venerdì 14 giugno 2013

Il paese reale: lavoro nero, l’economia sommersa “allontana” le reazioni sociali

Alla buon’ora...
Ecco arrivato qualcuno che, come me, sostiene che se non abbiamo ancora scatenato rivolte sociali è perché la crisi non è diffusa come in altri paesi. Il perché è presto detto: c’è una parte di paese che sopravvive, vive, sul lavoro nero.
Siamo una repubblica fondata sull’evasione fiscale. Sul lavoro nero. L’economia sommersa allontana la guerra civile. Peccato che la democrazia e la giustizia, l’equità sociale, abbiano poco da spartire con l’economia sommersa.


da: la Repubblica

In Italia dilaga il lavoro nero tre milioni sono senza contratto
di Paola Adragna, Gloria Bagnariol e Luca Monaco

Dal dipendente pubblico costretto a fare il muratore per far quadrare i conti, fino agli stranieri che lavorano soprattutto nei campi e nei cantieri italiani. Tante storie diverse legate insieme dalla necessità di arrivare a fine mese. Dai controlli sulle aziende recuperato un miliardo per lo Stato
ROMA - Muratori, camerieri, braccianti. Ma anche assicuratori, insegnanti,
benzinai. Sono solo alcune delle tante facce del lavoro nero in Italia. Circa tre milioni di persone che lavorano senza un contratto, quindi senza giorni di malattie, senza ferie e senza la speranza di una pensione. 

Gli ultimi dati disponibili si fermano al 2010, ma la cifra è destinata senz'altro ad aumentare a causa della crisi. "Se gli italiani non danno vita a forti forme di dissenso è solo perché esiste una ricchezza generata da un'altra economia, quella sommersa". A dirlo è il presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara che nel rapporto "L'Italia in nero" ha fatto i conti al sommerso: 540 miliardi di euro, il 35% del Pil, di cui 280 miliardi vengono dal lavoro in nero. Ma chi contribuisce a far crescere le casse di questa economia parallela? L'identikit non è facile da disegnare: c'è chi come Cristina fa la badante, chi come Luca lavora in pizzeria. Poi Antonella dà ripetizioni dopo aver finito il turno a scuola. Rajhad invece è venuto dal Punjab per fare il bracciante nell'agro pontino. Ma c'è anche Pietro che la mattina indossa la divisa e nei ritagli di tempo fa il muratore o Maurizio dipendente pubblico dalle 8 alle 17 e dopo assicuratore. Persone molto diverse tra loro accomunate dalla stessa necessità di far quadrare i conti. "Anni fa  -  spiega Fara  -  avevamo denunciato la sindrome della quarta settimana, poi siamo passati alla terza, ora siamo al giorno per giorno. Arrivare a fine mese è diventato impossibile: per questo dobbiamo uscire dalla logica della divisione tra italiani buoni e italiani cattivi. Ci sono sono solo persone costrette a cedere perché non ce la fanno".

"Ogni volta che non mi fanno lo scontrino mi arrabbio, penso a tutti i soldi che se ne vanno per colpa degli evasori. Ma mi sono ritrovata a essere una di loro". Maura con il suo stipendio da bidella non superava le prime due settimane e così ora, come dice lei, "aiuto qualche famiglia con i servizi di casa". E non è l'unica. Ad avere un doppio lavoro in Italia sono almeno un milione di dipendenti pubblici e complessivamente le "posizioni plurime" sono il 31,6% di tutti i lavoratori in nero. Il 55,7% ha unicamente un reddito fuorilegge, mentre solo il 12,7% è straniera. Più di 370mila immigrati che lavorano soprattutto nell'edilizia e nei campi.

L'agricoltura, con il 24,9% di irregolari, è il settore più nero secondo il rapporto dell'Eurispes, seguita da servizi (13,5%) e industria (6,6%). Ma scomponendo il dato del terziario, con l'eliminazione dei dipendenti pubblici, la percentuale dei lavoratori in nero arriva al 50% nei servizi domestici e si 'ferma' al 30% nel turismo. "Nel bar dove lavoro la metà dei dipendenti non ha contratto. Ma la paga è buona", racconta Marco, cameriere trentenne che deve pagare l'affitto della sua stanza romana. Ma se il nero sembra diffuso, nel mondo dei ristoranti e degli alberghi è il grigio ad avere la meglio. "L'uso abnorme di contratti atipici  -  spiega Franco Martini, segretario generale della Filcams  -  serve a mascherare la pratica sempre più diffusa di nascondere le irregolarità. Hai un contratto part time ma fai un full time. Oppure un contratto a chiamata ma lavori tutti i giorni. Forme contrattuali più economiche per il datore di lavoro, ma senza le tutele che spettano al dipendente". Una condizione accentuata dalla flessibilità del settore, i cui confini sono talmente labili da permettere facilmente manovre elusive. Le stesse che dovevano essere contenute dalla recente riforma Fornero. "La bussola della nuova legge  -  prosegue Martini  -  era quella di rendere svantaggiosa l'assunzione con contratti flessibili, a favore di quelli più stabili. Ma i risultati non si vedono. Anzi, il grigio sta crescendo".

Un andamento confermato anche dai dati del ministero del Lavoro nel suo Rapporto 2012 sull'attività di vigilanza in materia di lavoro e previdenza. Su poco meno di 250mila aziende ispezionate dal dicastero con l'aiuto di Inps e Inail, circa 300mila lavoratori sono risultati irregolari, di cui un terzo totalmente in nero. E se rispetto all'anno prima i dipendenti invisibili sono calati del 5%, quelli che hanno contratti-farsa sono saliti del 6%. Il Ministero ha controllato solo il 15% delle aziende ed è riuscito a far rientrare nelle casse dello Stato più di un miliardo e mezzo di euro. Una cifra che lascia Luca  -  cassaintegrato che consegna le pizze per pagarsi il mutuo  -  sconsolato: "Tanto a me di quei soldi non torna indietro niente..."

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