[..] I governi
neoconservatori e i movimenti di destra liberalpopulista sono stati in grado di
convincere i ceti medi che nella società low cost della Borsa euforizzata e
delle public companies la deregulation sarebbe andata a loro favore; mentre era
chiaro a tutti, e non agli ingenui, che avrebbe invece favorito, con gravi
iniquità, il capitale monopolistico della grande finanza e accentuato
ineguaglianze acute negli assetti sociali: vale a dire, per non cadere nelle
astrazioni, fra persone reali, attive e presenti nella quodianità.
Ma che importa?
Come ha scritto qualche stagione fa Laura Pennacchi:
Da
vent’anni domina la scena politica mondiale una potente ideologia
ultraortodossa che predica un drastico ridimensionamento della presenza
pubblica nelle attività economiche e sociali, sostenendo che l’intervento dello
Stato è sempre e comunque negativo per il benessere collettivo, che i governi
dilapidano risorse e che ogni tentativo di redistribuire la ricchezza dà vita a
forme di perseguimento delle rendite. La predicazione di un ruolo pubblico
ristretto e angusto si basa su una visione altrettanto ristretta e angusta del
rapporto tra individuo e collettività, volta a soffocare le istanze solidaristiche:
l’individuo è un atomo, non esistono responsabilità collettive perché «non
esiste la società», secondo il motto di Margaret Thatcher.
[..] le forze
neoconservatrici si sono fatte imprenditrici della paura, inserendo in un solo tableau
ideologico la sicurezza nelle città, l’immigrazione clandestina, la «minaccia»
islamica, l’altezza dei minareti, la concorrenza degli immigrati sul lavoro, un
preteso ordine sociale attribuito alla volontà delle maggioranze silenziose.
L’inganno è riuscito bene, stratificando via via misure di controllo pubblico e
legalitario che in genere sono risultate nel complesso inefficaci o persino
ridicole (vedi il fallimento delle ronde padane in Italia), ma che sul momento
generano consenso politico in quanto gratificano l’opinione pubblica moderata e
i suoi complessi.
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