giovedì 20 giugno 2013

Multinazionali e Africa: i Masai contro lo sfruttamento commerciale del loro brand

da: Lettera 43

La battaglia dei Masai contro lo sfruttamento commerciale del loro brand
Le multinazionali usano il nome della tribù per i loro prodotti. Sempre più spesso distanti dallo stile di vita della tribù. Gli africani non ci stanno. E annunciano una class action.
di Alessandro Buttitta



Saranno anche lontani dalla civiltà, dal capitalismo e dalle sue dinamiche, ma fessi proprio no.
Così i Masai, forse la più nota e citata tra le tribù indigene africane che vivono ancora allo stato quasi primitivo, hanno deciso un’azione senza precedenti. Le cui spese, almeno a livello simbolico, potrebbero ricadere su multinazionali quali Louis Vitton e Land Rover.
I Masai stanno infatti sviluppando una class action contro le aziende che sfruttano il loro nome a fini commerciali, senza riconoscere loro nemmeno un centesimo di introiti.

AZIONE CONTRO IL MARKETING. Le immagini dei guerrieri Masai, abili
cacciatori e grandi combattenti, e delle loro donne, adornate con gioielli dai colori sfolgoranti, sono state usate abbondantemente da molti marchi che, sfruttando l’immaginario tribale e incontaminato, hanno sviluppato campagne marketing di grande effetto.
Ma Isaac ole Tialolo, un indigeno masai originario del Neivasha, regione nella zona meridionale del Kenya, ha deciso di creare un’organizzazione chiamata Iniziativa per il riconoscimento della proprietà intellettuale Masai.
La tribù, insomma, vuole riprendersi il proprio brand.

Un marchio che varrebbe 10 milioni di dollari
Isaac ole Tialolo ha cominciato a girare il mondo per portare avanti la causa del suo popolo, spiegando le ragioni di questa improvvisa rivalsa.
«Noi tutti sappiamo che siamo sfruttati da gente che arriva, ci fa delle foto e prende benefici da questa azione. Siamo stati sfruttati in così tante cose che non si possono nemmeno immaginare», ha riferito Tialolo all'emittente britannica Bbc.
«Noi crediamo che, se qualcuno fa a noi delle foto, ruba simbolicamente il nostro sangue. Se si prende qualcosa che appartiene ad altri e si fa fortuna grazie a esso, è molto molto sbagliato», ha quindi aggiunto.
PRODOTTI CHE RUBANO L’ANIMA.Stando a Light Years IP, un’organizzazione che si occupa dei diritti di proprietà intellettuale dei Paesi in via di sviluppo, al momento sono circa 80 le aziende che sfruttano ilbrand Masai in modo assolutamente libero e senza vincoli.
Tra queste spiccano Land Rover, che ha lanciato una serie di accessori chiamati proprio Masai, e la maison Louis Vitton, che ultimamente ha inaugurato una linea Masai con teli mare, cappelli, sciarpe e borse. E se l’idea dell’Africa nera e della vita selvaggia funziona bene tra cittadini danarosi in cerca di emozioni,  per i Masai è una beffa vera: il loro nome è infatti associato a oggetti diametralmente opposti al loro stile di vita.
UN FONDO PER LA TRIBÙ. Le stime di  Light Years IP  valutano che il marchio Masai varrebbe circa 10 milioni di dollari se fosse di proprietà di un’azienda. E almeno una parte di questa somma potrebbe essere rivendicata per garantire forme di reddito destinate alla popolazione tribale.
Nella battaglia a fianco dei Masai a sorpresa si è schierato Paul Boateng, membro labourista del parlamento inglese. Di origini ghanesi (suo nonno era un contadino nelle piantagioni di cacao), Boateng ha dato il via ad African Ip Trust, un’organizzazione che ha tra i suoi obiettivi il riconoscimento della proprietà intellettuale delle popolazioni africane, dando eco all’iniziativa della tribù.
La battaglia legale è complessa. E i Masai temono conseguenze
Tuttavia, la battaglia giuridica è complessa. Le regole del diritto internazionale sembrano ammosciare le aspettative di successo.
La legge sulla proprietà intellettuale è infatti applicabile alle persone e alle imprese che hanno creato innovazioni, cioè a coloro che hanno depositato brevetti.  Ma in questo caso, secondo gli esperti interpellati dalla Bbc, non c’è alcune brevetto da applicare o far riconoscere.
LA CREAZIONE DI UN MARCHIO AUTONOMO. I legali vicini alla Light Years Ip sostengono che l’unica azione efficace potrebbe essere la creazione di codici di condotta volontari che si battono per la realizzazione di un marchio autonomo legato ai Masai, ai quali le aziende sarebbero costretta ad aderire per non apparire insensibili alla loro causa.
Si tratterebbe insomma di buttarla sul piano morale, per creare una condotta commerciale idonea alla vita della comunità.
I DUBBI DELLA COMUNITÀ. Ma non è chiaro nemmeno se gli stessi Masai se la sentano di affrontare la querelle in tribunale.
Prima di passare alle vie legali, infatti, l’azione deve essere discussa dal Consiglio degli anziani della comunità, per decidere in che termini l’eventuale denaro debba essere distribuito: 10 milioni sono molti per una tribù abituata a vivere della sola terra. «Per noi non è una questione di soldi. Ciò che conta è il rispetto», ha precisato Isaac. E i soldi, si sa, portano spesso grane. Anche nelle comunità più pacifiche.

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