martedì 7 febbraio 2012

Milano, appello al sindaco: “costruire case belle si può”



Appello al sindaco di Milano
"Costruire case belle si può"
di Marco Belpoliti

Pasolini e Ninetto sono a fianco della macchina da presa che inquadra la città di Orte. Il poeta spiega che ha una forma perfetta, ma se si allarga l’obiettivo, e s’include nella visione le case moderne, che sorgono lì accanto, ci si accorge che «la massa architettonica è deturpata, rovinata». È il 1974 e il regista sta girando un documentario televisivo sulla forma della città, e si pone in modo diretto il problema della bellezza. È una visione che lo strazia, e di cui ha dato conto in alcuni degli articoli sul «Corriere».

Sono trascorsi quasi quarant’anni e il problema della bellezza esplode di nuovo, e in modo radicale, davanti ai nostri occhi. Un tempo era ritenuto un argomento di «destra», come se l’estetica non potesse coniugarsi con l’etica; oggi gli italiani interrogati dal Censis, dentro questa crisi economica, scoprono che le loro città sono brutte, o rischiano di imbruttirsi ulteriormente, e capiscono in modo lampante che costruire un edificio bello non costa di più che costruirne uno brutto. Una città brutta fa vivere male, pensare male e anche sognare male. Pasolini aveva ragione: stiamo dilapidando la nostra ricchezza che consiste nella bellezza, nel vivere in città che possiedono il genius loci.

E non è solo questione di architetture del passato. A Parigi, decenni fa, il Beaubourg, architettura high-tech, progettata da Piano e Rogers, ha creato uno spazio urbano vivibile e caratteristico, e persino bello. L’architettura non ha solo un valore estetico, ma, come spiega l’inchiesta del Censis, può avere anche un valore economico. Possono i sindaci delle grandi città italiane, come quelle di provincia, e i loro assessori all’urbanistica, pensare alla bellezza oltre che alle carte bollate e alla burocrazia?

Faccio un caso recentissimo ed esemplare. A Milano, proprio di fronte al Cimitero Monumentale, uno dei punti simbolici della città, ricco di sculture funebri, e con il celebre Famedio dei cittadini illustri, un infausto piano urbanistico, confezionato dalla giunta Moratti e proseguito e perfezionato dalla giunta Pisapia, prevede
la costruzione di un albergo di nove piani dentro l’area di rispetto, un edificio in stile postmodernista in ritardo di vent’anni. Lì accanto un vecchio palazzo dell’Enel degli Anni Trenta dovrà essere demolito per far posto a un ecomostro di nove piani in un quartiere di case che al massimo ne hanno quattro. Parte di questi edifici è di edilizia convenzionata, ovvero per le classi meno abbienti. Un’iniziativa opportuna, dare una casa a prezzi calmierati, ma per farlo si costruisce un bruttissimo palazzo fuori scala a venti minuti a piedi dal Duomo.

In un libro provocatorio ed efficace, Maledetti architetti , Tom Wolfe racconta la storia delle case popolari di Pruitt-Igoe a Saint Louis, progettate e costruite nel 1965 dallo sfortunato architetto Minoru Yamasaki, quello del World Trade Center di NY. Meno di vent’anni dopo in un’affollata assemblea plenaria gli inquilini suggerirono di abbatterle. Era la prima volta in cinquant’anni che si chiedeva un parere a chi abitava gli edifici operai. La vox populi intonò in coro: «Blow it... up! Blow it... up!», Buttatelo giù! Nel 1972 i tre caseggiati centrali vennero demoliti con la dinamite. Erano un esempio di perfetta architettura modernista. Possibile che non si possano costruire case belle? Abbiamo in Italia più architetti che in tutti gli altri Paesi d’Europa. Non è forse venuto il momento che si faccia una riflessione pubblica per questo? La bellezza non è né di destra né di sinistra. Dostoevskij pensava che potesse salvare il mondo. Possono il sindaco di Milano e il suo assessore all’urbanistica riflettere su questo senza ricorrere alla lingua dei regolamenti e dei piani edilizi? E con loro tutti i primi cittadini dell’ex Bel Paese?

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