da: La Stampa
Vasco
Rossi “Rinato poco per volta ora ho voglia di palco”
Il
rocker tornato in forma sta provando il tour che comincerà all’Olimpico di
Torino il 9 giugno: “Ho visto la morte in faccia”
di Marinella
Venegoni
Nella campagna pigra e deserta che da
Bologna si allunga verso la provincia di Ferrara, c’è un
albergo-ristorante-discoteca che vive giorni di sogno, come direbbe il Briatore
di Crozza. Ragazzi, bambini, gente di tutte le età aspettano eccitati che
arrivi Vasco Rossi. Si è sparsa la voce che sta provando qui con la band
storica i concerti che cominceranno all’Olimpico di Torino il 9 (con repliche
il 10, 14 e 15 giugno, per proseguire a Bologna il 22, 23 e 26) e la fila si
allunga. Quando il Suv si spalanca, il Vate di Zocca balza fuori con un sorriso
grande così, e accontenta tutti con foto e autografi. Lo guardi e capisci
subito che sta bene. Pronto, tonico, anche rodato, come confermerà più tardi
un’ora di prove furibonde, con suoni tiratissimi (mai così tirati) e curati fin
nelle nuances, con un pizzico di compiacimento. Musicisti gasati, trascinati da
lui che canta
con verve divertita. La chiacchierata che seguirà in salottino è
tesa e venata di ironia che si mangia anche ricordi drammatici. Comincia con un
prodromo illustrativo, senza aspettare domande: «Avevo lasciato le cose a metà,
quando mi sono ammalato. Ho pensato di portare a termine quel tour, anche
perché ho voglia di palco. E poi, meglio morir sul palco che su un letto
d’ospedale».
Al
primo posto c’è la musica, ma condita di politica.
«Ho attualizzato la scaletta, l’ho messa
sul sociale: C’è chi dice no, Gli spari sopra, cose così. Io - anzi
non io, l’artista - già nei ‘90 sentivo questa arroganza del potere. Nelle mie
metafore cantavo l’indignazione che sembrava anticipare quel Movimento 5 Stelle
che però è già finito. Io sono un radicale pre-Pannella, ma mantengo una purezza:
non si può dire che il Pd è uguale al Pdl. Da cittadino, esprimo le mie idee
con le canzoni».
La
sua ultima uscita, Vasco, è stata invece una canzone leggera e svagata, «L’uomo
più semplice».
«È nata da una voglia di sdrammatizzare.
L’uomo più semplice è un uomo-oggetto, però poi c’è una lettura sociologica. Si
parla di quel che l’uomo non è, perché è malvagio e se non ci fossero i
condizionamenti del principio di realtà sarebbero guai, la libertà esiste
all’interno di una regola».
In
questi anni lontano dalle scene ha avuto internet come compagnia.
«Un vero compagno di vita. Ho scoperto il
gioco, questo compagno virtuale alla fine divertente, ho visto come i ragazzini
lo usano, e altro che il telefonino... Sono sposato felicemente ma se avessi
una storia direi: “Per prima cosa chiudi Facebook”. Stavo attaccato dal mattino
alla sera, non andavo neanche a pranzo, non facevo più niente. Mio figlio mi
diceva: “Potresti staccare l’iPad almeno quando mangiamo?”».
E
poi?
«Poi l’11 settembre 2011 ho avuto una
ricaduta e ho staccato tutto. Sono stato due o tre giorni senza conoscenza. Lo
streptococco, lo chiamano la malattia del Terzo Millennio. Vive sottopelle e se
trova una ferita s’infila. Ha fatto fuori Johnny Walker, quello del whisky: diede
una pedata a una cassaforte che non si apriva, si ferì a un dito. È morto dopo
due anni».
Dovrebbe
scrivere un libro.
«Mi piacerebbe, ma fino a due anni fa non
ho mai avuto una malattia per più di tre giorni. Ora mi è tornata la curiosità
ma sono stato a lungo spento: magari le dimissioni da rockstar sono figlie di
quello stato. Volevo essere quello che scriveva canzoni ma ho anche pensato al
suicidio e non era la prima volta. Poi ho fatto tesoro di questa esperienza. Ho
sperimentato il rischio della non autosufficienza, pensavo di non poter più
muovermi, avevo un braccio bloccato. Poi poco per volta sono tornato e mi
sembra di cogliere qualcosa di più in tutte le cose».
Dopo
i concerti, cosa farà?
«Quando avrò finito lo dirò. Sono molto
triste che è morto Little Tony, a 12 anni andavo a scuola di canto, cantavo Riderà e
mi commuovevo. Anche per Jannacci, sono triste: è stato uno dei più grandi
fenomeni, da lui ho imparato moltissimo fin dalle canzoni in dialetto. SenzaQuelli
che non ci sarebbe stata Siamo solo noi».
Tante
avventure e paure finiranno in canzoni, nel prossimo album?
«Ho visto la morte in faccia, ho avuto
anche il blocco dello scrittore, però ci lavoro su, e produco. Le mie
dimissioni da rockstar non sono state accettate, dunque ancora indosso le Prada
rosse e metto il giubbotto di pelle sul palco: però faccio più il DJ che la
rockstar, se avrò una canzone nuova la butterò in rete. Penso che a settembre
si sentirà una cosa nuova. Ma andrò ancora in sala a Los Angeles, sono rituale.
E il mio umore, ora, cambia velocemente. Per ora sto sano e lucido fino alla
fine di giugno, poi si vedrà».
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