Il paradosso di una cultura dell’illimitatezza
Nel
mio libro L’occidentalizzazione del mondo,
l’Occidente veniva identificato con un paradigma deterritorializzato connotato
da un lato dalla credenza, inaudita a livello del cosmo e delle culture, di un
tempo cumulativo e lineare e dall’attribuzione all’uomo della missione di
dominare totalmente la natura, e dall’altro dalla fede nella ragione
calcolatrice rispetto all’organizzazione dell’azione umana.
La
codificazione in nove elementi proposta da Johan Galtung illustra ottimamente
lo schema paradigmatico della cultura occidentale: «Tratti caratteristici della
cosmologia sociale occidentale: i) concezione occidentale dello spazio,
centralistica e universalistica; 2) concezione di un tempo lineare centrato sul
presente; 3) concezione piuttosto analitica che olistica dell’epistemologia; 4)
concezione delle relazioni umane in termini di dominio. Tratti caratteristici
della struttura sociale occidentale: 5) divisione del lavoro verticale e
centralizzata; 6) condizionamento della Periferia da parte del Centro; 7)
emarginazione: divisione sociale tra dentro e fuori; 8) frammentazione:
atomizzazione degli individui all’interno dei gruppi; 9) segmentazione:
scissione all’interno degli individui».
Il
tratto dominante che esce da questo quadro è l’illimitatezza, che come abbiamo
visto caratterizza la modernità. Per quanto sia paradossale parlare di una
cultura dell’illimitatezza, perché ogni cultura si definisce in base ai suoi
limiti, è incontestabile che nel mondo occidentale contemporaneo l’economia rappresenti
un insieme di valori condivisi e si sostituisca alle credenze o «religioni»
precedenti. Con la globalizzazione, l’economia diventa addirittura una nuova «cattolicità»
(katholikós, «universale»). Tuttavia,
l’imperialismo economico concreto e l’imperialismo dell’economia
nell’immaginario hanno ridotto la cultura
a folklore e l’hanno relegata nei musei.
[..]
Ci si scontra con il paradosso conosciuto con il nome di teorema di Gödel. L’insieme di tutti gli insiemi non è
un insieme. Non c’è una cultura di tutte le culture. Perché una cultura esista,
bisogna che ce ne siano almeno due. Il pluralismo delle culture è una
condizione della loro esistenza. Si può toccare con mano che l’imperialismo
culturale occidentale porta il più delle volte a sostituire alla ricchezza
antica soltanto un tragico vuoto. Si è parlato a giusto titolo, a proposito del
Sud, di una «cultura del vuoto». Tuttavia, la deculturalizzazione ha come unico
limite l’esplosione. Il vuoto di una modernità bastarda e disincantata è pronto
a nutrire i progetti più deliranti. Accade che, in mancanza di uno spazio e di
un riconoscimento, l’aspirazione culturale frustrata si ripresenti
continuamente, ma il più delle volte in forma esplosiva, pericolosa o violenta,
o assumendo le connotazioni più perniciose.
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