da: Lettera 43
Le
aziende inquinanti da Nord a Sud d'Italia
Da
Marghera a Porto Torres sono migliaia le aree tossiche del Paese. A dirlo è
Legambiente. Ma raramente le società responsabili pagano per la bonifica.
di Marco
Mostallino
Un’impresa sana economicamente, che però
inquina in maniera pesante e intossica i lavoratori e i residenti attorno
all’impianto, può essere commissariata dal governo.
Il caso dell’Ilva di Taranto, affidata a un
manager pubblico - Enrico Bondi - per «default ambientale» ora spaventa
tutti quegli industriali che in Italia hanno costruito imperi e ricchezze
lasciando una lunga scia di vittime collaterali: mari, fiumi e terreni
inquinati, ma soprattutto migliaia di persone avvelenate da fumi, scarichi e
detriti.
LA
MAPPA DEI VELENI MADE IN ITALY. Tanto è che in Italia,
da Nord a Sud non v’è regione che non abbia abbondanza di
immondezzai tossici e nocivi per le persone: tra questi, in Valle d’Aosta c’è
la cava di amianto di Emarese, cinque sono i siti in Piemonte, tra cui la
Eternit di Casale, in Lombardia
la Caffaro di Brescia e l’area siderurgica di
Sesto San Giovanni, in Emilia gli scarti delle ceramiche di Sassuolo, poi in
Liguria discariche di arsenico cadmio e piombo persino in mare, le acciaierie
in Toscana e Umbria, in provincia di Frosinone sono a rischio 85 comuni su 91
(farmaceutica e altre industrie), mentre la Campania ha discariche tossiche
sparse nel territorio di decine di paesi anche sul litorale e ai piedi del
Vesuvio e si ritrova con un pesante inquinamento nel bacino del fiume Sarno.
Ma il record, secondo un rapporto di
Greenpeace del 2010, è della Sardegna che con 445 mila ettari è la regione con
più territorio inquinato, 100 mila ettari in più della Campania.
IL
FLOP DEL «CHI INQUINA PAGA». Da Marghera alla Sicilia,
passando per l’oltraggiata Sardegna, secondo un rapporto del ministero della
Salute (diffuso ad aprile) sono migliaia in Italia le aree contaminate e, si
legge nel dossier, «57 di esse sono definite di 'interesse nazionale per
le bonifiche' (Sin) sulla base dell’entità della contaminazione ambientale, del
rischio sanitario e dell’allarme sociale» per un totale di 6 milioni di persone
a rischio «tumori e asma» e altre malattie a causa delle scorie industriali mai
eliminate.
Negli Anni 80 l’Unione europea impose agli
Stati di applicare il principio detto «chi inquina paga»: ovvero, le industrie
responsabili di danni alle persone e all’ambiente devono farsi carico delle
spese, dei risarcimenti e del ripristino dei siti sfruttati, ma spesso i
terreni vengono abbandonati a se stessi, zeppi di veleni di ogni tipo.
IL CASO MARGHERA. In Italia,
insomma, la strada del «chi inquina paga» è diventata un vicolo cieco e il
caso di Marghera lo dimostra meglio di ogni altro: dopo aver contaminato il
suolo e le acque venete, l'ex colosso statale Enichem, invece di pagare il
disastro, nel 2003 ha cambiato nome e mssion. Ora si chiama Syndial (gruppo
Eni,di cui lo stato detiene il 30,10% del capitale azionario) e si occupa di
bonifiche, spesso portandosi a casa ricchi appalti statali e degli enti
pubblici.
La società poi si occupa anche di rivendere
i terreni bonificati, d'accordo con comune, regione e consorzi. Così il «chi
inquina paga» a Marghera è diventato «chi inquina guadagna». È il caso
dell'accordo di programma dell'aprile 2012, con cui il comune di Venezia e la
regione Veneto intendono comprarele aree ex Enichem al fine di utilizzi a uso
pubblico e di riqualificazione ambientale.
In
Sicilia e Sardegna allarme alto
Intanto i disastri ambientali non si
fermano. L'ultimo caso è quello di Gela in Sicilia, dove in seguito a un guasto
dai tubi della raffineria Eni almeno una tonnellata di petrolio è finita prima
nel vicino fiume, quindi in mare.
Legambiente, in una nota, sembra voler accennare a soluzioni simili a quella di
Taranto, che però qui sarebbero inapplicabili: lo Stato dovrebbe commissariare
un’azienda che è in parte sua, l’Eni appunto.
Un paradosso impossibile, ma nel comunicato dell’associazione si legge comunque
che «mentre le operazioni di contenimento pare si stiano concludendo (ma
bisognerà subito avviare quelle di bonifica), Legambiente desidera richiamare
ministero dell'Ambiente, Regione, Arpa, Asp, Comune, Provincia ed Eni alle
proprie responsabilità».
IL PETROLCHIMICO DI PRIOLO. E
non è l'unica area a rischio in Trinacria. Inquinamento e malattie sono molto
diffusi anche nell'area siracusana del petrolchimico di Priolo e Augusta,
dove in base ad alcune ricerche locali i morti di tumore sono il 10% in più
rispetto al resto della Sicilia, e superano il 20% quelli per tumore al
polmone. Come se non bastasse, nell'area dal 1990 è scattato anche l’allarme
malformazioni genetiche.
In particolare a Priolo nel 2000 il 5% dei bambini è nato con malformazioni
cinque volte in più della media nazionale. Diffusissima l’ipospadia, una
malattia congenita dell’apparato genitale, che ad Augusta colpisce il 132 per
mille dei nati. Numeri che a oggi non hanno ancora trovato una causa specifica
per la legge. Manca il nesso causale, ovvero la dimostrazione che i tumori e le
malformazioni genetiche derivino dall’inquinamento delle industrie.
L'INQUINAMENTO DELLA SARAS. Se
cambiamo isola e ci spostiamo in Sardegna la musica non cambia molto. Nella
notte di lunedì 3 giugno un allarme è scattato a Sarroch, paesino costiero
della provincia di Cagliari addossato alla raffineria Saras, la società della
famiglia Moratti, che però non è inserita nella lista dei 57 siti del
ministero.
Le sirene hanno cominciato a suonare e i residenti si sono preparati a lasciare
le case per andare nei punti di raccolta di Sarroch, ma l’allerta è cessata
poco dopo.
Si era trattato del guasto a un impianto,
in seguito al quale le fiaccole (ciminiere alte decine di metri che bruciano i
gas residui) hanno emesso fiamme più alte del solito, ben visibili anche da
Cagliari, che pure dista quasi 30 chilometri dalla raffineria.
Non sono rare nemmeno le perdite di
petrolio in mare, identiche a quella avvenuta a Gela, mentre un rapporto
stilato dalla Regione Sardegna nel 2006 ha denunciato che «i rischi di morte
per cancro polmonare negli uomini mostrano allontanamenti dai valori attesi
nelle aree di Portoscuso e Sarroch, entrambe con eccessi del 24%».
IL PIOMBO DI PORTOVESME. Sempre
in Sardegna e non lontano da Sarroch c’è la grande area industriale di
Portovesme, dedicata soprattutto all’industria metallurgica e inserita nella
lista del ministero.
Qui tumori, leucemie e altre malattie hanno
tassi elevatissimi, mentre nei dintorni delle fabbriche vi sono le grandi pozze
di 'fanghi rossi', acque purpuree a causa dell’enorme concentrazione di metalli
negli scarichi.
Negli anni scorsi nei bambini di Portoscuso (paese attaccato alle fabbriche di
Portovesme) sono stati riscontrati livelli elevatissimi di piombo nel sangue,
mentre anche numerose coltivazioni per il vino Carignano (vitigno pregiato,
importato nell’isola dai fenici) sono state abbandonate perché cariche di
piombo e nel territorio di Portoscuso è tuttora vietato vinificare.
LA
CRISI INDUSTRIALE NON AIUTA. Ma qui c’è poco da
commissariare, perché lo sfacelo ormai è anche industriale. Eurallumina è stata
chiusa e i proprietari russi si sono dissolti, mentre gli americani hanno
abbandonato Alcoa e tutti i suoi operai. Resta in funzione la Portovesme Srl,
spesso al centro di polemiche per i presunti casi di inquinamento.
Qui, nell’area industriale del Sulcis, lo
studio del 2006 della Regione Sardegna ha parlato di «mortalità per malattie
respiratorie significativamente in eccesso negli uomini a Portoscuso, dove (nel
periodo esaminato, ndr) sono stati osservati 205 casi rispetto ai 125
attesi».
La
montagna tossica di Porto Torres scoperta nel 2003
Sempre in Sardegna se dal sud si risale
verso nord si raggiunge Porto Torres. Anche qui la Enichem fino al 2000 operava
con le sue industrie chimiche.
Proprio nel recinto dell’azienda, nel 2003
il leader indipendentista Gavino Sale sollevò il velo sul segreto di
Pulcinella, conducendo una pattuglia di giornalisti e parlamentari a visitare
una montagna di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia, alta 30 metri e
diffusa su oltre una ventina di ettari. Sotto quell’immondezza chimica un tempo
si trovava uno stagno, completamente sparito sotto le gettate di rifiuti,
proprio di fronte al parco naturale dell’isola dell’Asinara.
Anche in questo caso il conto de danni è lì
da pagare, ma non c'è nessuno a cui consegnarlo. Ma a Porto Torres, in base a
dati forniti dalla Regione Sardegna, l’eccesso di mortalità riguarda le
malattie respiratorie, i tumori dell’apparato digerente e del sistema
linfatico.
IL
DISASTRO DELLA CAMPANIA. Insieme con la Sardegna, la
Campania è la regione con l’estensione più vasta di territorio contaminato, in
questo caso più da discariche tossiche e abusive e dalle scorie dell’industria metallurgica,
mentre nell’Isola i danni peggiori li ha fatti la chimica.
Entrambe le regioni sono, dagli Anni 70 a
oggi, diventate preda dello smaltimento abusivo dei rifiuti tossici anche di
molte aziende del Nord Italia, come dimostrano le sigle sui sacchi nascosti
nella terra e scovati negli anni dagli investigatori e dalle Asl.
In Campania il rischio è più alto a causa
della fortissima densità di popolazione: tra le aree contaminate della lista
ministeriale vi è l’intero litorale vesuviano, oltre 8 mila ettari e numerosi
comuni anche grandi, come Pompei, Torre del Greco, Ercolano e Castellamare di
Stabia.
NON
C'È PACE PER BAGNOLI. Un altro territorio contaminato è
Bagnoli, a causa delle acciaierie Ilva e di altre aziende, ormai dismesse, ma
minacciose per gli scarichi, ancora presenti, di arsenico, piombo, amianto,
idrocarburi e scorie di fusione.
Qui un tentativo di recupero era stato
compiuto, con la realizzazione del parco tecnologico chiamato Città della
scienza, ma il complesso è stato devastato a marzo da un incendio
dolosoappiccato dalla Camorra.
BOOM DI TUMORI IN LOMBARDIA. E
chi pensa che a Nord si respiri un'aria diversa è decisamente fuori strada. Un
esempio? A Brescia uno studio dell’epidemiologo Paolo Ricci e dell’Istituto
superiore di sanità ha di recente sollevato il velo sui 252 ettari di terreno
contaminati da un potente cancerogeno, il Pcb, prodotto per decenni dalla
Caffaro, un’azienda ormai chiusa, ma ancora pericolosa.
Secondo la ricerca sono almeno 25 mila i residenti a rischio a causa di acqua e
terra inquinate: e secondo i dati diffusi, l’incidenza del tumore della tiroide
nella città della Leonessa è più del 49% superiore rispetto al resto del
settentrione, mentre i tumori al fegato, al seno e i linfomi oscillano su quote
tra il 20 e il 58% oltre la media del Nord Italia.
Anche qui nessuna bonifica è avvenuta e
nessuno tra gli imprenditori ha pagato e si prevede paghi.
Sempre in Lombardia, regione che conta ben sette siti nella lista nera del
ministero, è pesante la situazione di Sesto San Giovanni e Cologno Monzese,
dove le acciaierie Falck e le loro discariche hanno contaminato, secondo il
dicastero, 255 ettari e dove il costo stimato - per ora - della bonifica è di
25 milioni di euro. Chi paga? Non si sa.
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