martedì 11 giugno 2013

Non solo Taranto: le aziende inquinanti da Nord a Sud

da: Lettera 43

Le aziende inquinanti da Nord a Sud d'Italia
Da Marghera a Porto Torres sono migliaia le aree tossiche del Paese. A dirlo è Legambiente. Ma raramente le società responsabili pagano per la bonifica.
di Marco Mostallino

Un’impresa sana economicamente, che però inquina in maniera pesante e intossica i lavoratori e i residenti attorno all’impianto, può essere commissariata dal governo.
Il caso dell’Ilva di Taranto, affidata a un manager pubblico - Enrico Bondi - per «default ambientale» ora spaventa tutti quegli industriali che in Italia hanno costruito imperi e ricchezze lasciando una lunga scia di vittime collaterali: mari, fiumi e terreni inquinati, ma soprattutto migliaia di persone avvelenate da fumi, scarichi e detriti.

LA MAPPA DEI VELENI MADE IN ITALY. Tanto è che in Italia, da  Nord a  Sud non v’è regione che non abbia abbondanza di immondezzai tossici e nocivi per le persone: tra questi, in Valle d’Aosta c’è la cava di amianto di Emarese, cinque sono i siti in Piemonte, tra cui la Eternit di Casale, in Lombardia
la Caffaro di Brescia e l’area siderurgica di Sesto San Giovanni, in Emilia gli scarti delle ceramiche di Sassuolo, poi in Liguria discariche di arsenico cadmio e piombo persino in mare, le acciaierie in Toscana e Umbria, in provincia di Frosinone sono a rischio 85 comuni su 91 (farmaceutica e altre industrie), mentre la Campania ha discariche tossiche sparse nel territorio di decine di paesi anche sul litorale e ai piedi del Vesuvio e si ritrova con un pesante inquinamento nel bacino del fiume Sarno.
Ma il record, secondo un rapporto di Greenpeace del 2010, è della Sardegna che con 445 mila ettari è la regione con più territorio inquinato, 100 mila ettari in più della Campania.
IL FLOP DEL «CHI INQUINA PAGA».  Da Marghera alla Sicilia, passando per l’oltraggiata Sardegna, secondo un rapporto del ministero della Salute (diffuso ad aprile) sono migliaia in Italia le aree contaminate e, si legge nel dossier,  «57 di esse sono definite di 'interesse nazionale per le bonifiche' (Sin) sulla base dell’entità della contaminazione ambientale, del rischio sanitario e dell’allarme sociale» per un totale di 6 milioni di persone a rischio «tumori e asma» e altre malattie a causa delle scorie industriali mai eliminate.

Negli Anni 80 l’Unione europea impose agli Stati di applicare il principio detto «chi inquina paga»: ovvero, le industrie responsabili di danni alle persone e all’ambiente devono farsi carico delle spese, dei risarcimenti e del ripristino dei siti sfruttati, ma spesso i terreni vengono abbandonati a se stessi, zeppi di veleni di ogni tipo.
IL CASO MARGHERA. In Italia, insomma, la strada del «chi inquina paga» è diventata un vicolo cieco e il caso di Marghera lo dimostra meglio di ogni altro: dopo aver contaminato il suolo e le acque venete, l'ex colosso statale Enichem, invece di pagare il disastro, nel 2003 ha cambiato nome e mssion. Ora si chiama Syndial (gruppo Eni,di cui lo stato detiene il 30,10% del capitale azionario) e si occupa di bonifiche, spesso portandosi a casa ricchi appalti statali e degli enti pubblici.
La società poi si occupa anche di rivendere i terreni bonificati, d'accordo con comune, regione e consorzi. Così il «chi inquina paga» a Marghera è diventato «chi inquina guadagna». È il caso dell'accordo di programma dell'aprile 2012, con cui il comune di Venezia e la regione Veneto intendono comprarele aree ex Enichem al fine di utilizzi a uso pubblico e di riqualificazione ambientale.

In Sicilia e Sardegna allarme alto

Intanto i disastri ambientali non si fermano. L'ultimo caso è quello di Gela in Sicilia, dove in seguito a un guasto dai tubi della raffineria Eni almeno una tonnellata di petrolio è finita prima nel vicino fiume, quindi in mare.
Legambiente, in una nota, sembra voler accennare a soluzioni simili a quella di Taranto, che però qui sarebbero inapplicabili: lo Stato dovrebbe commissariare un’azienda che è in parte sua, l’Eni appunto.
Un paradosso impossibile, ma nel comunicato dell’associazione si legge comunque che «mentre le operazioni di contenimento pare si stiano concludendo (ma bisognerà subito avviare quelle di bonifica), Legambiente desidera richiamare ministero dell'Ambiente, Regione, Arpa, Asp, Comune, Provincia ed Eni alle proprie responsabilità».
IL PETROLCHIMICO DI PRIOLO. E non è l'unica area a rischio in Trinacria. Inquinamento e malattie sono molto diffusi anche nell'area siracusana  del petrolchimico di Priolo e Augusta, dove in base ad alcune ricerche locali i morti di tumore sono il 10% in più rispetto al resto della Sicilia, e superano il 20% quelli per tumore al polmone. Come se non bastasse, nell'area dal 1990 è scattato anche l’allarme malformazioni genetiche.
In particolare a Priolo nel 2000 il 5% dei bambini è nato con malformazioni cinque volte in più della media nazionale. Diffusissima l’ipospadia, una malattia congenita dell’apparato genitale, che ad Augusta colpisce il 132 per mille dei nati. Numeri che a oggi non hanno ancora trovato una causa specifica per la legge. Manca il nesso causale, ovvero la dimostrazione che i tumori e le malformazioni genetiche derivino dall’inquinamento delle industrie.
L'INQUINAMENTO DELLA SARAS.  Se cambiamo isola e ci spostiamo in Sardegna la musica non cambia molto. Nella notte di lunedì 3 giugno un allarme è scattato a Sarroch, paesino costiero della provincia di Cagliari addossato alla raffineria Saras, la società della famiglia Moratti, che però non è inserita nella lista dei 57 siti del ministero.
Le sirene hanno cominciato a suonare e i residenti si sono preparati a lasciare le case per andare nei punti di raccolta di Sarroch, ma l’allerta è cessata poco dopo.
Si era trattato del guasto a un impianto, in seguito al quale le fiaccole (ciminiere alte decine di metri che bruciano i gas residui) hanno emesso fiamme più alte del solito, ben visibili anche da Cagliari, che pure dista quasi 30 chilometri dalla raffineria.

Non sono rare nemmeno le perdite di petrolio in mare, identiche a quella avvenuta a Gela, mentre un rapporto stilato dalla Regione Sardegna nel 2006 ha denunciato che «i rischi di morte per cancro polmonare negli uomini mostrano allontanamenti dai valori attesi nelle aree di Portoscuso e Sarroch, entrambe con eccessi del 24%».
IL PIOMBO DI PORTOVESME. Sempre in Sardegna e non lontano da Sarroch c’è la grande area industriale di Portovesme, dedicata soprattutto all’industria metallurgica e inserita nella lista del ministero.

Qui tumori, leucemie e altre malattie hanno tassi elevatissimi, mentre nei dintorni delle fabbriche vi sono le grandi pozze di 'fanghi rossi', acque purpuree a causa dell’enorme concentrazione di metalli negli scarichi.
Negli anni scorsi nei bambini di Portoscuso (paese attaccato alle fabbriche di Portovesme) sono stati riscontrati livelli elevatissimi di piombo nel sangue, mentre anche numerose coltivazioni per il vino Carignano (vitigno pregiato, importato nell’isola dai fenici) sono state abbandonate perché cariche di piombo e nel territorio di Portoscuso è tuttora vietato vinificare.
LA CRISI  INDUSTRIALE NON AIUTA. Ma qui c’è poco da commissariare, perché lo sfacelo ormai è anche industriale. Eurallumina è stata chiusa e i proprietari russi si sono dissolti, mentre gli americani hanno abbandonato Alcoa e tutti i suoi operai. Resta in funzione la Portovesme Srl, spesso al centro di polemiche per i presunti casi di inquinamento.
Qui, nell’area industriale del Sulcis, lo studio del 2006 della Regione Sardegna ha parlato di «mortalità per malattie respiratorie significativamente in eccesso negli uomini a Portoscuso, dove (nel periodo esaminato, ndr) sono stati osservati 205 casi rispetto ai 125 attesi».

La montagna tossica di Porto Torres scoperta nel 2003
Sempre in Sardegna se dal sud si risale verso nord si raggiunge Porto Torres. Anche qui la Enichem fino al 2000 operava con le sue industrie chimiche.
Proprio nel recinto dell’azienda, nel 2003 il leader indipendentista Gavino Sale sollevò il velo sul segreto di Pulcinella, conducendo una pattuglia di giornalisti e parlamentari a visitare una montagna di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia, alta 30 metri e diffusa su oltre una ventina di ettari. Sotto quell’immondezza chimica un tempo si trovava uno stagno, completamente sparito sotto le gettate di rifiuti, proprio di fronte al parco naturale dell’isola dell’Asinara.
Anche in questo caso il conto de danni è lì da pagare, ma non c'è nessuno a cui consegnarlo. Ma a Porto Torres, in base a dati forniti dalla Regione Sardegna,  l’eccesso di mortalità riguarda le malattie respiratorie, i tumori dell’apparato digerente e del sistema linfatico.
IL DISASTRO DELLA CAMPANIA. Insieme con la Sardegna, la Campania è la regione con l’estensione più vasta di territorio contaminato, in questo caso più da discariche tossiche e abusive e dalle scorie dell’industria metallurgica, mentre nell’Isola i danni peggiori li ha fatti la chimica.
Entrambe le regioni sono, dagli Anni 70 a oggi, diventate preda dello smaltimento abusivo dei rifiuti tossici anche di molte aziende del Nord Italia, come dimostrano le sigle sui sacchi nascosti nella terra e scovati negli anni dagli investigatori e dalle Asl.
In Campania il rischio è più alto a causa della fortissima densità di popolazione: tra le aree contaminate della lista ministeriale vi è l’intero litorale vesuviano, oltre 8 mila ettari e numerosi comuni anche grandi, come Pompei, Torre del Greco, Ercolano e Castellamare di Stabia.
NON C'È PACE PER BAGNOLI. Un altro territorio contaminato è Bagnoli, a causa delle acciaierie Ilva e di altre aziende, ormai dismesse, ma minacciose per gli scarichi, ancora presenti, di arsenico, piombo, amianto, idrocarburi e scorie di fusione.

Qui un tentativo di recupero era stato compiuto, con la realizzazione del parco tecnologico chiamato Città della scienza, ma il complesso è stato devastato a marzo da un incendio dolosoappiccato dalla Camorra.
BOOM DI TUMORI IN LOMBARDIA. E chi pensa che a Nord si respiri un'aria diversa è decisamente fuori strada. Un esempio? A Brescia uno studio dell’epidemiologo Paolo Ricci e dell’Istituto superiore di sanità ha di recente sollevato il velo sui 252 ettari di terreno contaminati da un potente cancerogeno, il Pcb, prodotto per decenni dalla Caffaro, un’azienda ormai chiusa, ma ancora pericolosa.
Secondo la ricerca sono almeno 25 mila i residenti a rischio a causa di acqua e terra inquinate: e secondo i dati diffusi, l’incidenza del tumore della tiroide nella città della Leonessa è più del 49% superiore rispetto al resto del settentrione, mentre i tumori al fegato, al seno e i linfomi oscillano su quote tra il 20 e il 58% oltre la media del Nord Italia.

Anche qui nessuna bonifica è avvenuta e nessuno tra gli imprenditori ha pagato e si prevede paghi.
Sempre in Lombardia, regione che conta ben sette siti nella lista nera del ministero, è pesante la situazione di Sesto San Giovanni e Cologno Monzese, dove le acciaierie Falck e le loro discariche hanno contaminato, secondo il dicastero, 255 ettari e dove il costo stimato - per ora - della bonifica è di 25 milioni di euro. Chi paga? Non si sa.

Nessun commento:

Posta un commento