da:
la Repubblica
Di tanto in tanto, quando si temono
rivoluzioni, o si fanno guerre, oppure nel mezzo di una crisi economica che
trasforma le nostre esistenze, torna l’antica paura del suffragio universale.
Del popolo che partecipa alla vita politica, che licenzia i governi
inadempienti e ne sceglie di nuovi, che fa sentire la propria voce.
È la paura che le classi alte, colte,
ebbero già nella Grecia classica. Aristotele paventava la degenerazione
democratica, se sovrano fosse diventato il popolo e non la legge. Ancora più
perentorio un libello anonimo (La Costituzione degli Ateniesi, attribuito a
Senofonte) uscito nel V secolo aC: «In ogni parte del mondo gli elementi
migliori sono avversari della democrazia (…). Nel popolo troviamo grandissima
ignoranza e smoderatezza e malvagità. È la povertà soprattutto, che lo spinge
ad azioni vergognose ». Il dèmos respinge le persone per bene: «vuole essere
libero e comandare, e del malgoverno gliene importa ben poco ». Sotto il suo
dominio tutte le procedure si rallentano, ed è il caos che oggi chiamiamo
ingovernabilità. L’orrore del populismo o dei democratici demagoghi ha queste
radici, che Marco D’Eramo illustra con maestria in un saggio uscito il 16
maggio su Micromega.
Ma è dopo la Rivoluzione francese, e in
special modo quando comincia a estendersi gradualmente il diritto di voto,
nella seconda parte dell’800, che fa apparizione un’offensiva ampia, e
concitata, contro il suffragio universale. Inorridiscono i democratici stessi.
Nei primi anni del ’900, il giurista Gaetano Mosca vede già le plebi e le mafie
del Sud distruggere istituzioni e buon governo. È diffusa l’idea che i migliori,
e le migliori politiche, saranno travolti e annientati dal popolo elettore. Si
formano chiuse oligarchie, con la scusa di tutelare il popolo dai suoi demoni.
È una paura che va a ondate, e non sempre
l’oggetto che spaventa è esplicitamente indicato. Quella che oggi torna a
dilagare pretende addirittura di salvare la democrazia, imbrigliandola e
tagliando le ali estremiste (gli «opposti estremismi», spiega d’Eramo, diventano
sinonimi di populismo). Ma gli elementi dell’annosa offensiva contro il
suffragio universale sono tutti presenti, sotto traccia. Il popolo smoderato e
incolto va vigilato, spiato: o perché chiede troppo, o perché rischia di avere
troppi grilli per la testa. Sono aggirate anche le Costituzioni, fatte per
proteggere i cittadini dai soprusi delle cerchie dominanti. Ovunque le democrazie
sono alle prese con i danni collaterali di questa ferrea legge oligarchica.
Accade proprio in questi giorni in America,
dove prosegue una guerra antiterrorista sempre più opaca, condotta senza che il
popolo (e neppure gli alleati per la verità) possa dire la sua. Il culmine l’ha
raggiunto Obama, che pure aveva criticato la torbida sconfinatezza delle guerre
di Bush. Il 6 giugno, viene svelata un’immensa operazione di sorveglianza dei
cittadini americani da parte dell’Agenzia di sicurezza nazionale: milioni di
numeri telefonici e indirizzi mail, raccolti non in zone belliche ma in patria
col consenso segreto di vari provider. Indignato, il New York Times commenta:
«Il Presidente ha perso ogni credibilità» (poi per prudenza rettifica: «Ha
perso ogni credibilità su tale questione»).
Analogo orrore dei popoli è ravvivato dalla
crisi economica, governata com’è da trojke e tecnici separati dai cittadini:
anch’essa, come la guerra, va affidata a pochi che sanno (poche persone per
bene, pochi migliori, direbbe lo Pseudo-Senofonte). Gli ottimati sapienti
stanno come su una zattera,e non a caso il loro nome è «traghettatori ». Sotto
la scialuppa ribolle il popolo: forza infernale, miasma imprevedibile e
contaminante. Infiltrato da meticci, demagoghi, gente colpevole due volte: sia
quand’è sprecona, sia quando non consuma abbastanza. Sono invisi anche gli
sradicati, o meglio chi pensa all’interesse generale oltre che locale: se vuoi
lusingare un partito, oggi, digli che non è un meteco ma «ha un forte radicamento
territoriale». Nei cervelli dei traghettatori s’aggira il fantasma, temuto come
la peste dagli anni ’70, dell’esplosione sociale e dell’ingovernabilità.
È in questa cornice che le parole si
storcono, sino a dire il contrario di quel che professano. La riforma
significava miglioramento delle condizioni dei cittadini, del loro potere di
influire sulla politica. Furono grandi riforme il suffragio universale, e
subito dopo l’introduzione del Welfare: ambedue malandate. Adesso il riformista
escogita strategie per tenere al guinzaglio gli eccessi esigenti dei governati.
Il proliferare in Italia di comitati di saggi (per cambiare la Costituzione,
per il Presidenzialismo) è sintomo di un crescente scollamento di chi comanda
dal popolo, e al tempo stesso dai suoi rappresentanti. Ci si adombra, quando il
Parlamento è definito una tomba. Per fortuna non lo è. Ma un Parlamento fatto
di nominati più che di veri eletti somiglia parecchio a un sepolcro imbiancato:
e così resterà, finché non avremo diritto a una legge elettorale decente.
Tale è la paura del popolo-elettore, che
per forza quest’ultimo si ritrae e fugge. Si esprime in vari modi (nei
referendum, sul web, attraverso la stampa indipendente) ma ogni volta sbatte la
testa contro un muro. Lo Stato ne diffida, al punto di spiare milioni di
cittadini come in America. E i nemici peggiori diventano i reporter e le loro
fonti, che gettano luce sulle malefatte dei governi. Nel 2010 fu il caso di
Wikileaks. Oggi è il turno delGuardiane del Washington Post, che hanno scoperchiato
il piano di sorveglianzaspionaggio (nome in codice: Prism) del popolo
americano. Non restano che loro, fra lo Stato-Panoptikon che ti tiene d’occhio
e i cittadini mal informati. In inglese le gole profonde che narrano i misfatti
si chiamano whistleblower: soffiano il fischietto, in presenza di violazioni
gravi della legalità, e antepongono il dovere civico alla fedeltà aziendale.
Ben più spregiativamente, politici e giornali benpensanti li definiscono spie,
se non traditori. «Non chiamateli talpe!»,chiede molto opportunamente Stefania
Maurizi suRepubblica online di lunedì. Il soldato Bradley Manning, che
smascherò tramite Wikileaks i crimini Usa nella guerra in Iraq, è da 3 anni in
prigione. Ora è processato, rischia l’ergastolo.
Il whistleblower che ha rivelato il piano
di sorveglianza voluto da Obama è Edward Snowden, 29 anni, ex assistente della
Cia e della Nsa: è rifugiato a Hong Kong, e da lì fa sapere: «L’Agenzia per la
sicurezza nazionale (Nsa) ha costruito un’infrastruttura che intercetta praticamente
tutto. Con la sua capacità, la vasta maggioranza delle comunicazioni umane è
digerita automaticamente, senza definire bersagli chiari. Se volessi vedere le
tue email o il telefono di tua moglie, devo solo usare le intercettazioni.
Posso ottenere le tue email, password, tabulati telefonici, carte di credito.
Non voglio vivere in una società che fa questo genere di cose. Non voglio
vivere in un mondo in cui ogni cosa che faccio e dico è registrata. Non è una
cosa che intendo appoggiare o tollerare».
Il popolo reagisce ai soprusi e
all’indifferenza del potere in vari modi: impegnandosi in associazioni
(ricordiamo i referendum italiani sul finanziamento dei partiti e sull’acqua, o
il voto contro il Porcellum); oppure ritirandosi quando si accorge di non contare
nulla. Altre volte smette di credere e diserta le urne, come alle
amministrative di questi giorni. Ma sempre potrà sperare di avere, come
alleati, iwhistleblowerche toglieranno il sigillo alle illegalità, alle cose
nascoste o sporche della politica.
Ecco cosa produce lo sgomento causato dal
dèmos. Il popolo stesso s’impaura, entra in secessione. La paura del suffragio
universale non è mai finita, sempre ricomincia. Nacque nell’800, ma come nella
ballata di Coleridge: «Dopo di allora, ad ora incerta – Quell’agoniaritorna».
Bella pagina;potrebbe Signora indicare anche la cura?..Pardon...e non si avvidero di nulla finchè una improvvisa catastrofe fu su di loro.....
RispondiElimina