da: Il Sole 24 Ore
Ricordi
dalla Siria che non c’è più
di Alberto
Negri
Viaggiare in Medio Oriente è diventato
sempre più difficile e doloroso. La guerra civile siriana e quella irachena,
che ormai si riflettono l'una nell'altra come in uno specchio deformante delle
tragedie del Levante, stanno stravolgendo luoghi e popolazioni. La Siria,
ultima e più tollerante nazione del Medio Oriente, si prepara a diventare una
Jugoslavia araba. Ormai possiamo parlare di una ex Siria: come dice un artista
di Aleppo in esilio, qui le persone non si aspettano più niente.
Semplicemente aspettano. Le notizie sono
drammatiche, migliaia di morti e milioni di profughi, e ci colpiscono anche da
vicino, come la recente sparizione dell'inviato della Stampa Domenico Quirico,
che quasi passa inosservata la distruzione di culture millenarie.
Insieme al presente in Siria sparisce il
passato, e forse anche il futuro. L'aviazione di Assad ha distrutto persino il
ponte sospeso sull'Eufrate di Deir ez Zor, un'ardita realizzazione francese del
1927, simbolo dell'unità nazionale e raffigurato sulle banconote. Era la
passeggiata preferita delle famiglie, dei ciclisti e delle giovani coppie della
città. A Deir ez Zor il 15 aprile è stato raso al suolo il convento dei
cappuccini: adesso tra l'Eufrate e Palmira, fino ai confini iracheni, non c'è
più un cristiano.
Nel cuore di Aleppo, il 23 aprile, è stato
polverizzato all'artiglieria il minareto della Grande Moschea. Nell'estate
scorsa era sopravvissuto miracolosamente alla battaglia intorno alla
cittadella, altro esempio inarrivato di architettura militare con la sua cinta
muraria circolare. Qalah, la roccaforte, allora era stata appena espugnata dal
generale Mahamoud.
«L'aspetto domani per un breakfast
d'eccezione in cima alla fortezza», era stato il suo invito che avrebbe preso
subito una venatura ironica anche se del tutto involontaria. Insieme al tè
arrivò una raffica dei ribelli che sfondò una finestra del museo alle spalle
della scrivania del generale. La porta principale era stata sgretolata da un
mortaio: i due fronti si accusavano a vicenda di averla bombardata, così come
fanno adesso con il minareto.
La Grande Moschea fu costruita nel 715 dalla dinastia degli Omayyadi – dieci
anni dopo quella di Damasco dove è sepolto il Saladino – nel punto dove sorgeva
la cattedrale bizantina di Sant'Elena, madre dell'Imperatore Costantino. Una
cultura e una religione si sovrapponevano a un'altra più antica, ma non era
soltanto questo che stava accadendo ad Aleppo. Il minareto, costruito nel 1090
e alto 45 metri, venne di nuovo restaurato con un effetto straordinario dopo
l'invasione dei mongoli: in lontananza sembrava un campanile gotico e dominava
le 700 moschee della città, una dozzina di chiese, le sinagoghe, il suq e un
reticolato di vicoli medioevali.
Nessun commento:
Posta un commento