Che una parte del
paese sia in crisi è rilevabile. Detto questo, a Milano, giusto per fare un
esempio, grazie alla “lenzuolata” di Bersani ai tempi del governo Prodi, negli
ultimi sono stati aperti soprattutto bar. Non solo in centro. Anche in zone più
periferiche.
Ci sarà un motivo.
Evidentemente, questo tipo di esercizio commerciale tirava.
Fare colazione al
bar alla mattina è cosa piuttosto praticata a Milano. Era praticata. Perché da
più di un anno non si vedono più quelle flotte di milanesi a cappuccino e
brioche e pure spremuta.
Chiamiamola crisi. Ma
se si aprono bar uno attaccatto all’altro, è inevitabile che, nella migliore
delle ipotesi, dopo qualche anno devi chiudere bottega.
La crisi c’è. E,
soprattutto c’è l’assenza dello Stato
nel creare e favorire lavoro e imprese. Ma c’è anche un’Italia fatta di gente
senza mestiere che apre attività per fare soldi velocemente e si ritrova, dopo
non molto tempo, ad abbassare le serrande. L’assenza di iniziativa, l’incapacità
di riconvertirsi, sono corresponsabile della crisi economica che, ribadisco:
riguarda una parte del paese. Un’altra sollazza e cresce alla grande.
da: La Stampa
Chiudono
bar, ristoranti, negozi
Così
la crisi “desertifica” le città
Esercizi
commerciali decimati, soprattutto al Sud. I più colpiti i settori moda e
abbigliamento. La burocrazia costa alle Pmi 31 milardi, pari a 2 punti di Pil
La crisi prolungata
minaccia una desertificazione delle città italiane. Se il trend
di chiusure
delle imprese del commercio registrato nei primi quattro mesi dell’anno dovesse
continuare allo stesso ritmo, al primo gennaio 2014 la faccia dei centri urbani
apparirebbe decisamente cambiata e più buia rispetto a dicembre 2012 con bar,
locali, ristoranti, negozi di abbigliamento decimati dalle chiusure. E la
desertificazione colpirebbe soprattutto il Sud. Secondo le stime
dell’Osservatorio Confesercenti, bar e
ristoranti registreranno infatti un saldo negativo combinato di 17.088
imprese, arrivando a perdere il 5% del totale di aziende registrate dicembre
2012. Ai negozi di moda e abbigliamento
potrebbe andare anche peggio: a scomparire saranno ben 11.328 esercizi, secondo
le stime, con una contrazione dell’8% sul 2012. Calo più contenuto invece per
il settore alimentare, il cui saldo previsto è di -4.701 unità, con una
variazione negativa del 3% sul 2012.
Secondo la
previsione Confesercenti, il settore dell’abbigliamento registrerà nel 2013
4.593 aperture e 15.921. Si tratta di un rapporto aperture-chiusure di 2 a 7,
un dato peggiore rispetto a quello di tutte le altre categorie di attività
commerciali e anche del totale nazionale, per il quale il rapporto è di una
nuova apertura ogni tre chiusure. Per quanto riguarda i bar, i nuovi esercizi
saranno 6.714, contro 14.430 che chiuderanno per sempre la serranda; mentre i
ristoranti vedranno 15.750 imprese cessare l’attività a fronte di 6.378
aperture.
La crisi del
commercio si estende a tutto il territorio nazionale, colpendo ogni regione.
Per quanto riguarda le attività del settore alimentare, le stime Confesercenti
indicano un saldo particolarmente negativo soprattutto in Sicilia, dove le
nuove aperture saranno solo 288, un dato inferiore di quasi quattro volte a
quello delle chiusure, previste a quota 1.080. Nell’abbigliamento, invece, è la
Basilicata a mettere a segno il risultato proporzionalmente peggiore: con 240
chiusure e solo 84 nuove aperture, la regione perderà a fine anno il 10% del
totale dei negozi del settore. In Abruzzo, invece, è previsto un record
negativo per i ristoranti: con 144 aperture e 534 chiusure, al primo gennaio
2014 la regione avrà perso l’8% del totale delle imprese attive nella
ristorazione. Nel settore Bar, spicca la stima per la Valle D’Aosta che, con 33
nuove aperture e 30 chiusure, potrebbe mettere a segno una variazione minima,
ma positiva, dell’1%.
I
costi immensi della burocrazia
Al nostro sistema
delle Piccole e medie imprese (Pmi) la burocrazia costa quasi 31 miliardi di
euro. Per ciascuna di queste imprese si stima che il peso economico medio sia
di circa 7.000 euro. È quanto sostiene la Cgia di Mestre evidenziando come i
costi siano stati calcolati su base annua e siano aggiornati al 31 dicembre
2012. Rispetto agli anni precedenti, rileva il segretario della Cgia di Mestre,
Giuseppe Bortolussi, «i costi della burocrazia sono addirittura in crescita.
Non perché sia aumentato il carico degli oneri amministrativi sulle imprese, ma
perché è diventato più preciso e puntuale il sistema di rilevazione di questo
fenomeno. In pratica sono state scoperte delle nuove `sacche di burocrazia´ che
prima non erano conteggiate. Alla luce di ciò, non è da escludere che il costo
complessivo pari 31 mld di euro sia sottodimensionato». La denuncia del
segretario della Cgia di Mestre mette in evidenza anche un altro aspetto: ’’31
mld di euro corrispondono a 2 punti di Pil circa: una cifra spaventosa. Di
fatto la burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo
delle Pmi. Nonostante gli sforzi e qualche buon risuItato ottenuto, i tempi
rimangono troppo lunghi ed il numero degli adempimenti richiesti continua ad
essere eccessivo’’.
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