L’uomo
occidentale si è abbandonato a una «caccia all’infinito» (secondo la felice
espressione dello psicanalista Gérard Pommier). Ha realizzato il programma
indicato da Francis Bacon nella Nuova
Atlantide: «Far arretrare i confini dell’ìmpero umano per realizzare tutte
le cose possibili». In quanto «signore e padrone della natura», cioè uguale a
Dio, secondo la non meno celebre formula di Cartesio, l’uomo occidentale ha
voluto rifare il mondo. La sua attività laboriosa
permette di dare corpo al vecchio mito del corno dell’abbondanza. Questa attività
si libera delle forze fisiche dei lavoratori, degli animali e degli aiuti
naturali (vento e acqua) e diventa industriale
grazie all’impiego delle macchine azionate dal fuoco. L’uomo occidentale ha
creduto così di poter produrre senza limiti e di potersi affrancare dalla
finitezza della riserva di risorse naturali e di energie non rinnovabili e
fossili. La sua ingegnosità sfrenata, dal momento in cui è diventato ingegnere,
si è creduta capace di risolvere tutti
i problemi. La scienza e la tecnica avrebbero dato una risposta a tutto. Ma se l’uomo può tutto, perché
dovrebbe rimanere prigioniero della camicia di forza della morale? Il diritto a
godere senza nessun intralcio, conseguenza dell’abbondanza illimitata, non può
che abolire tutte le
norme sulle quali si fondava la vita in società. L’iperconsumo ci libera da qualsiasi imperativo che non sia quello di consumare senza sosta. La trasgressione è proclamata come un diritto, se non come un dovere.
norme sulle quali si fondava la vita in società. L’iperconsumo ci libera da qualsiasi imperativo che non sia quello di consumare senza sosta. La trasgressione è proclamata come un diritto, se non come un dovere.
[…]
L’illimitatezza moderna è un mostro unico e proteiforme. Per afferrarlo nella
sua globalità, per tentare di contrastarlo, bisogna descriverne e analizzarne
le diverse sfaccettature: limiti geografici, limiti politici, limiti culturali,
limiti fisici o ecologici, limiti economici, limiti della conoscenza, limiti
morali. Se ne potrebbero elencare molti altri: il limite tra il reale e il
virtuale, tra l’umano e il non umano, tra l’io e l’altro, tra giustizia e
ingiustizia, tra diritto e non diritto, tra civiltà e barbarie, tra guerra e
pace ecc. In effetti ci sono diversi prismi per osservare questo oggetto
multiforme, a seconda che si parta dalle frontiere o dalla trasgressione, ma
tutte le impostazioni più o meno coincidono e sono a loro volta arbitrarie.
L’approccio che noi proponiamo ha il vantaggio della semplicità, e corrisponde
abbastanza all’ordine della scoperta storica dei limiti da parte
dell’Occidente. Malgrado l’assurdità anche delle frontiere così definite,
l’approccio transdisciplinare, quanto mai necessario e giustificato, è la cosa
che la nostra modernità trova più difficile da concepire.
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