Strage
Eternit oggi è il giorno della verità
Guariniello: "Gli imputati temevano
quest’indagine
Uno mi fece spiare prima ancora che iniziassimo"
di Alberto Gaino
Tre giudici di
Stephan Schmidheiny e di Jean Louis de Cartier si sono presi quasi tre mesi di
tempo per riflettere e definire gli orientamenti della sentenza Eternit che
verrà letta oggi dal presidente Giuseppe Casalbore, forse per ore, considerati
i numeri «impossibili» di questo processo trasnazionale. Prima ci sarà ancora
la breve replica di un difensore, l’avvocato Cesare Zaccone, decisa per
consentire più che altro al collegio giudicante di ritirarsi in «pre-camera di
consiglio» dal 21 novembre scorso e prepararsi a giudicare l’erede svizzero
della multinazionale dell’amianto, ripresentatosi come filantropo nella sua
seconda vita, e un anziano barone belga, accomunati nella stessa richiesta di
pena: 20 anni di carcere.
I pm torinesi Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace li hanno accusati nelle 65 udienze del processo di disastro doloso e omissioni altrettanto volontarie di norme antinfortunistiche per essere stati, l’uno dopo l’altro a partire dagli anni ‘60, al vertice della multinazionale da cui dipendevano le fabbriche italiane dell’Eternit: a Casale Monferrato c’era la più vecchia, a Bagnoli (Napoli) quella che ha avuto più lavoro (prima del fallimento per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia).
Il processo torinese ha ricompreso le politiche aziendali e i morti degli stabilimenti minori di Rubiera (Reggio Emilia), l’ultimo ad avere chiuso, e quello di Cavagnolo, sulla sponda sinistra del Po e in provincia di Torino. La fabbrica Eternit che ospitava questo paesone era la più piccola della multinazionale in Italia, ma il fatto di rientrare nella competenza territoriale della procura torinese l’ha resa giudiziariamente strategica. Se lo stabilimento Saca non fosse mai esistito, infatti, questo processo non si sarebbe mai celebrato.
Un processo che persino il presidente della Corte d’appello torinese, Mario Barbuto, ha definito con orgoglio un evento storico nella relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2011. Guariniello ricorda che «Schmidheiny aveva incaricato una società milanese di pubbliche relazioni di monitorare
attentamente la mia attività professionale, come abbiamo scoperto dal sequestro dei documenti. Temeva quest’inchiesta prima ancora che io cominciassi a pensarci. Fu preveggente, ma al momento giusto non è stato lungimirante». Guariniello allude al fatto che se il miliardario svizzero avesse risarcito a suo tempo e «adeguatamente» le vittime dell’Eternit, «il nostro orientamento ne avrebbe tenuto conto».
Invece, al culmine dell’incontro all’Hotel de la Paix di Lugano, primavera 2006, dopo aver offerto 70 milioni di euro rateizzati e a condizioni capestro, «i suoi numerosi legali si ritirarono improvvisamente dalla trattativa», rammenta Sergio Bonetto, avvocato di parte civile. Che aggiunge: «L’impressione di allora fu che avessero deciso di contare sui benefici del condono che si stava partorendo, fra i quali c’era il meccanismo di una più robusta prescrizione dei reati».
Può darsi che per le omissioni volontarie di misure antinfortunistiche la prescrizione cancelli parte delle responsabilità, ma Schmidheiny «non ha offerto una lira per le bonifiche, delle fabbriche e dei disastri ambientali attorno, nemmeno quando chiusero a metà degli anni ‘80».
L’ha fatto tardivamente in vista della fine del dibattimento con i 18 milioni e 300 mila euro messi a disposizione del Comune di Casale Monferrato, infine rifiutati. E scegliendo di accordarsi con le singole parti civili e a condizioni lontane da quelle considerate «adeguate» da Guariniello.
Con somme che
scendono dai 60 mila ai 300 euro (un caso), uno dei suoi legali, Astolfo di
Amato, può annunciare: «Abbiamo risarcito l’80 per cento. Noi avevamo contro
tremila parti civili».
I malati, bisognosi di tante cose, sono quelli che hanno accettato più spesso: poche decine di migliaia di euro, ma sicuri. I 6392 costituitisi all’inizio del processo, oltre due anni fa, sono scesi a 4552 a novembre, la maggior parte schierata contro il solo barone belga, che non ha messo mano a un solo euro. A 91 anni pare abbastanza disinteressato ai suoi destini giudiziari. Un po’ meno lo sono le sue finanziarie.
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