lunedì 5 marzo 2012

Lucio Dalla, la Chiesa, i gay: la visione capovolta


Ho l’impressione di avere una visione capovolta nello stabilire – opinione, non verità assoluta - se e cosa discrimina gli omosessuali.

Già il fatto di scrivere la parola 'gay' mi pare discriminante.
Sono spesso coloro che si ergono a sostenitori dei diritti dei 'gay', coloro che discutono, si arrabbiano, manifestano per gli omosessuali, i primi discriminatori.
Fino a quando si parlerà delle persone come “i gay”, anche in perfetta buona fede, non per colpire un diverso modo di vivere sentimenti e sessualità ma, al contrario, per escludere ogni forma di violenza fisica e morale, si farà una reale, autentica discriminazione.
Quando guardo una persona, quando ci parlo, quando ci lavoro insieme, quando sono a tavola con lui/lei, persino quando lo guardo muoversi, non penso: è un 'gay'. Certo. A me normalmente non sfuggono alcuni  particolari. E’ difficile che non noti, per un attimo, quel qualcosa che mi porta a pensare che non ho di fronte un eterosessuale. Fa parte dello spirito di osservazione. Niente di più, niente di meno.
E si tratta di un attimo. Esattamente come in un attimo posso notare un paio di scarpe o un dito nel naso.
Ma se continuo a guardare una persona, se ci parlo, la “particolarità” che mi è balzata all’occhio viene accantonata. E’ un particolare che non determina né condiziona successivi modi di interagire con quella persona, di pensare di quella persona.
Perché non è quel “particolare” il centro del suo essere.
Non mi pare che questo sia l’atteggiamento mentale prevalente nelle persone. E non mi pare proprio che questo sia l’atteggiamento che si aspettano “i gay “ da “noi eterosessuali”. Tutt’altro.

La prima discriminazione è quando vogliamo essere riconosciuti come diversi e accettati come tali. La non discriminazione, è essere riconosciuti come persone con un pensiero, con un carattere, con un’esperienza di vita. Capiti. E accettati.
La normalità, l’assenza di discriminazione, è mettere al centro dell’attenzione l’essere umano in quanto persona evitando anche la sola sintetica denominazione (“è gay”) che riconduce a identificare il modo di vivere sentimenti e sessualità.
Chi mi guarda, mi parla, mi ascolta, chi parla di me non dice: è ‘eterosessuale’. Pronuncia il mio nome, parla con me, parla di me, di cosa gli piace o gli sta sulle palle. Tutto ciò prescinde dal mio modo di vivere sentimenti e sessualità.

Per quanto sopra: mi sono rotta le palle degli outing.
Ovviamente, se una persona ha bisogno di esercitare questa pratica, lo faccia. Io sono padrona di condividere, apprezzare o ….fottermene.
Perché proclamare – in alcuni casi: ostentare - qualcosa che è molto personale  per scandire che altri non lo accettano, quando invece vi sono persone (non certo tutti) che non si curano di certi “particolari”. Non perché indifferenti. Al contrario: perché non è l’essere etero o gay il centro della persona.

Probabilmente, mi sto esprimendo in un linguaggio non chiaro e che può dar luogo a fraintendimenti.
Non importa. Mi sento libera di esprimere, in buona fede, senza pregiudizi e ipocrisie, che la visione attuale, con la quale si dichiara e “combatte” una discriminazione può essere, a sua volta, parte di questa.

Non è la prima volta che esprimo questo mio pensiero. Mi è tornato alla mente dopo aver letto di Lucio Dalla, e dei commenti sulla Chiesa ipocrita che ha gli concesso il funerale perché non ha mai fatto ammissione di essere gay.

E perché Lucio Dalla avrebbe dovuto far outing? Per chi? Per cosa?
Che la Chiesa sia ipocrita è poco ma sicuro. Le eccezioni sono rare. Sono, appunto: eccezioni. La regola dell’ipocrisia è l’11° comandamento della Chiesa intesa come potere temporale, non come comunità di cattolici che si fa chiesa. Vediamo di non confondere.
Con ciò, qualcuno si è mai chiesto se Lucio Dalla o chiunque altro che non faccia outing, non scelga il silenzio sul modo di vivere sentimenti e la sessualità perché: sono fatti suoi. Si tratta della vita privata di una persona. Che ha il diritto di decidere cosa dire di sé e come dirlo. Ovviamente, è sperabile che la decisione sia libera e non soggetta a condizionamenti e pregiudizi. Mi riesce difficile credere che un artista come Lucio Dalla abbia taciuto del suo modo di vivere sentimenti e sessualità perché condizionato dalla visione corrente e dai pregiudizi.

Non sarà che Lucio Dalla si vedeva come persona e vedeva gli altri semplicemente come persone. Non sarà che voleva discutere, ridere, piangere, da persona a persona.
E vivere i rapporti da “persona a persona”, contempla necessariamente il dichiarare di essere gay o eterosessuale o bisex? Non credo proprio.
E non sarà che accanto ad una prevalente Chiesa ipocrita, vi possa anche essere – occasionalmente – una comunità ecclesiastica che celebra un funerale a un uomo perché così prevede la religione cattolica che contempla – tra l’altro - la misericordia di Dio. Al quale non ci si presenta come gay o eterosessuali i bisex. Ma come persone. Come creature di Dio.

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