da: la Repubblica
È, in pratica, un
referendum su se stesso quello che Beppe Grillo ha lanciato sulla Rete, dopo il
flop alle ultime amministrative e le accuse che gli sono piovute addosso
dall’interno del M5S. In un colpo solo, è riuscito così a mortificare la
“democrazia rappresentativa” e la “democrazia digitale”, riducendo quest’ultima
a una misera parodia della prima. Un “coupe de théâtre” degno di un grande
comico, non c’è dubbio. Ma anche un ulteriore colpo all’immagine e alla
credibilità del suo Movimento, già provato dall’insuccesso elettorale e dalle
tensioni conseguenti.
Un vulnus alla
“democrazia rappresentativa”, perché una reazione del genere – accompagnata dal
“processo” per espellere la senatrice dissidente Adele Gambaro – nega
l’autonomia della funzione e del mandato parlamentare, sancito dalla stessa
Costituzione. Ma soprattutto nega la libertà d’opinione e di critica, un
diritto fondamentale riconosciuto a qualsiasi cittadino nei limiti stabiliti
dalla legge. Una lesione alla “democrazia digitale”, perché l’autoreferendum si
configura di fatto come l’imposizione di una scelta ai suoi seguaci e quindi e
di una riconferma plebiscitaria da parte loro. La Rete, dunque, non più come
luogo virtuale del confronto, e magari della condivisione, ma piuttosto come
strumento di forzatura o coercizione del consenso.
Tornano in mente le
recenti dichiarazioni di Stefano Rodotà, duramente contestate da Grillo anche
sul piano personale, quando ha avvertito che «la Rete da sola non basta»,
criticando la mancanza di democrazia all’interno del Movimento 5Stelle. E ancor
prima, nel saggio intitolato “Il diritto di avere diritti” o in altri
precedenti, il giurista rifletteva sulle contraddizioni della “cittadinanza
digitale” in quella che lui stesso chiama “la società dell’algoritmo”.
Poco importa, a
questo punto, se e come l’autoreferendum viene in effetti celebrato sulla Rete
e quale risultato produce. Basta già l’annuncio per invocare il giudizio del
“popolo sovrano”. E l’esito è comunque scontato in partenza: un plebiscito a
favore del leader carismatico che, come il “guru” di una setta, si rivolge
direttamente ai propri seguaci in nome di quello che gli autori del libro
citato all’inizio definiscono «un web-populismo dal destino incerto».
Non si tratta di
demonizzare un fenomeno o una tendenza che ormai appartiene su scala
internazionale alla democrazia contemporanea. Chi si batte da sempre in favore
del pluralismo dell’informazione e della libera concorrenza in Italia, non può
non riconoscere al M5S il merito di aver rotto in qualche modo il predominio
politico di un “regime televisivo” fondato da trent’anni sul duopolio
Rai-Mediaset che qui denunciamo da sempre. «I sostenitori del Movimento –
sottolineano il professor Corbetta e la professoressa Gualmini – sembrano
essere più vicini dei loro concittadini al superamento del paradigma della
comunicazione di massa in favore di un maggiore equilibrio fra televisione,
giornali e web, benché continuino a collocare questi tre canali,
complessivamente, nello stesso ordine gerarchico del resto della popolazione».
Sta di fatto che
Internet è stato scelto da Grillo e dai suoi attivisti come «l’arena principale
attraverso cui lanciare la sfida ai partiti, alla classe politica e, non da
ultimo, al sistema dell’informazione». La “democrazia digitale”, appunto,
contro la “democrazia rappresentativa”. La cultura libertaria della Rete contro
quella considerata conservatrice dei giornali e della televisione,
indipendentemente dalle rispettive collocazioni professionali, civili e
politiche, nella pretesa illegittima diun’omologazione generale.
Questa
rappresentazione non corrisponde, però, alla realtà oggettiva con tutte le sue
articolazioni e sfumature. E a quanto pare gli stessi parlamentari 5Stelle
hanno cominciato a rendersene conto, ribellandosi ai diktat del loro
capo-popolo, nel tentativo di stabilire rapporti più funzionali ed equilibrati
con i giornali e con la tv. La storia dei mezzi di comunicazione di massa
insegna del resto che nessun nuovo “medium” ha mai soppiantato completamente
quelli precedenti, per favorire piuttosto una contaminazione e un arricchimento
reciproco di codici e di linguaggi. È proprio quello che sta gradualmente
avvenendo oggi in Italia anche per la comunicazione politica, intaccando il
totalitarismo mediatico di Grillo.
Nessun commento:
Posta un commento