Ho l’impressione
di avere una visione capovolta nello stabilire – opinione, non verità assoluta
- se e cosa discrimina gli omosessuali.
Già il fatto di
scrivere la parola 'gay' mi pare discriminante.
Sono spesso coloro
che si ergono a sostenitori dei diritti dei 'gay', coloro che discutono, si
arrabbiano, manifestano per gli omosessuali, i primi discriminatori.
Fino a quando si
parlerà delle persone come “i gay”, anche in perfetta buona fede, non per
colpire un diverso modo di vivere sentimenti e sessualità ma, al contrario, per
escludere ogni forma di violenza fisica e morale, si farà una reale, autentica
discriminazione.
Quando guardo una
persona, quando ci parlo, quando ci lavoro insieme, quando sono a tavola con
lui/lei, persino quando lo guardo muoversi, non penso: è un 'gay'. Certo. A me normalmente
non sfuggono alcuni particolari. E’
difficile che non noti, per un attimo, quel qualcosa che mi porta a pensare che non ho di fronte un eterosessuale. Fa parte dello spirito di osservazione. Niente di
più, niente di meno.
E si tratta di un
attimo. Esattamente come in un attimo posso notare un paio di scarpe o un dito
nel naso.
Ma se continuo a
guardare una persona, se ci parlo, la “particolarità” che mi è balzata all’occhio
viene accantonata. E’ un particolare che non determina né condiziona successivi
modi di interagire con quella persona, di pensare di quella persona.
Perché non è quel “particolare”
il centro del suo essere.
Non mi pare che
questo sia l’atteggiamento mentale prevalente nelle persone. E non mi pare
proprio che questo sia l’atteggiamento che si aspettano “i gay “ da “noi
eterosessuali”. Tutt’altro.
La prima
discriminazione è quando vogliamo essere riconosciuti come diversi e accettati come
tali. La non discriminazione, è essere riconosciuti come persone con un
pensiero, con un carattere, con un’esperienza di vita. Capiti. E accettati.
La normalità, l’assenza
di discriminazione, è mettere al centro dell’attenzione l’essere umano in
quanto persona evitando anche la sola sintetica denominazione (“è gay”) che
riconduce a identificare il modo di vivere sentimenti e sessualità.
Chi mi guarda, mi
parla, mi ascolta, chi parla di me non dice: è ‘eterosessuale’. Pronuncia il
mio nome, parla con me, parla di me, di cosa gli piace o gli sta sulle palle. Tutto
ciò prescinde dal mio modo di vivere sentimenti e sessualità.
Per quanto sopra:
mi sono rotta le palle degli outing.
Ovviamente, se una
persona ha bisogno di esercitare questa pratica, lo faccia. Io sono padrona di
condividere, apprezzare o ….fottermene.
Perché proclamare –
in alcuni casi: ostentare - qualcosa che è molto personale per scandire che altri non lo accettano,
quando invece vi sono persone (non certo tutti) che non si curano di certi “particolari”.
Non perché indifferenti. Al contrario: perché non è l’essere etero o gay il
centro della persona.
Probabilmente, mi
sto esprimendo in un linguaggio non chiaro e che può dar luogo a
fraintendimenti.
Non importa. Mi
sento libera di esprimere, in buona fede, senza pregiudizi e ipocrisie, che la visione
attuale, con la quale si dichiara e “combatte” una discriminazione può essere,
a sua volta, parte di questa.
Non è la prima
volta che esprimo questo mio pensiero. Mi è tornato alla mente dopo aver letto
di Lucio Dalla, e dei commenti sulla Chiesa ipocrita che ha gli concesso il
funerale perché non ha mai fatto ammissione di essere gay.
E perché Lucio
Dalla avrebbe dovuto far outing? Per chi? Per cosa?
Che la Chiesa sia
ipocrita è poco ma sicuro. Le eccezioni sono rare. Sono, appunto: eccezioni. La
regola dell’ipocrisia è l’11° comandamento della Chiesa intesa come potere
temporale, non come comunità di cattolici che si fa chiesa. Vediamo di non
confondere.
Con ciò, qualcuno
si è mai chiesto se Lucio Dalla o chiunque altro che non faccia outing, non scelga
il silenzio sul modo di vivere sentimenti e la sessualità perché: sono fatti suoi.
Si tratta della vita privata di una persona. Che ha il diritto di decidere cosa
dire di sé e come dirlo. Ovviamente, è sperabile che la decisione sia libera e
non soggetta a condizionamenti e pregiudizi. Mi riesce difficile credere che un
artista come Lucio Dalla abbia taciuto del suo modo di vivere sentimenti e
sessualità perché condizionato dalla visione corrente e dai pregiudizi.
Non sarà che Lucio
Dalla si vedeva come persona e vedeva gli altri semplicemente come persone. Non
sarà che voleva discutere, ridere, piangere, da persona a persona.
E vivere i
rapporti da “persona a persona”, contempla necessariamente il dichiarare di
essere gay o eterosessuale o bisex? Non credo proprio.
E non sarà che
accanto ad una prevalente Chiesa ipocrita, vi possa anche essere –
occasionalmente – una comunità ecclesiastica che celebra un funerale a un uomo perché
così prevede la religione cattolica che contempla – tra l’altro - la misericordia
di Dio. Al quale non ci si presenta come gay o eterosessuali i bisex. Ma come persone.
Come creature di Dio.
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