ancor prima, nel saggio intitolato “Il diritto di avere diritti” o in altri precedenti, il giurista rifletteva sulle contraddizioni della “cittadinanza digitale” in quella che lui stesso chiama “la società dell’algoritmo”.
Poco importa, a questo punto, se e come l’autoreferendum viene in effetti celebrato sulla Rete e quale risultato produce. Basta già l’annuncio per invocare il giudizio del “popolo sovrano”. E l’esito è comunque scontato in partenza: un plebiscito a favore del leader carismatico che, come il “guru” di una setta, si rivolge direttamente ai propri seguaci in nome di quello che gli autori del libro citato all’inizio definiscono «un web-populismo dal destino incerto».

Non si tratta di demonizzare un fenomeno o una tendenza che ormai appartiene su scala internazionale alla democrazia contemporanea. Chi si batte da sempre in favore del pluralismo dell’informazione e della libera concorrenza in Italia, non può non riconoscere al M5S il merito di aver rotto in qualche modo il predominio politico di un “regime televisivo” fondato da trent’anni sul duopolio Rai-Mediaset che qui denunciamo da sempre. «I sostenitori del Movimento – sottolineano il professor Corbetta e la professoressa Gualmini – sembrano essere più vicini dei loro concittadini al superamento del paradigma della comunicazione di massa in favore di un maggiore equilibrio fra televisione, giornali e web, benché continuino a collocare questi tre canali, complessivamente, nello stesso ordine gerarchico del resto della popolazione».

Sta di fatto che Internet è stato scelto da Grillo e dai suoi attivisti come «l’arena principale attraverso cui lanciare la sfida ai partiti, alla classe politica e, non da ultimo, al sistema dell’informazione». La “democrazia digitale”, appunto, contro la “democrazia rappresentativa”. La cultura libertaria della Rete contro quella considerata conservatrice dei giornali e della televisione, indipendentemente dalle rispettive collocazioni professionali, civili e politiche, nella pretesa illegittima diun’omologazione generale.
Questa rappresentazione non corrisponde, però, alla realtà oggettiva con tutte le sue articolazioni e sfumature. E a quanto pare gli stessi parlamentari 5Stelle hanno cominciato a rendersene conto, ribellandosi ai diktat del loro capo-popolo, nel tentativo di stabilire rapporti più funzionali ed equilibrati con i giornali e con la tv. La storia dei mezzi di comunicazione di massa insegna del resto che nessun nuovo “medium” ha mai soppiantato completamente quelli precedenti, per favorire piuttosto una contaminazione e un arricchimento reciproco di codici e di linguaggi. È proprio quello che sta gradualmente avvenendo oggi in Italia anche per la comunicazione politica, intaccando il totalitarismo mediatico di Grillo.

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