mercoledì 3 aprile 2013

Impresa mafia: il sonno dello Stato è un assist per i boss


da: Lettera 43

Aziende, il sonno dello Stato è un assist per i boss
Boom di imprese sequestrate. Non solo al Sud. Ma la burocrazia è lenta. E la mafia si riprende le sue proprietà.

Nove su 10, fra le 1.663 aziende confiscate alla mafia e gestite da cooperative sociali nel rispetto delle regole, sono finite in liquidazione. Hanno, cioè, dichiarato fallimento perché incapaci di competere sul mercato e di resistere alle minacce e ai ricatti dei boss.
È per colpa di tali cifre (e di una legge da correggere) che in Italia, specie fra gli 80 mila dipendenti delle imprese di origine illegale (solo in Campania se ne contano 15 mila), non si attenua l’inquietante convinzione secondo cui «se c’è la mafia si lavora, se non c’è mafia si resta disoccupati».
FIRME PER TUTELARE LE IMPRESE.La Cgil, con l’associazione Libera, l’Arci, l’Acli, la Lega Coop, Sos Impresa e altri, sta raccogliendo firme per sollecitare una legge che azzeri le storture normative vigenti e la smetta - denunciano i promotori - «non solo di non aiutare gli imprenditori sani, ma addirittura di favorire i boss che, sfruttando i troppi cavilli disponibili, tentano di re-impossessarsi delle imprese confiscate o di far sì che vadano in malora».
LA MAFIA VINCE SULLA LEGALITÀ. Per ora, c’è da ammetterlo, stanno vincendo mafia, camorra, ‘ndrangheta. E non solo in Sicilia (dove si registra il 37% delle aziende sequestrate), in Campania (il 20%), in Calabria (9%), in Lazio (8%), ma anche in Lombardia dove la percentuale delle imprese mafiose (già individuate) è al 12%.

La direzione nazionale anti-mafia ha calcolato che il fatturato criminale in Italia ammonta a 200 miliardi di euro all’anno, con utili netti che superano gli 80 miliardi. Ed è pari a 60 miliardi di euro ogni anno il peso che la corruzione esercita sui costi della pubblica amministrazione.
BOOM DI AZIENDE CONFISCATE. Ha fatto notare Susanna Camusso, segretario Cgil: «Tra il sequestro di un’impresa mafiosa e la sua confisca trascorre un lasso di tempo che in media è di otto anni: quale azienda, ferma per tanto tempo, non finirebbe fuori mercato?».
Il fenomeno dilaga. Vincenzo Moriello, funzionario sindacale, fa sapere che «dal 2008 a oggi il numero delle aziende confiscate alla criminalità è aumentato del 65%».
I settori più invasi dai capitali mafiosi sono il terziario (45%), l’edilizia (27%), l’agroalimentare (l’8%).

La paura degli imprenditori: i boss sono pronti a vendicarsi

Una storia che ben racconta con quanta facilità l’imprenditore mafioso riesca a riappropriarsi o a distruggere la sua ex impresa è quella di Riela Trasporti, fiorente insediamento di Catania organico al clan del boss Nitto Santapaola e gestito dai fratelli Lorenzo e Francesco Riela.
Confiscata dallo Stato e affidata all’associazione Libera, nel 1999 l’azienda vantava un fatturato da 30 milioni di euro, 250 dipendenti in organico, un parco di 200 camion veloci e fiammanti.
I SEQUESTRI NON FUNZIONANO. I Riela, sebbene Lorenzo fosse nel frattempo deceduto e Francesco stesse scontando l’ergastolo, nel 2007 riuscirono a costituire un consorzio, il Setra, che in poche settimane - come per una magia - assorbì gran parte dei dipendenti dell’azienda confiscata.
Grazie a una politica assai spinta di prezzi al ribasso, il Consorzio fece incetta di commesse e nel giro di pochi anni costrinse in ginocchio la Riela legalizzata fornendo a essa materiali a prezzo ultra-salato e diventando suo creditore per quasi 7 milioni di euro.
LO SCONTRO GIUDIZIARIO. Chi firmò a nome della Riela quei contratti-capestro con il consorzio? L’interrogativo è rimasto senza risposta nella stanze della procura.
I magistrati, però, non si sono mai arresi. E hanno sequestrato il consorzio Riela. Il tribunale della libertà lo ha dissequestrato, il pubblico ministero l’ha avuta vinta in Cassazione.
Nel frattempo, tuttavia, restavano da pagare i 7 milioni di debiti che la Riela aveva accumulato nei confronti del Consorzio.

Per lavorare nella legalità, prezzi superiori ai concorrenti

Il risultato però è stato l'inizio delle procedure per la messa in liquidazione dell’impresa di trasporti legalizzata.
Le cronache raccontano anche che una notte di giugno 2012 è andato a fuoco un terreno di sei ettari sequestrato ai fratelli Riela. E così, addio anche a 2 mila piante di arance e a 100 ulivi affidati a una coop.
Ha spiegato Mario Di Marco, direttore amministrativo Riela: «Chiudere l’azienda è stata una sconfitta dello Stato, che avrebbe potuto aiutarci garantendo qualche commessa pubblica. Per lavorare in piena legalità, nel settore dei trasporti in Sicilia, dovevamo mantenere prezzi superiori del 40% rispetto ai concorrenti: una follia, che azzera qualsiasi competitività, ammazza gli onesti e lascia campo libero ai fuorilegge».
LO STATO MONITORI IL SETTORE. Dice a Lettera43.it Gianluca Torelli, sindacalista: «Una buona legge sulle imprese ex mafia dovrà monitorare le evoluzioni del fenomeno attraverso tavoli permanenti in prefettura e facilitare l’emersione dal lavoro nero, diffusissimo nel settore».
«Chiediamo», aggiunge Torelli, «norme che garantiscano un fondo adeguato cui le aziende risanate possano attingere per garantirsi liquidità e gestire il complicato rapporto con le banche».
SOSTEGNO PER I DIPENDENTI. Per molti, va anche ripristinato a vantaggio dei dipendenti in crisi delle imprese ex mafia il ricorso agli ammortizzatori sociali reso impraticabile dalla recente legge sul lavoro firmata dal ministro Elsa Fornero.
«Sia chiaro», prosegue il sindacalista, «che in molti luoghi d’Italia a chi lavora non viene offerta alternativa: o trova occupazione in imprese di mafia o resta a spasso».
PRESSING PER UNA LEGGE EUROPEA. La Cgil si dice anche convinta che, in tema di risanamento dell’economia criminale, ci sia ormai bisogno di una normativa di respiro europeo che coinvolga i 27 Paesi membri dell’Unione europea.
Nel frattempo, le cifre urlano: tra aziende, terreni e immobili sono 11.705 i beni sequestrati alle mafie dal 1982, cioè dall’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre. Dei beni immobili sequestrati, 3.185 sono ancora in attesa di destinazione da parte dell’Agenzia nazionale.
L’11,37% dei beni confiscati si trova nel Nord Italia, il 5,87% al Centro, l’82,77% al Sud.
Dice Federico Libertino, segretario Cgil di Napoli: «Intoppi burocratici, lentezze, contraddizioni: si accavallano troppi ostacoli lungo il cammino della legalità. E invece servirebbero procedure efficienti, snelle e veloci da contrapporre a una malavita iper-manageriale e tecnologicamente all’avanguardia».
 

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